I migranti e la truffa del permesso di soggiorno

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Padova e non solo – Maxi inchiesta di Panorama sulle migliaia di casi di lavori fittizi illegali creati ad hoc per fornire il prezioso documento

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Padova – Per chi conosce la stazione di Padova a bene quanto abitanti, residenti ma anche turisti abbiano un senso di pericolo anche transitando nell’area. Un viavai di persone a piedi o in bicicletta a tutte le ore del giorno e della notte che da una sensazione di insicurezza. tanti, troppi personaggi ubriachi, urlanti, minacciosi si accalcano a pochi passi dalla stazione e più volte, le forze dell’ordine hanno ricevuto chiamate e sono dovute intervenire. Tanti i controlli.
Ora Panorama ci propone anche il racconto di un’inchiesta che lascia l’amaro in bocca…..

L’insegna del semivuoto bugigattolo dietro la stazione di Padova poteva ingannare: «Bar planet plaza». Il nome americaneggiante celava invece un usuale kebab. Di strabiliante c’era però la forza lavoro reclutata, capace di mandare avanti uno stabilimento di insaccati. Centoquarantadue assunti in appena un anno. In quel negozietto di venti metri quadrati tutti i dipendenti erano nigeriani. Tutti immigrati clandestini, assoldati fittiziamente da un connazionale con l’aiuto di due consulenti del lavoro. I clandestini pagavano 1.200 euro: in cambio, ottenevano un finto lavoro e un vero nullaosta per restare in Italia. Fino a quando la procura di Padova non ha scoperto il gigantesco raggiro. E una settimana fa è cominciato il processo ai raffinati, e supposti, ideatori della gabola.

Non c’è solo l’accoglienza a delinquere. Quella dell’incessante lucro che spesso si cela dietro sbarchi e richiedenti asilo. C’è un altro business, sempre più diffuso e fiorente. S’è insinuato tra le maglie della legge Bossi-Fini e s’è ormai diffuso ovunque: il commercio dei falsi permessi di soggiorno.

Decine di inchieste stanno svelando presunti e colossali illeciti, con migliaia di indagati e giri d’affari sempre più cospicui. Nel calderone finiscono disoccupati, pregiudicati, spacciatori, mendicanti. Un incalcolabile esercito di clandestini pronti a ogni cosa pur di ottenere quella tesserina rosa rilasciata dalle questure: necessario viatico per rimanere in Italia. E cosa serve per averla? Conoscere la lingua, certo. Avere una residenza, ovviamente. Ma, soprattutto, un lavoro. Allora basta inventarselo. Letteralmente. A suon di finte assunzioni, aziende di facciata, loschi accordi e sostanziose mazzette. Un permesso farlocco, rivelano i magistrati, può arrivare a costare 10 mila euro. E il meccanismo s’è trasformato in un sistema talmente rodato da permettere perfino di ottenere l’assegno di disoccupazione da parte dell’Inps.

A Padova il sostituto procuratore Sergio Dini ha scoperto almeno 600 carte di soggiorno farlocche. L’ultima inchiesta nasce casualmente, dopo l’arresto di una prolifica banda di ladri d’appartamento albanesi: due ragazzi, scopre il magistrato, sono regolarmente ingaggiati come operai. In una ditta fantasma, però. Le successive indagini svelano un meccanismo affinato, preciso e diabolico. I presunti ideatori dell’imbroglio, una coppia di italiani e una moldava, finiscono in carcere per associazione a delinquere. Mentre 74 immigrati vengono accusati di aver pagato per avere un contratto e, quindi, il lasciapassare della questura. L’ideatore sarebbe un «imprenditore» padovano di 77 anni, Umberto Tiranti, pluripregiudicato, amministratore unico di sei società: scatole vuote da riempire con assunzioni di comodo. In un’intercettazione, la sospetta sodale prima lo informa di aver stampato «anche gli altri contratti», poi aggiunge maliziosa: «Cusì vedemo se riusimo a incassar un poco de schei». Eccome se li incassano: 600 euro per avviare la pratica e 200 per ogni busta paga.

Gli stranieri, in cambio, vengono arruolati a tempo indeterminato. I documenti finiscono regolarmente nei centri per l’impiego. Tutto fila liscissimo. I cedolini sono trasferiti all’Inps per i contributi previdenziali. A richiesta dell’interessato, si può perfino simulare il licenziamento. In un’altra chiamata, l’evidente vantaggio è spiegato da una escort all’interessatissima collega: «Ora vale la pena di andare in disoccupazione perché prendo anche l’Inps. Poi, dopo un anno e mezzo, torno a lavorare. Ma adesso devo approfittare, poi si vedrà». Ineccepibile.

Chissà in quanti casi il nostro malconcio istituto previdenziale versa a finti dipendenti senza batter ciglio. Contributi gratis, che magari in futuro si trasformeranno in pensioni. Una manna. Illuminante pure l’interrogatorio del pm Dini a uno degli indagati: un marocchino fermato per spaccio. Invece che andare in carcere, riesce a ottenere dal tribunale l’affidamento in prova, grazie a un impiego farlocco da magazziniere. Basta pagare, del resto.

«Quando sono stato affidato ai servizi sociali, l’assistente mi ha detto che era andato nella sede della ditta, ma non aveva trovato nessuno» rivela l’uomo al magistrato. Poi però l’imprenditore arrestato fornisce ampie rassicurazioni sul redento cliente. E lo spacciatore diventa ufficialmente uccel di bosco. Diciamolo chiaro: il business dei permessi di soggiorno continua anche grazie a un sistema che imbarca più acqua dei barconi in balia del mare. Le truffe vengono scoperte casualmente. I controlli sono scarsissimi. E purtroppo ci sono pure i correi: dipendenti pubblici e poliziotti che intascano tangenti.

L’11 marzo 2019, il pm padovano ha chiesto il rinvio a giudizio per 11 persone, accusate di far parte di un sodalizio criminale da record: 400 tesserine rosa concesse allegramente a cittadini cinesi. Tra loro, ci sono diversi poliziotti della questura di Padova e l’ex sovrintendente Renzo Dalla Costa: dal traffico, quantifica il giudice Margherita Brunello, avrebbe guadagnato 200 mila euro. Mille euro a pratica, 2 mila i nuclei. Sconto famiglia. Insomma: per ottenere il via libera bastava truccare i documenti. Taroccare la conoscenza dell’italiano, assumere fittiziamente, allegare residenze fasulle. Oppure far passare due trentenni per dodicenni, in modo da renderli adottabili per l’ignaro genitore.

Ingegnosi espedienti a cui non si sono sottratte nemmeno un avvocato padovano e la sua assistente: lo studio legale, in un mese, ha chiesto di regolarizzare 157 stranieri. Tutti assunti, si fa per dire, come badanti, colf o tirocinanti. Compresa la rumena assoldata per accudire un anziano a Padova, ma scovata a Varese: era ai domiciliari per spaccio di droga. Insomma: solo a Padova un solerte sostituto procuratore ha scoperto centinaia e centinaia di casi. Il classico ago nel pagliaio. Pensate a cosa succede nel resto d’Italia…

Immigrati che vogliono restare o arrivare in Italia, da una parte. Pseudoimprenditori e pseudoprofessionisti che fiutano l’affare, dall’altra. Tutti pronti ad approfittarne. In definitiva, cosa serve? Aziende fasulle, menti fini, soldi per oliare. E una robustissima dose di spregiudicatezza. Eppure basterebbe poco per evitare i raggiri. Con una banale visura camerale, per esempio, si potrebbero subito individuare le aziende fantasma: come la piccola ditta di un pachistano che, a Pistoia, assumeva decine di imbianchini. Le indagini ormai si susseguono. Oristano, febbraio 2019: arrestano un professionista e un indiano. Il core business, stavolta, sono gli ingressi dall’estero. Senegalesi, indiani, bengalesi: pronti a pagare dai 5 ai 10 mila euro prima di arrivare in Italia, in contanti o con money transfer. Dopo che il contratto falso è registrato all’Inps, l’extracomunitario riceve l’invito a entrare in Italia. Quindi visita il consolato italiano, ottiene regolare visto d’ingresso, arriva in Sardegna e sparisce nel nulla.

GLI ALTRI CASI

Monza, gennaio 2019: viene scoperta quella che la procura definisce un’associazione a delinquere. Ne farebbero parte un commercialista, un finanziere, un poliziotto e un impiegato comunale. Ma il capo è un egiziano. Documenti, buste paga, dichiarazioni fiscali: tutto contraffatto. La tariffa è di almeno 5 mila euro, da saldare in contanti o con carte prepagate.

Salerno, dicembre 2018: finiscono sotto inchiesta due ragionieri di Baronissi. Negli ultimi anni hanno confezionato ben 10.027 dichiarazioni dei redditi fasulle, poi trasmesse all’agenzia delle entrate. Basta documentare il reddito minimo necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso. Gli immigrati pagano, felici e contenti. Insomma, così anche i decreti di espulsione diventano una pura formalità. In ogni città basta rivolgersi alle persone giuste per risolvere ogni assillo. Hai perso il lavoro? Non l’hai mai avuto? Ti piacerebbe continuare a malversare? Nessun problema. Basta pagare e affidare l’anima a disinvolti affaristi. Lo smercio delle pratiche con il tempo si affina. Definisce target e tipologie.

A Genova si sono dedicati anima e cuore agli extracomunitari fermati per droga. Grazie a ingaggi fittizi, gli sfortunati rimangono in Italia: continuando a spacciare, presumibilmente.

A Palermo hanno prediletto le famiglie. Nove arrestati: tra i fermati, c’è anche un poliziotto. La moglie gestisce, invece, un Caf nel trapanese. Ogni carta di soggiorno arriva a costare mille euro. Le intercettazioni sono fin troppo esplicite: «Ti serve il permesso? Preparo tutto io…» assicura il commercialista all’immigrato. «Cosa devi fare, il rinnovo?». Lo straniero, dimostrando ampia conoscenza dei meandri del fisco, dettaglia: «No, devo prima richiedere l’Isee e il permesso, poi la cittadinanza. Quindi ci vogliono 18 mila euro di reddito: siamo cinque in famiglia».

A Torino si sono specializzati nella migrazione economica. Funziona così: il gruppo, con mirati annunci sulle chat, individua cinesi desiderosi di emigrare. Poi propone tirocini immaginari: la pratica costa fino a 3 mila euro. Alcune aziende in crisi si prestano al tranello: intascano un migliaio di euro e in cambio presentano domande fittizie di tirocinio. Voilà: il gioco è fatto. Gli indagati sono 37.

A Bologna hanno invece arruolato un esercito di badanti fantasma: più di 200 falsi collaboratori domestici, che sono riusciti perfino a incassare assegni di disoccupazione per mezzo milione di euro. A questo punto vi chiederete: cosa rischiano gli immigrati che comprano la loro permanenza in Italia? Poco o nulla. Quando li beccano, si dileguano. Per la giustizia diventano contumaci. Del resto, istruire un processo con centinaia di clandestini senza un domicilio né un lavoro, una marea di inacciuffabili, è impresa ardua. Così, è stata appena chiusa la maxi inchiesta della procura di Ancona.

Solita solfa: centinaia di stranieri che ottengono la tesserina rosa o, ancora una volta, il sussidio previdenziale. Il numero degli indagati è sterminato: 429. Ma davanti ai giudici finiranno probabilmente solo in 14: quelli accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, falso e truffa allo Stato. Per carità: paghino innanzitutto i supposti geni della truffa. Ma una cosa è chiara: se comprare un nullaosta non comporta alcun rischio, la richiesta aumenta. Inevitabile.

 




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