Cinema e società: Il film “Quanto basta” e la sindrome di Asperger

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Il film “Quanto Basta” di Francesco Falaschi con Vinicio Marchioni, Valeria Solarino e Luigi Fedele. Distribuito da Notorious Pictures, arriverà nelle sale il prossimo 5 aprile ma è giusto scrivervene in anticipo per la bellezza della trama e dei sentimenti di amicizia ed amore verso il prossimo. Un film che narra di argomenti poco seguiti e che farà parlare a lungo di se!

La storia: Arturo è uno chef talentuoso, finito dentro per rissa, deve scontare la pena ai servizi sociali tenendo un corso di cucina in un centro per ragazzi autistici dove lavora Anna. Guido ha la sindrome di Asperger e una grande passione per la cucina. L’improbabile amicizia tra i due aiuterà Arturo a cambiare vita.
Il regista Francesco Falaschi:Arturo, cuoco non più di successo, con problemi di controllo dell’aggressività, “troppo bravo per i ristoranti scarsi e troppo sputtanato per quelli fighi”, incontra sulla sua strada Guido, un mite giovane aspirante cuoco con sindrome di Asperger. Quando le circostanze lo obbligano ad accompagnare Guido a un talent culinario – manifestazione che Arturo odia – si crea un rapporto di amicizia e di fratellanza che cambierà i destini di entrambi.
Arturo tratta Guido senza filtri, senza pietismo e in modo istintivo, alla pari, talvolta sbagliando.
Ma di fronte alla “neurodiversità”, che non è inferiorità, del ragazzo, Arturo tende a poco a poco a mutare il proprio comportamento e a ridefinirsi come persona.
Del resto la sindrome di Asperger che caratterizza Guido ha un interessante aspetto metaforico e universale: alcune delle criticità che la caratterizzano, come la difficoltà (non l’impossibilità) ad entrare in empatia con gli altri, e la fatica nel capire le convenzioni sociali e le regole non scritte, sono comuni ai due protagonisti e a tutti i “neurotipici”, i non appartenenti allo spettro autistico.

Arturo ha una forte tendenza alla critica e alla polemica, che ha finito per emarginarlo.
Guido rischia di apparire troppo normale per essere considerato bisognoso di supporto e troppo bizzarro per potersi inserire nel lavoro. Ma entrambi hanno una visione personale del cibo e della gastronomia. E a dispetto della loro eccentricità, ai fornelli sono più tradizionalisti che sperimentatori.
Anche se “Quanto basta” è più un film sull’amicizia che sulla cucina, è davanti al cibo che i due trovano il loro punto d’incontro: sono rigorosi fino all’intransigenza. È nel viaggio che progressivamente si realizza un rovesciamento di prospettiva, fino a far chiedere allo spettatore chi sia quello che sta accompagnando l’altro. Non solo: Guido e Arturo, a tratti, finiscono per sembrare più lucidi e razionali degli altri personaggi: infatti anche Anna e Celso e persino l’amico – nemico di Arturo, Daniel, finiranno per compiere scelte che non ci aspetteremmo da loro. Sento, quindi, una continuità con altri miei lavori, soprattutto Emma sono io, in cui la diversità, vera o apparente, (in quel caso uno squilibrio mentale, la sindrome bipolare), diveniva anche una risorsa e rovesciava lo schema di rapporti tra chi aiuta e chi viene aiutato.

Commedia d’incontri, feel good movie, buddy film, o come vogliamo definirlo, Quanto basta è in primo luogo un film di personaggi, che non ha paura delle emozioni e dei sentimenti positivi. In questo senso fin dall’inizio decisivo è stato il ruolo degli attori, straordinari per la loro preparazione e per la generosità che hanno dimostrato sul set, divenendo veri e propri coautori.
Guido, interpretato da Luigi Fedele, si muove sul set in compagnia di altri 8 ragazzi davvero affetti da autismo, che il cast ha raggiunto per le riprese nella scuola di riabilitazione in Toscana.
Che i ragazzi con sindrome di Asperger dimostrino una certa sensibilità e predisposizione alla cucina (e alle discipline creative e manuali in generale) non è un mistero e in Italia sono molte le associazioni che investono sulla possibilità di offrire loro una formazione in materia che potrebbe fornirgli strumenti validi per l’inserimento nel mondo del lavoro.
Storie ordinarie e straordinarie insieme, quindi, come quella dell’amicizia fraterna che unirà Arturo e Guido, offrendo al primo la possibilità di riscattarsi, tornando ad apprezzare la vita e ciò che ha saputo costruire. E sull’orizzonte di una normalità che si nutre di sentimenti e della capacità di condividere obiettivi più che mettere in mostra le abilità del singolo, il rapporto tra le parti si inverte: chi pensava di dover aiutare l’altro, senza neppure troppa convinzione, finirà per essere salvato a sua volta.

Per chi non fosse informato, la sindrome di Asperger è un grave disturbo dello sviluppo caratterizzato dalla presenza di difficoltà importanti nell’interazione sociale e da schemi inusuali e limitati di interessi e di comportamento. Sono state constatate molte similitudini con l’autismo senza ritardo mentale (denominato ”High Functioning Autism”), ma non si è ancora risolta la questione se la sindrome di Asperger e l’autismo di alto livello siano veramente condizioni diverse. In qualche misura, la risposta dipende dal modo in cui medici e ricercatori fanno uso del concetto diagnostico, dato che fino a poco tempo fa non esisteva nessuna definizione “ufficiale” della sindrome di Asperger. La mancanza di una definizione consensuale ha generato grande confusione: visto che i ricercatori non potevano interpretare i risultati di altri ricercatori, i medici si sentivano liberi di usare tale etichetta allegandovi le proprie interpretazioni giuste o false del “vero” significato della sindrome di Asperger. I genitori erano quindi spesso confrontati con una diagnosi che nessuno capiva bene e, peggio ancora, della quale nessuno sapeva cosa fare. L’ambito scolastico non era a conoscenza di questa condizione e le assicurazioni non potevano rimborsare delle prestazioni fatte sulla base di una diagnosi “non ufficiale”. Non esisteva alcuna informazione stampata che desse sia ai genitori sia ai medici delle linee guida sul senso e sulle conseguenze della sindrome di Asperger, includendo il tipo di valutazione diagnostica e il tipo di terapie e interventi giustificati.

Questa situazione è cambiata un po’ da quando la sindrome di Asperger è stata resa “ufficiale” nel DSM-IV (APA,1994), in seguito ad un esame in campo internazionale in cui sono stati coinvolti più di mille bambini e adolescenti affetti da autismo e da disturbi correlati (Volkmar et al., 1994). Tali esami (field trials) avevano dimostrato che era legittimo includere la sindrome di Asperger in una categoria diagnostica differente dall’autismo, nel gruppo che include i disturbi pervasivi dello sviluppo. Rilevante è che su questo disturbo sia stata raggiunta una definizione consensuale, che dovrebbe fungere da cornice di riferimento per tutti coloro che usano questa diagnosi. Tuttavia, i problemi sono lontani dall’essere risolti: nonostante alcune nuove direzioni di ricerca, la conoscenza della sindrome di Asperger rimane ancora molto limitata. Ad esempio, non sappiamo quanto essa sia realmente diffusa, né quanto rilevante sia il rapporto tra maschi e femmine e neppure quanto sia forte l’impatto dei legami genetici nell’aumento delle probabilità di trovare le stesse condizioni fra la parentela.
La ricerca scientifica, e la conseguente prestazione di servizi, sta naturalmente solo cominciando. I genitori sono esortati ad essere cauti e ad usare un approccio critico verso le informazioni ricevute. Fondamentalmente, nessun tipo di etichetta diagnostica riassume le caratteristiche di una persona. E’ infatti necessario prendere in considerazione sia i punti di forza sia i punti deboli della persona stessa, fornendo quindi un intervento individualizzato che risponda a questi bisogni (valutati e monitorizzati in modo adeguato). Nonostante il percorso fatto, cerchiamo tuttora di definire questa strana incapacità di imparare le abilità sociali, di stabilire quante persone essa riguarda e di decidere cosa possiamo fare per quelle che ne sono affette. Le linee guida seguenti ricapitolano parte dell’informazione attualmente ottenibile su tali questioni.

Le caratteristiche cliniche della sindrome descritte abitualmente includono: a) scarsezza di empatia; b) interazione sociale unilaterale, inappropriata e senza malizia, poca abilità di formare delle amicizie e conseguente isolamento sociale; c) linguaggio monotono e pedante; d) scarsa comunicazione non verbale; e) profondo interesse in tematiche circoscritte come il tempo, i fatti di trasmissioni televisive, gli orari ferroviari o le carte geografiche che, memorizzate in modo meccanico, riflettono poca comprensione conferendo inoltre un’impressione di eccentricità; f) movimenti goffi, maldestri e posture bizzarre.




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