ISRAELE – ECCO IL NUOVO GOVERNO

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ISRAELE – Il governo di destra israeliano poggia sull’intesa tra forse sioniste e religiose. Rafforzare il controllo sugli insediamenti e allargare gli accordi di pace con i Paesi delle regioni sono tra gli obiettivi dichiarati dal premier Netanyahu.

Dopo circa due mesi dalle elezioni politiche del primo novembre, oggi si insedia il nuovo governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu. Il nuovo esecutivo si regge sull’accordo tra il partito di destra Likud e cinque altre formazioni politiche nazionaliste, sioniste e religiose.

“Il nuovo governo israeliano si prefigge tre obiettivi principali di lungo termine: la neutralizzazione degli sforzi dell’Iran di dotarsi di un potenziale nucleare; lo sviluppo di infrastrutture nazionali, fra cui una ferrovia fra la Galilea ed Eilat per treni molto veloci; l’estensione degli accordi di Abramo con i Paesi arabi per mettere fine al conflitto nella Regione”. Lo ha affermato il premier Benyamin Netanyahu presentando questa mattina alla Knesset il suo sesto governo. Il dibattito si svolge in un’atmosfera infuocata fra gli applausi scroscianti dei suoi sostenitori e gli slogan di protesta dei deputati dell’opposizione.

Negoziati complicati

Per arrivare alla formazione del nuovo Esecutivo si sono tenute delle lunghe e complesse trattative, l’ultima intesa è stata formalizzata solo ieri tra il Likud e la Torah Unita nel Giudaismo. Già siglate le intese con il Partito sionista religioso, Shas, Otzma Yehudit e Noam, che permetteranno al governo di avere almeno 64 seggi su i 120 complessivi della Knesset.

Frattanto sono stati resi noti i nomi dei ministri, tra i quali ci saranno Eli Cohen, ex ministro per l’Intelligence, alla guida degli Esteri. L’ex ambasciatore negli Usa Ron Dermer avrà invece la responsabilità del ministero per gli Affari Strategici, soppresso dal precedente governo.

Prima dell’insediamento Benyamin Netanayhu ha indicato con un post su facebook le principali linee programmatiche del suo governo: il contrasto al nucleare dell’Iran; la estensione degli accordi di pace con i vicini arabi “nel contesto della difesa degli interessi di sicurezza, storici e nazionali di Israele”; lo sviluppo della politica di insediamento “nella Terra d’Israele: in Galilea, nel Negev, nel Golan e nella Giudea-Samaria (Cisgiordania)”; il mantenimento dello status quo nei legami Stato-religione, “incluso il rapporto con i Luoghi santi”. Tra gli obiettivi figura anche il rafforzamento dell’identità ebraica, la lotta alla criminalità nella comunità araba, l’incoraggiamento all’uso dei trasporti pubblici, aumenti salariali per i soldati insieme al congelamento dei prezzi di elettricità, acqua e tasse comunali.

Le misure controverse

Polemiche e contestazioni sono scaturite dalla decisione di soddisfare alcune richieste degli alleati più oltransisti, tra queste la controversa legge che amplia i poteri del futuro ministro per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, assicurandogli il controllo sul capo della polizia. Allo stesso modo, la Knesset ha dato il via libera alla legge che permette a chiunque sia stato condannato, senza però ricevere una pena detentiva, di diventare ministro: misura ad hoc per Aryeh Deri, leader del partito ultraortodosso Shas e futuro ministro dell’Interno e della Salute, bloccato dall’accusa di evasione fiscale che all’inizio dell’anno gli è costata il seggio in Parlamento.

Ancora, i deputati hanno approvato la possibilità per due ministri di servire nello stesso dicastero: la proposta è stata avanzata per permettere a un altro alleato di Netanyahu, il leader di Sionismo Religioso Bezalel Smotrich, già destinato a diventare ministro delle Finanze, di servire anche nel ministero della Difesa. Infine alcune giudici criticano le proposte di riforma della giustizia e la possibile riduzione dei poteri della Corte suprema.