Licenziamento sprint per i furbi del cartellino

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Quarantotto ore per essere sospeso. Due settimane per difendersi. Altre due per essere sbattuto fuori. Tempi duri (e stretti) per chi è beccato in flagrante a timbrare il cartellino per sé (o per altri) e poi va in palestra, a fare shopping, torna a letto oppure corre al secondo lavoro. Il decreto attuativo della riforma Madia (presentato a gennaio e da stasera legge dello Stato) fissa un tempo certo – 30 giorni – per decidere la sorte del dipendente pubblico furbetto. I correttivi al testo finale – che recepisce le sollecitazioni di Parlamento e Consiglio di Stato – blindano la tempistica dell’iter disciplinare fin qui molto lasco.
Il dipendente colto sul fatto viene sospeso dal dirigente entro 48 ore. Resta senza stipendio, ma gli viene riconosciuto un “assegno alimentare”, pari a metà del salario base. Il dirigente deve inviare gli atti – “contestualmente” alla sospensione – all’ufficio per i procedimenti e così avvia l’azione disciplinare.
L’iter si apre e chiude in un mese. Il conto alla rovescia parte dal momento in cui il (presunto) “fannullone” viene messo al corrente. Da quell’istante il lavoratore ha 15 giorni per preparare la difesa (è convocato con preavviso). Gli altri 15 giorni sono dedicati al completamento dell’istruttoria. L’unica eventualità di allungamento dei tempi è legata al caso in cui il dipendente non sia reperibile: per avvertirlo occorre spedire una raccomandata e passa al massimo un altro mese (sempre meno dei 120 giorni previsti oggi).
Rispetto al testo iniziale del governo, viene eliminato ogni automatismo di responsabilità penale per il dirigente. Se però questo fa finta di non vedere, si volta dall’altra parte e non fa partire subito il procedimento disciplinare può essere licenziato (oggi al massimo c’è la sospensione) e rischia il reato penale (dunque il carcere da sei mesi a due anni per omissione di atti d’ufficio, rischio teorico con la sospensione condizionale della pena), ma decide il giudice, non c’è più un collegamento diretto.
Il furbetto licenziato rischia di pagare allo Stato i danni di immagine, pari ad almeno sei mesi di stipendio (così nel testo originale). Ma il giudice deve decidere “anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione”. Più se ne parla – in tv, radio, social, rete e giornali – più alta sarà la multa.
Il ministero della Pubblica amministrazione è a lavoro sul Testo unico del pubblico impiego che renderà più facili i licenziamenti per tutti coloro che vengono sorpresi con le mani nel sacco (assenteisti, ma anche chi ruba o si macchia di peculato).




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