Inizia una reazione musulmana contro il Wahabismo

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Inizia una reazione musulmana contro il Wahabismo

L’Arabia Saudita è la fonte del terrorismo internazionale, per cui dovrebbe essere messa sotto tutela internazionale”: lo ha detto Nouri al Maliki, l’ex primo ministro iracheno, alla tv iraniana Al Manar.

Per la prima volta, Teheran ha consentito ai caccia russi che vanno a bombardare lo Stato Islamico e gli altri gruppi sostenuti da Usa e Sauditi, dalla propria base militare di Hamadan invece che da Mozdok nella Russia meridionale – il che accorcia il volo di 1200 chilometri, e permette un carico maggiore di bombe.

Il 15 agosto l’aviazione saudita che guida la coalizione anti—Houti (sciiti) ha bombardato nello Yemen un ospedale di Medécins sans Frontières uccidendo 11 persone; il sabato precedente i bombardamenti sauditi avevano colpito una scuola massacrando dieci bambini dagli 8 anni in su – e per la prima volta, le atrocità della coalizione saudita (gli emirati sostenuti da Washington e Londra, anche con combattenti sul campo) nella sua criminale guerra contro il poverissimo Yemen sono state date dai media mainstream, (quasi) con lo stesso rilievo con cui essi piangono ogni giorno sui “bombardamenti siriani e russi su Aleppo” sulla “popolazione civile stremata” (che sarebbero i jihadisti “nostri”).
La Turchia (sunnita, membro della NATO) ha promesso di cooperare con l’Iran (sciita) per una soluzione del conflitto in Siria: ciò a seguito di un sorprendente e inatteso incontro ad Ankara fra il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif con il pari grado turco Cavusoglu, a cui è seguito un colloquio con Erdogan.

“Benchè su certe questioni abbiamo opinioni divergenti, su alcune questioni siamo d’accordo”, ha detto Cavusoglu, “in particolare sull’integrità territoriale della Siria”. Niente più smembramento della Siria, dunque, secondo i piani della coalizione anti-Assad; niente più stato curdo ritagliato da un pezzo di Siria, cosa che – Erdogan lo sa – avrebbe amputato anche territorio turco.
Israele (ed Usa) avevano promesso ai kurdi iracheni lo stato etnico indipendente fin dai tempi della guerra a Saddam, per ottenerne l’appoggio (e difatti a Mossul il Mossad ha uffici aperti); ora sembra che il progetto debba essere rimandato.

Ciò, nonostante che i media mainstream, nei giorni scorsi, abbiano confezionato ampi e vivaci servizi tv sugli eroici peshmerga che liberavano la cittadina di Manbij in Siria dai tagliagole dello Stato Islamico, mostrando come le donne si liberavano dai neri chador e abbracciavano i liberatori; era il necessario appoggio della propaganda occidentale come preludio per la trasformazione dei territori “liberati” dai kurdi in embrione di stato curdo. Difatti i suddetti media precisavano che i liberatori erano “le forze democratiche siriane (Sdf), sostenute dagli Stati Uniti” (si noti che nella narrativa mainsteam mentre i curdi “liberano” le città dall’IS, i russi e le truppe di Assad per i nostri media “bombardano i civili ad Aleppo”, non li liberano). Un accordo fra Ankara e Teheran (che ha la sua minoranza kurda) per l’integrità territoriale siriana fa’ svanire quel progetto di stato curdo per molto, molto tempo.

L’incontro fra Iran e Turchia, imprevedibile fino a pochi giorni fa, pare essere un risultato degli sforzi diplomatici del ministro Lavrov, e un capolavoro a sorpresa di Vladimir Putin; che, appena riconciliatosi con Erdogan, lo ha convinto a incontrare gli iraniani.

Ankara inoltre ha smesso di esigere la deposizione di Assad come preliminare per ogni negoziato sulla Siria. Il nuovo primo ministro turco, Binali Yildirim, ha dichiarato che è arrivato il tempo di migliorare le relazioni con la Siria, come “abbiamo rivisto le nostre relazioni con Russia e Israele”. Anche Yildirim ha aggiunto: “La soluzione della crisi siriana non sarebbe immaginabile se non mantenendo l’integrità territoriale della Siria”, rigettando il progettodi autonomia proposto dal Partito di Unione Democratica non è invece adatto a risolvere la crisi. Il suddetto partito (Partiya Yekîtiya Demokrat) è il partito curdo siriano secessionista, che “libera” le città da Daesh e combatte anche contro Assad. La soluzione della crisi siriana, ha detto Yildirim, “richiede una struttura nazionale del potere”, per cui il presidente attuale (Assad) potrà restare, purché ” non troppo a lungo”.

Aggiungo dall’amico sito Palaestina Felix: “L’Armata di Liberazione Popolare fornirà aiuto e addestramento al Governo legittimo siriano; l’annuncio é stato dato dalla commissione guidata dal Contrammiraglio Guan Youfei subito dopo il suo incontro con gli alti gradi dell’Esercito Arabo Siriano guidati dal Generale Fahd al-Freij, Ministro della Difesa. Questa mossa é la più esplicita forma di sostegno cinese alla Siria dopo i veti in sede ONU e le costanti forniture di materiali militari avanzati”.

Ma non basta ancora:
Per completare il quadro, Boris Johnson, il nuovo ministro degli Esteri inglese, ha parlato al telefono con Lavrov giovedì, ed hanno discusso di una normalizzazione delle relazioni fra Londra e Mosca, dopo anni di ostilità. C’è quasi da pizzicarsi per sapere se si sogna o si è desti.

Il ministro della difesa russo Sergei Shoigu ha ventilato un possibile accordo militare fra Mosca e Washington per sferrare un attacco congiunto contro Daesh e Al Nusra (i loro terroristi preferiti) nella città di Aleppo! Anche se la cosa non è stata confermata dal Pentagono, sembra proprio che gli Usa debbano dare loro il colpo di grazia ai loro terroristi, da loro addestrati ed armati, per avere qualche voce in capitolo nel futuro negoziato sulla soluzione alla crisi della Siria.

Se non sogniamo ma siamo desti (non è sicuro), pare proprio che in questo nuovo ed inatteso mutamento, a restare con il didietro scoperto siano due entità:

1) Daesh, Al Nusra e i jihadisti che stanno combattendo in Siria, abbandonati da Erdogan, e forse dagli stessi americani, schiacciati dai bombardieri russi che ora partono da più vicino, con più bombe al posto della benzina;

2) l’Arabia Saudita, la grande promotrice del terrorismo wahabita, che resta col cerino in mano, impantanata in due guerre e (forse) abbandonata da Washington.

Così si può capire meglio l’intervento dell’ex premier iracheno Al Maliki (sciita): un atto di accusa lucidissimo contro Ryad.

“Gli Stati Uniti – ha detto Al Maliki – hanno letto male gli sviluppi dell’area; in specie hanno pensato che la Siria di Bachar Assad sarebbe caduta in uno o due mesi. Quando ero primo ministro, li avevo avvertiti che non sarebbe stato per nulla facile. Ma loro erano soggetti alla pressione saudita, data la loro ottima relazione bilaterale e i loro interessi strategici comuni. Dunque gli Usa hanno sostenuto la richiesta saudita di ottenere dal Consiglio di Sicurezza l’adozione di una risoluzione per attaccare la Siria. Il veto di di Russia e Cina ha impedito tale risoluzione. […]

Gli Usa (…) non hanno tenuto conto dei nostri avvertimenti se non più tardi. Mi ricordo che sono stato molto severo riguardo all’Arabia Saudita, l’ho definita il nido da cui nascono le organizzazioni terroriste. E anche quando mi hanno chiesto quale soluzione proponevo, ho detto loro: l’Arabia Saudita non è capace di regolare i suoi propri problemi, è divenuta la fonte del terrorismo, e dunque la sola soluzione è di metterla sotto tutela internazionale”.

E si dilunga, Maliki: “Gli Usa mi hanno risposto che bisognava cambiare i programmi scolastici (in Arabia Saudita, sic). Ho risposto che è impossibile perché tutti i loro programmi sono diffusi nei diversi paesi, anche da voi negli Stati Uniti. Questo è il motivo per cui abbiamo bisogno di metterla sotto tutela, per impedire lo sfruttamento del nome proprio della “Arabia” Saudita, dove si situa la Casa di Dio (Kahaba) e la dimora del nobile Profeta; tantissimi ingenui sunniti pensano che l’Arabia Saudita è nata con l’Islam e dunque agiscono secondo i suoi desideri. Oggi gli Usa riconoscono che l’Arabia Saudita è un pericolo, ma è troppo tardi”.

Al Maliki è iracheno e sciita, intellettualmente vicino all’Iran. Ma a migliaia di chilometri di distanza – in Algeria – una voce sunnita lancia le stesse accuse. E’ quella di Zaïm Khenchelaoui, docente di storia del Sufismo, direttore del centro nazionale di ricerche preistoriche ed antropologiche di Algeri, sociologo con master a Parigi.

Cosa dice il professore al foglio algerino Al Watan? “Il wahabismo non è Islam. E’ una forma di religione autocefala con un suo libro sacro, il Kitab at-Tawhîd di Mohammad Ibn Abd Al Wahhâb (Il fondatore della setta nel 1744), che ha soppiantato lo stesso Corano. Esso è ossessionato paranoicamente dal Tahwid – il concetto dell’unicità di Dio – al punto da schiacciare e perseguitare i musulmani colpevoli di venerare lo stesso Profeta (e non parliamo dei santi la cui venerazione e imitazione costituisce il nerbo del Sufismo)”, considerandoli degli idolatri, ossia gente che “associa a Dio” il Profeta. Ciò, “in ragione della loro incapacità cerebrale (dei wahabiti) di fare una lettura analogica e allegorica, largamente diffusa tra le altre obbedienze dell’Islam”.

“Il wahabismo è terrorismo speculativo, il terrorismo è wahabismo pratico”, rincara il professore. Purtroppo, disponendo di “immense risorse finanziarie”, si è diffuso su tutti i mezzi di comunicazione, compra gli imam nelle moschee, insomma è riuscita a passare, nelle menti di milioni di incolti, come la forma unica dell’Islam. Mentre ne è la “de spiritualizzazione”. Pericolosa, forse “la setta più pericolosa che abbia conosciuto l’umanità – Quando un giovane si fa’ esplodere da qualche parte, è una vittima programmata e manipolata dall’imam che predica il venerdì” o dal video colto su internet. “Se in Francia si è messa fuorilegge Scientology o la setta del Tempio Solare, come mai il wahabismo non è nella lista delle sette vietate? In Russia è vietata, perché là si cerca di proteggere l’Islam”.

Dunque anche il professore algerino, come Al Maliki, chiede la messa fuorilegge della setta wahabita e del suo regno terroristico saudita. Sono alte reazioni contro il wahabismo dal punto di vista islamico; per la prima volta, sono voci musulmane contro la setta saudita e de-spiritualizzante dell’Islam. Il professor

Khenchelaou è reduce dal Congresso Mondiale sul Sufismo che si è tenuto a Mostaganem – si noti – in Algeria, dunque sotto l’egida del regime che aborre i sauditi e gli americani (che non sono riusciti a innescare lì una primavera araba). Il regime algerino è dunque consapevole che il sufismo (di cui l’Algeria ha una ricca tradizione storica: si pensi ad Abdelkader) è la risposta al terrorismo wahabita, e sta cercando di diffonderlo. Sta cercando di re-spiritualizzare la fede musulmana.

Fonte: Blondet




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