La vitamina D è una sorta di ormone, la cui assunzione stimola la risposta immunitaria e la modula. Per questo nella prevenzione e nella cura del Covid è importante assumerne abbondantemente. E le statistiche lo dimostrano. Nella popolazione italiana c’è un forte problema di ipovitaminosi D, soprattutto al Nord, dove c’è meno sole, grazie al quale la sostanza è sintetizzata attraverso la pelle. Il Piemonte è l’unica regione ad aver inserito la vitamina D nel Protocollo Covid. Parla il professor Giancarlo Isaia, presidente dell’Accademia di Medicina di Torino.
Vigile attesa e paracetamolo. Con questo mantra, il Ministero della Salute ha respinto di volta in volta importanti contributi clinici per affrontare il Covid. Lo stesso atteggiamento di sufficienza è stato utilizzato anche nei confronti della vitamina D, frettolosamente liquidata addirittura come qualcosa di tossico da parte degli “scienziati stars”, invitati in qualunque salotto televisivo a pontificare. Al proposito abbiamo rivolto alcune domande al professor Giancarlo Isaia, Direttore della SC Geriatria e Malattie Metaboliche dell’osso presso l’Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino e Direttore della Scuola di Specializzazione in Geriatria dell’Università di Torino dal 2008. Il dottor Isaia è anche Vice Presidente Nazionale della Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMMS) e, dal 2018, Presidente dell’Accademia di Medicina di Torino.
Professor Isaia, una piccola vittoria l’avete ottenuta?
A seguito dello studio da noi pubblicato (vedi qui), la Regione Piemonte, prima in Italia, ha inserito la vitamina D nel nuovo protocollo per la cura del Covid-19. Questo è un traguardo importante, perché c’erano state tutta una serie di perplessità a riguardo. Secondo l’AIFA e l’Istituto Superiore di Sanità mancherebbero delle evidenze scientifiche incontrovertibili. Questo è vero; però abbiamo una serie di dati che, se presi singolarmente, non sono certo una dimostrazione assoluta, di quanto andremo a dire; ma messi tutti insieme… Come si dice: più indizi fanno una prova.
Da dove siete partiti nel vostro studio?
Nel marzo del 2020 avevamo fatto delle ipotesi – perché all’epoca non c’era nessun dato su Covid e vitamina D –, in analogia con altre virosi nelle quali la vitamina D aveva funzionato; si trattava di semplici suggestioni. A novembre ci siamo messi a riflettere su quanto accaduto nei mesi precedenti e, in effetti, abbiamo visto che erano stati pubblicati su PubMed oltre trecento lavori su questo argomento. Abbiamo selezionato quelli più rilevanti e li abbiamo riprodotti nel nostro documento, che ha raccolto 156 firme di medici italiani, tutti ricercatori, professori universitari, specialisti.
Ci dica qualcosa su questa vostra analisi.
Di particolare rilievo è uno studio sui pazienti Covid, suddivisi tra asintomatici e pazienti molto gravi, ricoverati in TI. Solo il 30% dei primi aveva una ipovitaminosi di vitamina D, a fronte del 97% dei secondi. In un altro caso, in pazienti con pochi sintomi, il ricovero in TI è stato del 2% in coloro che avevano assunto vitamina D; a quanti invece non era stata somministrata, i ricoveri in TI è stato del 50%. E via di seguito, come potete vedere nel documento. Abbiamo fatto girare il nostro studio intorno al 3 dicembre 2020 e non abbiamo ricevuto alcun riscontro da parte di nessuna istituzione, salvo appunto la Regione Piemonte, che lo ha poi inserito nel proprio Protocollo (vedi qui), sia come prevenzione che come terapia. Noi lo riteniamo un grandissimo risultato, sul piano istituzionale.
È l’unica regione?
Da quanto ne so, sì.
Quali sono le azioni benefiche della vitamina D sull’organismo?
Iniziamo col dire che la vitamina D non è una vitamina. Si chiama così, perché quando fu scoperta, negli anni ’30 del Novecento, si riteneva fosse tale, cioè una sostanza che l’organismo non è in grado di produrre, ma deve assumere dall’esterno. Poi però si è scoperto che l’organismo è in grado di sintetizzarla attraverso la pelle, dietro irradiazione solare, ma ormai il nome le era stato dato. Lo dico perché spesso viene confusa con le altre vitamine – e, ahimé, anche il Ministero, nella circolare del 30 novembre, l’ha confusa con le altre vitamine, dicendo che di nessuna di esse esiste evidenza scientifica della loro utilità contro il Covid.
Se non è una vitamina, cos’è?
È una sostanza molto più simile a un ormone e con gli ormoni ha delle analogie strutturali molto marcate. Gli ormoni agiscono su base settoriale, dove ci sono i recettori, come una chiave (l’ormone) con la sua rispettiva serratura (il recettore). I recettori della vitamina D si trovano in moltissimi tessuti, in particolare sui globuli bianchi, sui linfociti. Noi abbiamo due tipi di immunodifese: l’immunità primaria, come la pelle, le mucose, e agisce su tutti i microbi, i batteri, etc. Poi abbiamo l’immunità acquisita che si “specializza” su determinati patogeni. La prima è come le mura di una città, la seconda invece è una specie di contraerea mirata. Di fronte al SARS-CoV-2, i linfociti T, stimolati anche dai recettori della vitamina D, attivano l’immunità acquisita verso questo virus. Quando si crea uno storm citochinico, come è giusto che sia, può capitare che esso sia eccessivo; si determinano allora dei danni vascolari molto importanti. La vitamina D è in grado di bloccare o ridurre lo storm citochinico: da una parte stimola la risposta immunitaria, dall’altra la modula.
La popolazione italiana soffre di ipovitaminosi D, penso soprattutto nelle regioni settentrionali.
I dati della letteratura dicono che l’Italia è un Paese ad altissima prevalenza di ipovitaminosi D. Nelle regioni del Nord, particolarmente nella Pianura Padana, si muore di più, probabilmente perché questa ipovitaminosi è maggiore, perché si prende meno sole, ci sono maggiore umidità e inquinamento atmosferico, che tendono a bloccare i raggi solari. Nel gennaio 2021 abbiamo pubblicato un lavoro svolto in collaborazione con l’ARPA (vedi qui), nel quale abbiamo valutato la quantità di radiazioni ultraviolette piovute sul territorio italiano nel semestre giugno-dicembre 2019. Abbiamo usato un sistema satellitare molto sofisticato e abbiamo potuto dimostrare che la quantità di radiazioni B piovute in ciascuna regione italiana in quel periodo era inversamente proporzionale, con una statistica significativa, rispetto al numero dei morti e degli infetti da SARS-CoV- 2 in ciascuna regione. È un dato che fa pensare ci possa essere un rapporto causa-effetto: i raggi ultravioletti, oltre che provocare la sintesi della vitamina D – fatto senz’altro positivo – possono anche provocare l’uccisione del virus.
Tant’è vero che d’estate infezioni e decessi crollano.
Esatto. Il sole esercita una duplice azione benefica: diretta sul virus e indiretta, provocando la sintesi della vitamina D. La gente deve stare al sole: non avrà che da trarne giovamento, che sia per un motivo o per l’altro. Sono stato colpito dal fatto che alcuni conventi di suore di clausura hanno avuto molti problemi e decessi per il Covid. Mi era tornato in mente che alcuni anni fa, ero stato chiamato da un collega a gestire un convento di stretta clausura vicino a Torino, dove si verificava un alto numero di fratture al femore. Facendo delle analisi, abbiamo visto che le suore erano tutte in ipovitaminosi D. E così, per un’intuizione derivante dall’esperienza clinica, ho iniziato a collegare Covid e carenza di vitamina D.
Tra le persone colpite da complicazioni severe, gli uomini sono in percentuale maggiore rispetto alle donne. Forse perché le donne tendenzialmente assumono colecalciferolo dopo la menopausa?
È un’ipotesi che anche noi abbiamo fatto. C’è però un’altra ipotesi. Sembrerebbe che gli ormoni sessuali maschili, il testosterone, attraverso il recettore ACE-2, faciliti l’ingresso del virus. Però potrebbero essere entrambi i fattori. E ‘ comunque un fatto che la popolazione maschile è più colpita.
E quindi, dottore, che facciamo?
È chiaro che la vitamina D non è la cura per i Covid, ma non è un caso che quasi tutti quelli che muoiono o finiscono in terapia intensiva hanno un problema di ipovitaminosi D. Suggerirei quindi di iniziare a saturare la popolazione di vitamina D.
Perché non lo si è ancora fatto, visto che la carenza di vitamina D crea tutta una serie di problemi, oltre a quelli legati al Covid?
La storia della tossicità della vitamina D è quella che di fatto ha frenato l’AIFA ad autorizzarla. Il 29 marzo 2020, l’agenzia Nova aveva pubblicato una dichiarazione di un membro del CTS, uno di quelli che gira sempre in televisione, il quale aveva detto che, abusando della vitamina D, si rischia l’insufficienza renale (vedi qui). Questo non è vero, perché la vitamina D a cui ci riferiamo noi è il colecalciferolo e non provoca questi problemi; ho visto dare dosaggi veramente eccessivi, senza che abbia provocato alcun problema. Allora, visto, che non fa male, visto che l’ipovitaminosi D è molto diffusa, soprattutto tra gli anziani, sarebbe saggio somministrarla, come hanno fatto in Inghilterra. Purtroppo però la gestione sanitaria della pandemia non è ottimale.
Fonte La Bussola Quotidiana