Il giorno di Natale dovrebbe rappresentare nel mondo la nascita di Gesù in una grotta ma per molti diviene invece il giorno della grande abbuffata di cibo. Il problema sorge quando ci si alza da tavola appesantiti e fiacchi! Cosa fare? Misurare le quantità di cibo ma anche aiutare l’apparato digerente con il famosi Sakè. Eccovenebtutfi i segreti. Il sake è la bevanda alcolica tradizionale giapponese ottenuta dalla fermentazione del riso e non come molti pensano dalla sua distillazione.
Il prodotto, venduto in Italia soprattutto nei ristoranti cinesi, ha caratteristiche organolettiche diverse da quello proposto in decine di versioni in Giappone, che rendono il prodotto complesso e ricco di possibilità di abbinamento al cibo, tanto da poter essere definito il “vino di riso”.
In Giappone con sake si indica una bevanda alcolica e questo ha creato molte volte l’equivoco del prodotto distillato, infatti nella regione del Kyushu meridionale con questo termine si indica anche un superalcolico ottenuto dalle patate dolci fermentate e distillate.
La storia del sake pare che abbia avuto origini in Cina, nel 5000 a.C., pressappoco la data di nascita di quasi tutte le bevande alcoliche fermentate create dall’uomo, che successivamente fu portata in Giappone con le prime migrazioni.
La nascita del fermentato si fa risalire alla scoperta della coltivazione del riso in ambiente umido, cosa che avrebbe portato allo sviluppo di muffe e lieviti.
Il primo sake fu chiamato kuchikami (masticato in bocca), poiché mancando la cultura della maltazione (trasformazione degli amidi in zuccheri tramite germogliamento), questo processo doveva essere iniziato necessariamente dagli enzimi presenti nella nosta saliva.
Il processo di masticazione e della amilasi salivare creava i presupposti della fermentazione, infatti gli lieviti sono incapaci di trasformare in alcol gli zuccheri complessi (amidi) presenti nei cereali, questo processo, per nulla piacevole alla vista, doveva essere svolto da ragazze vergini, per rendere più “gradito” lo sputo del bolo ottenuto.
L’uso della masticazione per iniziare il processo di fermentazione è presente anche in altre culture del Centro America, per la fermentazione di alcolici provenienti dal mais, chiamati chicas ( ragazzina ) per il medesimo motivo.
Data il basso potere di digestione della nostra saliva, il preparato alcolico non aveva grandi gradazioni e veniva probabilmente consumato come una zuppa, mancando anche un processo di filtrazione avanzato.
Con la nascita della coltivazione in umido, si scoprì una muffa chiamata Koji-kin (aspergillus orzae) i cui enzimi trasformano in zuccheri gli amidi complessi, rendendo così inutile la masticazione e soprattutto aumentando il tasso alcolico del sake a 18, 20 gradi.
La scoperta fu come nel caso del vino e della birra assolutamente casuale e probabilmente ebbe inizio all’interno di una rudimentale dispensa dove era stata dimenticata una zuppa di riso.
Lo lievito Aspergillus è molto attivo e rende possibile la fermentazione in poco tempo, a differenza dei tempi piuttosto lunghi necessari ai saccaromiceti di vino e birra per trasformare gli zuccheri in alcol.
IL SUCCESSO DEL SAKE
Il sake divenne presto la bevanda ufficiale del palazzo imperiale di Kyoto, e fu al solito un monopolio del potere, che istituì un organismo competente atto alla sua produzione.
Grazie alla creazione di questa istituzione dedicata al solo studio dei processi fermentativi e produttivi, la qualità del sake crebbe molto, ma non si riuscì mai ad eliminare , così come accadeva nel medioevo per vino e birra, l’acidificazione nei mesi più caldi.
In maniera intuitiva si iniziò a “pastorizzare” il sake esponendolo a delle fonti di calore, così come i gli antichi romani, che immagazzinavano il vino sopra le cucine, senza comunque ottenere i risultati che 500 anni più tardi ebbe Louis Pasteur.
Il monopolio del sake fu spezzato durante l’era Meji dove furono promulgate delle leggi che autorizzavano la produzione di sake a tutti coloro che avessero avuto i mezzi per comprarsi i materiali necessari.
Nacquero 30.000 fabbriche che fecero la fortuna del governo che iniziò a tassare la produzione di alcol, questi dazi sempre più crescenti per finanziare guerre e palazzi imperiali, furono anche i responsabili della drastica diminuzione degli esercizi che calarono lentamente a 8.000.
LA STORIA MODERNA
Nel 1904 il governo finanziò l’apertura di un istituto di ricerca sul sake e nel 1907 si tenne il primo concorso di degustazione a testimonianza delle qualità organolettiche del fermentato ricco di complessità e struttura, che lo avvicinano al vino.
Si standardizzò l’uso dei serbatoi smaltati in luogo delle botti di legno, responsabili secondo gli studi di trasmettere i batteri dell’acescenza e cosa non trascurabile di trattenere circa il 3% del prodotto fra le loro fibre, liquido che comunque veniva tassato dal governo.
Lo sforzo bellico sancì la fine di molte aziende, che furono costrette a cedere il riso per lo sforzo bellico e per la produzione di alcol ad uso militare.
Per aumentare la produzione di sake che veniva abbondantemente distribuito alle truppe, seguendo la logica comune a tutti gli eserciti di tutte le guerre, del “coraggio liquido”, si diffuse la pratica di aggiungere alcol di origine agricola a 90°(bietole e canna da zucchero) e diluire con acqua il risultato.
Il sake perdeva molti profumi primari, ma si aumentava la resa di quattro volte, cosa non trascurabile in tempo di guerra.
Oggi, circa il 90% del sake commerciale a basso prezzo, si produce ancora con questa tecnica. Il dopo guerra fu molto pesante per le fabbriche di sake, ma la proverbiale tenacia giapponese fece in modo che la ricostruzione dello status quo procedesse a passi da gigante, fino a raggiungere nuovamente la produzione precedente sia qualitativa che quantitativa.
Altri “nemici” si stavano però affacciando all’orizzonte, nuovi stili di consumo, dettati dal turismo e dall’apertura delle frontiere, il vino, la birra e i superalcolici di importazione fecero la loro comparsa sul mercato e presero sempre più piede fra le abitudini di consumo del popolo giapponese.
Il sake a sua volta, divenne un importante voce dell’export giapponese, grazie alla diffusione della cucina orientale e alla dilagante moda dei sushi bar in tutto il mondo.
PREPARAZIONE E ABBINAMENTI CON IL CIBO
Il sake può essere servito sia caldo, sia freddo, esistendo diverse tipologie e stili di produzione, la cosa importante è che sia fresco di produzione per mantenere i suoi profumi. Il decadimento di un sake, come di un vino novello, inizia dal suo imbottigliamento, quindi prima si consuma , meglio è per poter apprezzare al meglio le sue qualità organolettiche.
In molti ristoranti cinesi si assiste al riscaldamento con il beccuccio della macchina del caffè, cosa deleteria e dannosa al prodotto che viene allungato con l’acqua del vapore e “ scioccato” termicamente da un rapido innalzamento della temperatura.
Il corretto servizio prevede di immergere il tokkuri, la bottiglietta in ceramica per il sake, in una pentola con acqua calda a 40 gradi e di far raggiungere la temperatura desiderata al prodotto.
Gli abbinamenti sono i classici della cucina giapponese, quali sushi , sashimi, tempura e udon, preparazioni delicate e struttura debole, per le quali il vino potrebbe risultare troppo invasivo e con persistenze eccessive. I sake più complessi si prestano anche ad essere consumati a fine cena o come “distillati” da meditazione.