Spazio – Acqua sulla Luna alla luce del sole

460

Spazio – Il “telescopio volante” Sofia, installato a bordo di un Boeing 747, ha fornito la prima prova diretta e inequivocabile della presenza di molecole d’acqua sul nostro satellite anche al di fuori delle regioni in ombra permanente ai poli lunari, con un’abbondanza tra le 100 e le 400 parti per milione. Lo studio è pubblicato su Nature Astronomy.

Il sospetto che di acqua, sulla Luna, ce ne fosse un po’ ovunque gli scienziati già lo avevano da tempo – almeno da quando le misure compiute nel 2009 con lo spettrometro Nasa Moon Mineralogy Mapper, a bordo dell’orbiter lunare indiano Chandrayaan-1, avevano suggerito che potesse essere ubiquamente incastonata su tutta la superficie, e non solo ai poli. Oggi è giunta la conferma. E non è arrivata da un rover o da un orbiter al lavoro attorno al nostro satellite naturale, bensì da un “telescopio volante” installato nella fusoliera di un Boeing 747SP: Sofia, lo Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy della Nasa e dell’agenzia spaziale tedesca Dlr.

La scoperta è stata pubblicata in contemporanea – entrambe oggi, nello stesso numero di Nature Astronomy – a quella sulla stima dell’enorme quantità di ghiaccio d’acqua che pare sia intrappolata nelle zone d’ombra perenne della Luna. Le molecole individuate da Sofia, per quanto in quantità assai più modesta, si trovano invece nelle regioni illuminate dalla luce del Sole – regioni dunque diverse da quelle permanentemente all’ombra nei poli lunari.

“È dagli anni Sessanta, da quando le prime rocce lunari furono portate sulla Terra, che cerchiamo acqua sulla Luna”, ricorda Alessandra Roy, scienziata del progetto Sofia alla Dlr. “Tuttavia, la maggior parte di questi campioni non ha mostrato alcuna prova della sua presenza”.

Presenza che Sofia è invece riuscita a rivelare grazie al suo spettrografo infrarosso Forcast. La misura risale al 30 agosto 2018, e ha consentito agli scienziati di identificare l’impronta digitale inconfondibile delle molecole d’acqua nei pressi del grande cratere Clavius, nell’emisfero meridionale della Luna – sulla faccia a noi visibile, ovviamente. Ed è una scoperta che pone alcuni interrogativi non banali.

«Le parti della Luna illuminate dal sole possono raggiungere temperature di circa 230 gradi Celsius. Non avendo praticamente atmosfera, non c’è nulla che protegga l’acqua dal calore della luce del sole, e a questa temperatura evapora. Non c’è modo di trattenerla», spiega Roy. “Eppure, l’acqua è presente sulla superficie”.

Com’è possibile? Le teorie al vaglio degli scienziati sono due. La prima è che siano le micrometeoriti che colpiscono in continuazione la superficie della Luna a trasportare piccole quantità di acqua, depositandole dunque all’interno della roccia quando entrano in collisione con essa. Un processo nel corso del quale l’acqua viene racchiusa in minuscole strutture di vetro simili a perline. La seconda teoria è che si verifichi un processo a due stadi, in cui l’idrogeno del vento solare raggiunge la superficie della Luna, dove si combina con l’idrossile – un atomo di idrogeno legato a un atomo di ossigeno – per formare l’acqua.

Quale che sia il processo di formazione, la scoperta interessa le agenzie spaziali in vista di missioni di lunga durata con equipaggio umano, dunque con la necessità di poter contare su riserve d’acqua liquida. Certo, si tratta di capire bene quanta. Le stime indicano un’abbondanza compresa fra le 100 e le 400 parti per milione. “La quantità d’acqua scoperta da Sofia equivale all’incirca al contenuto di una lattina da 300 ml distribuita però sulla stessa superficie di un campo da calcio”, spiega Roy. “La Luna si conferma dunque più secca di qualunque deserto qui sulla Terra, ma la quantità di acqua che è stata scoperta potrebbe rivelarsi comunque importante per le future missioni con equipaggio nello spazio”.

A proposito di Sofia; non orbita come Hubble o gli altri osservatori spaziali. SOFIA, acronimo che sta per Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy, vola su un aereo. Si tratta di un telescopio a infrarossi in grado di scrutare l’Universo a bordo di un Boeing 747. Grazie alle sosfisticate tecnologie di cui è dotato, SOFIA può intercettare la luce infrarossa, volando al di sopra delle nubi, scavalcando il 99 per cento del vapore acqueo dell’atmosfera terrestre che blocca la maggior parte dei raggi infrarossi. L’aereo può raggiungere quote di 13 mila metri di altitudine.

Quale telescopio astronomico aereo più grande del mondo, Sofia può produrre immagini di qualità tre volte superiori a quelle del Kuiper Airborne Observatory, che, montato su un Hercules C141, ha svolto la sua attività dal 1974 al 1996.

Il cuore di Sofia, ben protetto dal sole grazie a particolari filtri, è inserito in uno slot all’interno del Boeing. Attraverso l’apertura di un portello, SOFIA può gettare il suo sguardo lontano, scattare fotografie da posizioni privilegiate e compiere osservazioni impensabili per i telescopi terrestri. “Questo telescopio offre alla comunità astronomia internazionale una nuova piattaforma, altamente versatile, per studiare l’Universo”, ha detto Bob Meyer, program manager del telescopio volante.




Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *