Oggi è il compleanno di Roberto Saviano, e questo lo sanno tutti. Sì, è vero che i genetliaci dei pontefici sono sui calendari diplomatici internazionali, ma il pontificatore universale non gode ancora di questi privilegi: lo sanno tutti perché lui stesso ne ha dato notizia lamentando che il “Fertility Day”, l’iniziativa del ministero della Salute che si svolge oggi, gli rovinerebbe il compleanno. Io compio gli anni tra sei giorni, e il 28 settembre qualche sadico misantropo ha piazzato l’“Abortion Day” (internazionale, peraltro). Poco male: non essendo io un pontificatore massimo non c’è rischio che altri siano disturbati dal mio disappunto per la nefasta congiuntura.
Si ricorderà, malgrado la volatilità della memoria collettiva nell’era dei like sui social, che l’annuncio del “Fertility Day” fu caratterizzato, alcune settimane fa, da una campagna pubblicitaria molto discussa e che già per questo soltanto ha perfettamente centrato il suo obiettivo primario: ottenere visibilità. Contro i manifesti che pubblicizzavano l’evento, rei di ricordare agli osservatori addirittura che “l’amore non ha età, la fertilità sì”, si levarono i lai dell’intellighenzia radical chic di ogni marca (tanto sono tutte “made in China”): perfino a delle attrici comiche, nel corso della triennale del Corriere a Milano, fu consentito di mettere bocca sulla materia come se avessero un qualche titolo di merito oltre al pretesto della notorietà.
Si è segnalata la smarcatura del premier, che invece di mostrare ancora una volta le olimpiche doti di arrampicatore sugli specchi (o quelle di capo che non discute, pure notevoli), ha scaricato il ministro Lorenzin e la campagna del Fertility Day: «Non ho mai sentito che uno abbia fatto figli perché ha visto una campagna pubblicitaria. Ci vogliono sicurezze sociali, per fare i figli, asili nidi e sicurezze lavorative». Speriamo (e pensiamo) che non avesse ragione, altrimenti i dati Istat di pochi giorni fa, che rilevano il crollo dei contratti a tempo indeterminato (-37% rispetto a settembre 2015), chiuderebbero anche ogni speranza di un’uscita dell’Italia dall’inverno demografico prospettatole in proiezione. Ma Renzi stesso ne è la prova: i suoi figli sono nati quando sua moglie era ancora precaria e lui era un giovane politicante locale, quindi se non è stata una campagna pubblicitaria a incoraggiarne la nascita, neppure l’hanno inibita le preoccupazioni finanziarie.
E sarebbe stato bello se il ministro Lorenzin avesse difeso la propria campagna, che senza essere in fondo così spregiudicata era riuscita a sfondare il silenzio mediatico e a guadagnare l’attenzione di tutta Italia; forse avrebbe anche voluto farlo, il ministro, ma conoscendo Renzi avrà pure valutato che quando il Capo ha tante gatte da pelare, e di quelle rognose, una politicamente così poco urgente e utile se la risparmia volentieri. Meglio arretrare di un passo e tenere lì il punto: «La campagna non è piaciuta? Ne facciamo una nuova. #Fertilityday è più di due cartoline, è prevenzione, è la #salute degli italiani».
Arriviamo dunque a oggi, che è il 22 settembre dedicato a questo famigerato Fertility Day, con una crescente simpatia nei confronti dell’iniziativa: certo l’irritazione di Roberto Saviano è sicuro termometro della positività di qualsivoglia realtà, ma va detto anche che quando si scatena pubblico furore su affermazioni ovvie come quelle della campagna in oggetto, la repulsione stessa diventa un fenomeno interessante. Ieri Sinistra Italiana ha presentato a Montecitorio una mozione parlamentare di censura per un’iniziativa definita ideologicamente aggressiva, ricattatoria, minacciosa. Poche ore prima si era sollevato un polverone sugli opuscoli preparati dal Ministero: nella foto che stigmatizza “i cattivi compagni da abbandonare” ci sono due persone di colore. Risultato: iniziativa razzista. E via di seguito gli uffici del Ministero a rispondere, neanche fosse un flame su Facebook, che «il razzismo è negli occhi di chi guarda, noi pensiamo alla prevenzione. Le foto rappresentano un’omogeneità di persone, così come multietnica è la società che viviamo». Polemiche di carta, pretestuose e destinate a finire in bolle di sapone, ma perché ci ritroviamo a essere un Paese che si straccia le vesti quando qualcuno dice che la fertilità è una fase della vita (e tutto sommato una fase anche breve)? È difficile darsi una risposta, mentre i giornali esaltano in questi giorni le sorti progressive della salernitana 62enne che dà alla luce un bambino: e al decimo compleanno di quella creatura, a proposito di progresso, chi ci pensa? E al 18esimo? La madre avrà la forza di aspettarlo in piedi quando farà tardi per testare i limiti del mondo e del cuore? Piccinerie: forse devono apparire così ai diaconi e alle sacerdotesse del femminismo sessantottino ortodosso, ma pure di piccinerie è fatta la vita. Non si vede che altro pensare, il livore schiumato ai margini della campagna del Fertility Day pare indirizzato alla testarda e leopardiana natura, cui sembrano interessare poco le rivendicazioni utopistiche del tipo “un figlio se voglio quando voglio”.
E da quella parte, quindi, abbiamo quelli per cui il sintagma “salute riproduttiva” sta per “contraccezione & aborto, auspicabilmente a carico dell’erario”: un figlio è cosa accettabile solo se lo si vuole; se lo si vuole, anzi, è un diritto – e a quel punto si accende il «motore / che ci porta avanti / quasi tutti quanti, / maschi, femmine e cantanti, / su un tappeto di contanti / nel cielo blu».
Diamo ora un’occhiata al programma dell’evento promosso dal ministro Lorenzin, premettendo che tante associazioni piccole e grandi, in buona parte anche cattoliche, si sono date da fare per avere un piccolo spazio nella manifestazione. È quindi probabile che siano molte le energie positive messe in circolo: lo svolgimento dei lavori farà il resto. Il tutto si colloca nella mattinata: alle 9 si comincia e alle 13:30 il ministro tira le fila dei lavori. Si è scelto di utilizzare una cornice in videocollegamento da Roma con Bologna, Catania e Padova, e di attuare in ogni città un tavolo di lavoro su un argomento specifico. Alla fine dei “groupwork” è prevista una canonica collatio, cui segue il discorso conclusivo.
Ora nel dettaglio. A Roma (la location è il centro congressi “Roma Eventi – Piazza di Spagna”) il tema è: “Fattori di rischio per la salute riproduttiva: quale prevenzione?”. Si tratta di «politiche di prevenzione sanitaria per promuovere comportamenti corretti al fine di ridurre i fattori di rischio e proteggere la salute riproduttiva. Insomma, prevenire è meglio che curare: questa è la sede a cui il ministro Lorenzin presiede fisicamente. Numerose le associazioni presenti, e numerosi i loro delegati a prendere parola nel consesso.
A Bologna (la location è l’Aula Murri del policlinico Sant’Orsola Malpighi), il tema è: “Come aiutare la salute riproduttiva e difenderla anche dal cancro?”. Un’altra buona domanda, volta ad «aiutare la procreazione, quando possibile, con percorsi di fecondazione omologa ed eterologa». Ahi, qui qualcosa stride: le ferite delle sentenze che hanno fatto a pezzi la già non perfetta (ma presidiabile) Legge 40 si riaprono e verrebbe voglia di chiedersi perché il titolo della traccia sembri imperniarsi sul cancro quando il suo testo chiarisce abbondantemente che di fecondazione assistita si parla? Dispiace perché i due temi appaiono non del tutto commensurabili: la preservazione della fertilità nei pazienti sottoposti a cure oncologiche è una cosa, riguarda la conservazione delle proprie facoltà; la prospettiva di caricare sul bilancio pubblico le enormi spese che la fecondazione assistita richiede, invece, afferisce a tutt’altra visione antropologica ed etica – è vittima a suo modo del pregiudizio ideologico che a un figlio si possa “avere diritto”, e che quindi di tale istanza possa e debba farsi carico la collettività.
A Padova (la location è l’Aula Ippolito Nievo di Palazzo Bo’, compreso nelle strutture dell’Università cittadina) il tema è: “Funzione riproduttiva compromessa: diagnosi e possibili terapie”. Interessante. Si tratta infatti dell’«importanza della diagnosi precoce, della possibilità e dei limiti delle terapie mediche e chirurgiche nell’infertilità». In ordine alla sensibilizzazione massiva che la campagna si proponeva, la tavola patavina appare finora la più concreta e stimolante: si discute in fondo della «possibilità concreta di diagnosticare precocemente e di ripristinare, con terapie mediche e chirurgiche, la funzione riproduttiva». Qui si parla ad alta voce di un sommerso, di una realtà negata e coartata in uno spazio di imbarazzata solitudine: per età avanzata, per stili di vita, per abusi, per la contraccezione ormonale (una causa che il programma non menziona, ma che tutte le statistiche rilevano), un numero crescente di coppie fatica a concepire un figlio. Peccato che qui non si parli di costi: non farà chic come la Fivet, non sarà “openminded” come l’eterologa, ma aiutare le coppie a riavviare la propria fertilità naturale è un compito che la comunità dovrebbe accollarsi, almeno in parte. Ma se non si ha chiaro che i figli non sono un diritto si finisce per destinare i soldi là invece che qua.
Infine a Catania (la location è l’Aula Congressuale grande dell’Ospedale Cannizzaro) il tema è: “L’età fertile nell’uomo e nella donna, l’importanza della prevenzione e dell’informazione”. Insomma, come si capisce si parla di «concepimento, diagnosi prenatale, gestione della gravidanza e del parto e salute del bambino». Focus sull’età, per i siciliani, che si soffermeranno sull’incidenza del fattore in tutto il “percorso-nascita”. Nel capoluogo della Trinacria si tratterà forse il tema più evidente di tutti, e al contempo quello che suscita il maggior dibattito allargato, fuori dagli idiomi ristretti degli specialisti di medicina: perché ci si spinge sempre più in là per metter su famiglia? Si tratta di un fattore prettamente economico o prettamente culturale? Va bene la crisi, ma se valesse la formula inversa il record di denatalità del 2015 dovrebbe essere il più vicino al dato del 1946 – e invece è il più lontano (subito dopo viene quello del 1919).
Gli italiani hanno figliato quando non avevano tetti sopra la testa e acqua corrente in molti comuni: si può davvero credere che la tanto famosa flessibilità sia la causa dell’inverno demografico che si annuncia? Se fosse così, verrebbe da chiedersi perché un governo non ponga in cima alla lista delle sue priorità il combatterla, il favorire la stabilizzazione rapida delle risorse umane nelle allocazioni professionali. Ci chiedono la flessibilità, aggiungendo che non dobbiamo essere “choosy”, e poi ci raccontano che è colpa della flessibilità se non mettiamo su famiglia, se le scuole (che ora il premier e il ministro Giannini si affannano a riempire di “Buona Scuola” e di “parità di genere”) sono già destinate a svuotarsi tutte nel giro di vent’anni. E moriranno prima le scuole paritarie, certo, ma non sarà un arricchimento per la cultura del popolo italiano. E poi imploderanno le pensioni, la sanità e mano a mano tutto quanto sta appeso al delicato ramo che oggi tanto trascuriamo.
Vedremo più tardi i risultati delle tavole rotonde, capiremo se l’iniziativa avrà mosso qualche passo verso una maturazione sociale e un’elaborazione di certi intoccabili dogmi sessantottini. Resta il fatto che oggi è il compleanno di Roberto Saviano, e voglio fargli un regalo – un’anteprima dal libro di Thérèse Hargot che sta per essere pubblicato in italiano (per i tipi di Sonzogno): Per una gioventù sessualmente liberata (o quasi). L’autrice è una giovane sessuologa formatasi alla scuola personalista della Sorbona (la perdonerà, il savio partenopeo, se non ha frequentato la Federico II): ha approfondito le avanguardie di “sex education” anglosassoni a New York e tiene seminari e corsi nei licei parigini. Dunque sta sul campo. Forse sa di che parla. Se posso rassicurare Saviano, non è cattolica (né credente).
«“Sono mesi che cerco di avere un bambino e non ci riesco. Sono completamente disperata. Non so che cosa non va in me: perché non ho diritto a questo? Che ho fatto di male?”. Nina, ventinove anni, è ossessionata dal suo desiderio di avere un bambino e soffre terribilmente nel non riuscire a vederlo realizzato. “Per anni ho fatto di tutto per non averne, e ora che lo voglio non arriva! Non capisco, mi passo in rassegna il film della mia vita per trovare una risposta, ho bisogno di trovare una ragione ma il medico non ne vede alcuna – mi manda ai matti!”. L’infertilità è estremamente dolorosa per le ragazze della mia generazione che vogliono avere un bambino. Dico “le ragazze” perché se il bambino tarda a venire, è chiaramente colpa loro: nel ventesimo secolo, il bambino è più che mai una faccenda da donne… Hanno fatto credere loro che potevano essere delle divinità, quindi ora si sentono responsabili di tutto».
Lo provi, il savio Saviano, il sesso trasgressivo: quello fedele, che dura nel tempo e si fa spesso, quello che non ha bisogno di proteggersi dall’altro e non aspetta di “essere pronto” per farsi sorprendere dalla vita. Magari è la volta che la smette di mugugnare, si rilassa e fa un sorriso senza obiettivi fotografici nei paraggi. E che ne sai, magari è pure la volta che la vita gli fa un bel regalo di compleanno.
Giovanni Marcotullio (su www.lacrocequotidiano.it)