È ampiamente dimostrato che in questi ultimi anni pochi argomenti sono stati così ampiamente trattati e proposti al grande pubblico come è avvenuto per le pratiche dietetiche finalizzate al controllo del peso corporeo.
Esaminandio i vari regimi alimentari proposti sino ai giorni nostri, si ha l’impressione che troppo spesso le diete propagandate al vasto pubblico abbiano risposto più a criteri fantasiosi e “alla moda”, piuttosto che a quel rigore scientifico che non dovrebbe essere mai trascurato in ambito alimentare e nutrizionale. Da qui a concludere che la popolazione interessata alle diete è pericolosamente esposta a suggerimenti e pratiche ciarlataneschi, il passo è breve. Contribuiscono a questo stato di cose il martellante messaggio della pubblicità e dei mass-media in tutte le loro espressioni, che dedicano amplissimi spazi e numerose rubriche alla volgarizzazione, non sempre corretta e informata, di queste tematiche.
Negli anni ’20 e fino agli anni ’30, la moda impose come modello estetico un tipo di donna privo di tutte quelle sinuosità che sono caratteristiche del sesso femminile per cui la silhouette delle modelle e delle donne più in vista e più ammirate era fortemente mascolina. Peraltro, questo risultato era allora raggiunto non con le metodiche che vengono adottate oggi, cioè con l’uso di prodotti dietetici dimagranti, bensì con l’adozione di tecniche puramente meccaniche consistenti nella fasciatura compressiva delle parti interessate alla riduzione volumetrica, e con l’uso di abiti che per taglio e confezionamento nascondessero le forme.
Dopo gli anni ’30 si registrò un cambiamento del gusto e la moda ha fatto propri i valori più tipici del sesso femminile privilegiando l’opulenza delle forme secondo modelli ben rappresentati dalla scultura greco-romana.
Agli inizi degli anni ’60, con un cambiamento tipico dei gusti legati alle mode, ha progressivamente cominciato a riportarsi in auge un modello ancora rivolto verso caratteristiche androgine; modello che non ha perso il suo valore e che tuttora è ritenuto validissimo da una cospicua percentuale di donne.
Ma il problema della “linea”, da tempo, non è più di esclusiva pertinenza femminile. Anche gli appartenenti all’altro sesso tendono sempre più a fornire di se stessi un’immagine di giovinezza, di forza di dinamismo e, in ultima analisi, di salute che è rinforzata dalla snellezza del corpo ed è offuscata dalla corpulenza.
Dal momento in cui cominciano a diffondersi queste idee, si fanno sempre più ampi e frequenti sulla stampa quotidiana e periodica, nonché sui mezzi radio-televisivi gli spazi dedicati alla dietetica intesa al raggiungimento del “look” indicato e propagandato dalle immagini di modelle, attrici e donne tra le più famose e fotografate del mondo.
Una delle strategie dimagranti più rischiosa è il digiuno totale.
Il digiuno totale è un trattamento di tipo aggressivo cui corrisponde un rapido calo ponderale. Esso divenne popolare come trattamento per combattere il sovrappeso e l’obesità circa 30 anni orsono, anche se le prime osservazioni sugli effetti dei digiuni prolungati risalgono alla fine del XIX secolo.
Nei primi giorni di digiuno la perdita di peso è di poco più di 1 kg/die in gran parte dovuto alla deplezione di acqua e sodio, e scende gradualmente sino a stabilizzarsi intorno a 0,46-0,47 kg/die alla fine del primo mese.
Nonostante questi spettacolari risultati, apparve subito evidente come questa pratica non fosse priva di inconvenienti anche gravi. Dopo i primi giorni, infatti, la perdita di acqua e sodio diminuisce, mentre si fanno sempre più importanti gli effetti catabolici muscolari che comportano significative perdite di azoto, il cui bilancio diviene francamente negativo. Durante il primo mese la perdita di azoto è, in media, 4 gr/die corrispondente a una perdita di 6,5 di tessuto magro prevalentemente muscolare. Questa perdita si stabilizza a 2,4 gr/die (3,5 kg/mese di tessuto magro) nel digiuno prolungato. Fortunatamente, a questa depauperazione proteica sfugge il plasma sanguigno che non si modifica anche per un digiuno dalla durata notevolmente prolungata: le proteine totali, l’albumina, le globuline e la transferrina rimangono in genere nei limiti fisiologici.
Durante le prime settimane di digiuno totale il calo ponderale è prevalentemente correlato alla deplezione idrica e solo il 30-35% della perdita di peso è da ascrivere all’ossidazione dei grassi.
A partire dalla terza settimana di digiuno, la perdita di azoto rallenta, mentre le necessità energetiche vengono coperte da una sempre maggiore quota lipidica. Dopo un mese la perdita di peso di massa grassa rappresenta l’80% della perdita totale, mentre quella proteica si stabilizza intorno al 5%.
Le perdite di elettroliti mostrano una serie di incrementi nei primi giorni di digiuno ritornando in seguito a un livello che viene mantenuto per tutto il resto della durata del trattamento: Il sodio urinario arriva a un massimo di 240-250 mEq/I/die dal 2° al 6° giorno e diminuisce fino a 1,1-1,5 mEq/I/die entro il 10° giorno rimanendo a questo livello per tutta la durata del digiuno. L’escrezione urinaria del potassio aumenta sino a 36-46 mEq/I/die entro il 6° giorno, stabilizzandosi su 1-18 mEq/I/die entro la fine del primo mese.
Il livello del calcio urinario può rimanere alto durante tutto il digiuno e sembra essere ulteriormente accresciuto dalla chetoacidosi; in questo modo ben l’1,5% del calcio presente nell’organismo può andare perduto nell’arco di due mesi.
L’escrezione del Mg può essere in alcuni casi molto elevata e può andare dal 10 al 20% delle riserve corporee.
Fra le altre sono state anche segnalate perdite di fosfato, zinco e rame. Anche per gli elettroliti, come già detto per le proteine, i livelli serici, nonostante le considerevoli perdite, tendono a rimanere a lungo nei limiti della normalità. Al contrario può, invece, verificarsi un notevole impoverimento di vitamine e, in particolare, di B1.
Due problemi hanno indotto molti sanitari ad abbandonare questo tipo di trattamento per l’obesità:
– il danno fisico, anche grave, per il paziente in trattamento;
– l’incapacità di questi di conservare il peso ottenuto.
I problemi clinici associati di digiuno prolungato consistono in ipotensione, ipopotassiemia, iperuricemia con artriti acute gottose, anemie e soprattutto gravi e insopportabili perdite di tessuti magri (muscoli e parenchimi). Tutto ciò rende il digiuno totale così pericoloso da giustificarlo solo in circostanze assolutamente eccezionali e sotto il rigoroso controllo dei sanitari, meglio se in condizioni di istituzionalizzazione.
Agli inizi degli anni ‘70, proteine e combinazioni di proteine furono usate in via sperimentale come integratori nel digiuno al fine di prevenire notevoli perdite non costituite da grassi. Inizialmente i risultati furono promettenti, ma studi svolti successivamente dimostrarono come i livelli di equilibrio dell’azoto rimanessero negativi per diverse settimane nonostante l’incremento dell’assunzione di proteine a molto più di 1g/kg/die.
Rassegna stampa dal sito dieta-dimagrante.com
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