Se qualcuno avesse avuto ancora dei dubbi sul legame tra politica e musica ora potrà dormire sonni più tranquilli (per modo di dire!). Dopo lo spettacolo fazioso in occasione del festival della musica italiana di Sanremo in cui, senza alcuna motivazione legittima, alcuni cantanti hanno inneggiato a favore della legge sulle unioni civili in Italia ecco giungere una polemica di vasta eco dalla musica dell’Eurovision. La si può pensare in vario modo sugli eventi storici che hanno contraddistinto la nostra storia recente o lontana ma la musica non dovrebbe abbassarsi a teli servizi.
Infatti, la polemica è divampata poiché la cantane ucraina Jamala ha conquista il festival canoro raccontando in musica le deportazioni di massa volute da Stalin, con implicita condanna all’annessione della penisola da parte di Mosca e alle pressione che i tatari vivono in questo momento. A questo va aggiunto che, il cantante russo che tutti gli esperti davano per superfavorito è giunto solamente al terzo posto. Dura la presa di posizione russa: per Mosca si tratta di una “vittoria politica”.
Proprio ne La Croce di sabato scorso vi abbiamo narrato della crisi in Ucraina, delle violenze che nessuno narra e delle tante verità nascoste.
Ora ci ritroviamo a gettare legna sotto un fuoco i cui carboni sono sempre accesi e minacciosamente pronti ad esplodere in nuove violenze. E cosa fa l’Europa? Nonostante le proteste di Mosca l’organismo che supervisiona il festival, l’Unione europea di Radiodiffusione, ha deciso in via eccezionale di ammettere una canzone dai contenuti politici. Il pezzo “1944” è diventato così uno di più controversi vincitori di tutta la storia del concorso canoro – seguitissimo nei paesi dell’ex Urss – e ha battuto il grande favorito: il concorrente russo Serghei Lazarev, accendendo forti polemiche tra Mosca e Kiev.
Jamala ha conquistato la finale a Stoccolma con 534 punti davanti alal cantante australiana Dami Im con 511 punti e dal russo Lazarev con 491. L’ago della bilancia è stata la giuria degli esperti delle nazioni, mentre il voto popolare avrebbe consegnato la vittoria al russo. Per questo da Mosca si è subito gridato contro una vittoria “politica”.
Ma non è finita qui! Sono partiti una serie di attacchi reciprochi che stanno alimentando polemiche e dissidi: “Non sono state la cantante ucraina Jamala e la sua canzone ‘1944’ a vincere Eurovision 2016. È stata la politica che ha battuto l’arte” ha detto il senatore Frants Klintsevich citato dalle agenzie russe, chiedendo a Mosca di boicottare la prossima edizione del concorso, che sarà ospitata proprio dall’Ucraina. Gli ha risposto il deputato della Verkhovna Rada di Kiev, Anton Gerashchenko, il quale ha avvertito che nella prossima edizione potranno partecipare solo quegli artisti i quali “ritengono un crimine la presa della Crimea e l’occupazione di parte del Donbas” (regioni dell’Ucraina orientale) e che non offendono la dignità nazionale dell’Ucraina.
Il presidente della Commissione esteri del Senato russo, Konstantin Kochachev, ha detto che la vittoria dell’Eurovision incoraggerà la leadership filooccidentale di Kiev e il difficile processo di pace verrà ulteriormente messo a rischio.
La portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakahrova, ha commentato sarcastica su Facebook, suggerendo che nella prossima edizione di Eurovision per vincere si dovrà portare una canzone sul “sanguinario” Basha al-Assad, il presidente siriano appoggiato dal Cremlino nel conflitto.
C’è però anche chi ha preferito smorzare i toni, come lo stesso Lazarev, che ha fatto i complimenti a Jamala e ha rifiutato di farsi trascinare nelle polemiche.
Ben diversa la reazione in Ucraina, dove Jamala ha ricevuto le congratulazioni del presidente Petro Poroshenko. “Se canti la verità, puoi veramente toccare il cuore della gente”, ha commentato la cantante, il cui brano era ispirato alle vicende della bisnonna, tatara di Crimea. “Sono triste per quel che sta succedendo in Crimea, spero che tutto vada bene”, ha poi aggiunto, riferendosi all’ultima serie di raid, arresti e bandi contro i tatari da parte delle autorità crimeane.
Jamala, il cui vero nome è Susana Jamaladinova, è nata in Kirghizistan, Paese dove la sua famiglia è stata esiliata durante la II Guerra mondiale. L’artista non è più tornata nella ex penisola ucraina – dove vivono ancora genitori e parenti – dopo la sua annessione a Mosca. Dal palco, durante la premiazione, ha gridato: “Pace e amore a tutti. Gloria all’Ucraina!”.
Da evidenziare che i tatari, gruppo etnico di fede musulmana, si sono fin dall’inizio opposti con forza all’indipendenza della Crimea da Kiev e poi all’ingresso nella Federazione russa – sancito con un referendum popolare nel 2014, mai riconosciuto dalla comunità internazionale; ora stanno vivendo forti pressioni da parte delle nuove autorità crimeane. Anche per questo il brano ha acquistato maggiore attualità.
Ecco il testo che tante polemiche ha creato: parole forti anche se la musica di “1944” è obiettivamente apprezzabile: “Quando gli stranieri arrivano vengono nella tua casa
ci uccideranno tutti e diranno non siamo colpevoli non siamo colpevoli dov’è la tua testa?
L’umanità piange voi pensate di essere dei ma tutti muoiono non puoi ingoiare la mia anima
le nostre anime non posso passare la mia giovinezza li perché tu mi hai rubato la pace
non potrò spendere la mia giovinezza li perché tu mi hai rubato la pace. Sarebbe bello costruire un futuro dove tutte le persone saranno libere per vivere e amare il momento più felice dov’è il tuo cuore l’umanità si eleva. Voi pensate di essere dei ma tutti muoiono, non ingoiare la mia anima
le nostre anime non posso passare la mia giovinezza li perché tu mi hai rubato la pace
non potrei spendere la mia giovinezza li perché tu mi hai rubato la pace”
Intanto accoglienza da star a Kiev per Jamala che appare alla ricerca di smorzare le polemiche: “”So che molti pensano che la mia canzone abbia un significato politico – ha spiegato Jamala – ma non è così, prima di tutto io sono una cantante, queste questioni come lo scontro Russia-Ucraina non fanno per me, non mi interessano”. Il brano, ha spiegato, è ispirato alla storia della sua famiglia, e a tutti i tatari di Crimea ma risuona potente nell’Ucriana di oggi, dove i ricordi di quell’orrore sono stati riaccesi dall’annessione russa della Crimea nel 2014. “E’ un messaggio importante per tutti i tatari di Crimea che hanno sofferto: l’Europa non può dimenticarsi di loro e di quello che hanno patito. Questa canzone parla di quello che hanno subìto e di quello che stanno vivendo, sappiamo bene che sono stati e saranno sempre ucraini”.
E’ interessante sottolineare la diversità di voto anche in Ucraina dove ha fatto piacere la vittoria di una connazionale ma sulla musica vi è stata una netta divisione: infatti il popolo ucraino ha dato il massimo dei voti alla Russia, mente la giuria giallo-blu si è astenuta.
Significativo questo post proveniente da social riguardante l’alto tasso di faziosità presente negli eventi musicali e non solo: “All’Eurovision vince una canzon anti-russa, l’anno scorso vinse un transessuale, Sanremo stesso trasformato in un spot omosessule e al festival di Berlino il film pro-immigrazione… ormai è chiaro che vince la tematica (meglio se faziosa), non il talento.