Conclusasi la tornata elettorale presidenziale per la Francia è il momento di fare i conti con il passato, un passato recentissimo. Già perché coloro che pensavano di vedere i Paese voltar pagina si sono dovuti ricredere. Emmanuel Macron ha vinto e con un discreto margine il ballottaggio con Marine Le Pen. Sul risultato ha pesato la paura del populismo, il timore dei ricchi francesi di dover perdere i loro privilegi e dei meno abbienti delle balie timorosi di quanto sarebbe potuto accadere loro in caso di vittoria della candidata de Fronte Nazionale.
A Parigi la Le Pen ha ottenuto il 5% dei voti. Addirittura quinta. Ovvio. La città per eccellenza degli snob radical chic non la vota. La Parigi vera e’ piccola e sono tutti ricchi (è una delle tre città più care d’Europa), tengono gli immigrati nelle banlieu, fuori dagli eleganti boulevard. Conosco bene la ‘Ville Lumiere’ ed è facile incontrarne per strada, persone senza dimora che chiedono l’elemosina ed i ricchi parigini si fermano buoni e compassionevoli a parlarci, gli regalano qualche euro, ma… si guardano bene a Parigi dal regalargli un quartiere in centro, come può essere l’Esquilino a Roma. I parigini sono esattamente come i residenti di alcuni quartieri romani, quelli che votano tutti pd e sono buonisti radical chic, ma non vorrebbero mai gli immigrati sotto casa loro. Ricordate il caso prettamente italico di Capalbio?
Ma torniamo alla Francia del presente ed a quella che verrà!
Macron ha creato un governo ‘misto’ per cercare di ottenere i favori di tutti ma non è detto che ciò potrà stabilizzare la Francia. Il neo presidente corre il rischio di ritrovarsi senza una maggioranza in Parlamento. Molto più che dalle presidenziali, la stabilità politica della Francia dipenderà dalle elezioni per l’Assemblea nazionale del 11 e 18 giugno.
Già perché i francesi si avvalgono di un sistema istituzionale, la Quinta Repubblica, costruito attorno a un presidente monarca e all’alternanza dei due grandi partiti tradizionali, quello gollista e quello socialista. Un sistema elettorale a doppio turno, che prevede che nei singoli collegi vadano al ballottaggio i candidati che hanno ottenuto il 12,5% dei voti, un sistema politico che, se ha sperimentato la coabitazione, non ha mai dovuto ricorrere alle grandi coalizioni.
Con l’avanzata del Front National di Marine Le Pen e la nascita del movimento ‘En Marche!’ di Emmanuel Macron, è in corso “la prima ricomposizione del sistema politico dal 1958”, ha spiegato su Le Monde il politologo Zaki Laidi, convinto che Macron alla fine otterrà una maggioranza all’Assemblea nazionale. Ma, vista la mancanza di radicamento territoriale di En Marche, altri analisti scommettono su uno scenario sempre più familiare in Europa: un’Assemblea nazionale frammentata, senza una maggioranza, al punto da mettere in pericolo la stabilità della Francia.
Sembra infatti che , nel migliore dei casi, alleati con i centristi dell’Udi, i Republicains di Francois Fillon avrebbero appena 4 seggi di maggioranza nella futura Assemblea nazionale.
A confrontarsi alle elezioni legislative saranno quattro o cinque blocchi politici: il Front National all’estrema destra, i Repubblicani a destra, ‘En Marche!’ al centro, il Partito socialista alleato con i Verdi a sinistra, il Front de Gauche e i comunisti all’estrema sinistra.
Guarda Attualmente ogni blocco appare accreditato di una percentuale tra il 15 e il 25, cosa che consentirebbe loro di accedere al ballottaggio, annullando di fatto l’effetto aggregatore del maggioritario a due turni alla francese.
Il rischio di ingovernabilità all’Assemblea nazionale non è affatto un’utopia e metterebbe Macron davanti ad una situazione intricata: la coabitazione – con un presidente di uno schieramento che gestisce la politica estera e un governo di un altro schieramento incaricato della politica interna, come accaduto con Francois Mitterrand e Jacques Chirac non sembra avere molte chance.
Costruire una grande coalizione, come in Germania o in Austria, sarebbe un’impresa quasi impossibile vista la cultura politica fortemente polarizzata della Francia.
Sciogliere l’Assemblea nazionale e andare a elezioni anticipate? Per la Francia si aprirebbe un
lungo periodo di incertezza e paralisi politica che farebbe male ai francesi e molto male all’Europa.
Francesi che hanno bocciato il mandato presidenziale di Francois Hollande e che ora si trovano a rischiare di misurarsi con la continuità socialista. Certo Macron ha abbandonato i socialisti, ha fondato il suo partito ma le nomine governative di questi giorni creano molti dubbi anche nel suo elettorato.
Il caso più eclatante riguarda il nuovo ministro degli Affari Esteri e per L’Europa, Jean-Yves Le Drian. Il suo è un caso mai verificatosi: infatti la sua nomina ha fatto si che per la prima volta, nella storia della Quinta Repubblica francese, un ministro resti al governo dopo l’elezione di un nuovo presidente. Le Drian passa dalla Difesa agli Esteri dopo aver servito per anni sotto la presidenza Hollande prima con il governo Ayrault, poi con il governo Valls. La scelta di Macron di confermarlo ministro circolava già da molto tempo. Lo stesso Le Drian, quando ancora apparteneva al Partito Socialista, aveva visto di buon occhio la scelta di Macron di candidarsi all’Eliseo e già a marzo aveva dichiarato di aderire al movimento En Marche!.
La sua nomina è la conferma di come la presidenza Macron è una rivisitazione in chiave contemporanea della presidenza Hollande. Macron è ormai, a tutti gli effetti, l’araba fenice del cosiddetto “hollandismo”, che, una volta bruciatosi nella perdita di consenso e nella fine del Partito Socialista, è risorto dalle sue ceneri nella forma del movimento ‘En Marche’.
Le Drian, ai tempi della Difesa, era stato un acceso sostenitore dell’impegno della Francia contro il terrorismo internazionale e aveva stretto ottimi rapporti con molti Stati-chiave del Medio Oriente e dei Paesi emergenti. Fu sotto la sua direzione che la Difesa francese riuscì a vendere più di ottanta aerei Rafael tra India, Egitto e Qatar e la Francia decise di intervenire e assumere il comando di molte azioni militari francesi in territorio africano per sconfiggere le frange radicali dell’islamismo subsahariano legate ad Al Qaeda e allo Stato Islamico.
Importante sottolineare che Le Drian non ha mai smentito le indiscrezioni pubblicate da molti quotidiani francesi ai tempi della sua nomina alla Difesa, che lo volevano affiliato alla massoneria francese, in particolare al Grande Oriente di Francia. Fu lo stesso Philippe Guglielmi, storico gran maestro dell’Ordine, a definirlo un fedelissimo affiliato alla massoneria francese. A conferma di questo, c’è da ricordare che il suo braccio destro al ministero, Cédric Léwandowski, è stato pubblicamente riconosciuto quale fratello massone del Grande Oriente di Francia. Indizi che sembrano effettivamente convergere sul ruolo che la massoneria potrebbe avere avuto in questa scelta.
Lo stesso Le Figaro, giornale molto in linea con l’establishment francese, non certo una fornace di “fake news” complottiste, in un suo articolo di qualche anno fa analizzò l’importanza della massoneria francese per l’Eliseo e inserì Le Drian fra le figure di spicco di questo intreccio fra poteri occulti e presidenze di Francia. Adesso è ministro degli Esteri e per l’Europa. Un ruolo in cui la sua storia politica, il suo passato alla Difesa e la sua affiliazione al Grande Oriente, certamente saranno di aiuto per capire meglio come si indirizzeranno le sue azioni.
La scelta di nominare Jean-Yves Le Drian alla guida del dicastero dell’Europa e degli Affari Esteri, se tutto ciò verrà confermato, (ad oggi non sono giunte conferme ma neppure smentite di sorta dal diretto interessato) darà sicuramente adito a molte speculazioni su quanto il presidente Macron sia legato a tutti quei poteri forti che in Francia, come in Europa, ancora detengono un ruolo fondamentale in termini di scelte di politica finanziaria ed estera.
A proposito di finanze Emmanuel Macron ha promesso di riportare il deficit francese entro il 3% per accontentare gli oligarchi di Bruxelles ed i loro azionisti di maggioranza tedeschi. Fin qui nulla di cui meravigliarsi: Macron è stato ‘formato’ dall’establishment filo UE capitanato da Jacques Attali, quello dell’eutanasia per tutti coloro che non possono permettersi la sanità.
Per far questo ha annunciato il dimezzamento dell’aumento della spesa sanitaria (ovvero i cittadini se vorranno curarsi dovranno pagare), il licenziamento di 50.000 dipendenti pubblici ed il taglio dei trasferimenti , il tutto per una cifra prossima a circa 60 miliardi di euro, congiuntamente all’eliminazione di quasi tutte le tutele per i lavoratori privati.
Una manovra che secondo il presidente non dovrebbe impattare sulla disoccupazione che anzi, dovrebbe subire un ridimensionamento, consentendo al governo di risparmiare sugli ammortizzatori sociali (la famosa austerità espansiva che l’Italia ha già sperimentato con Monti).
Macron ha aggiunto di voler esonerare l’80% dei francesi dal pagamento della tassa sulla prima casa, tagliare le tasse alle imprese di 8,3 punti percentuali portandole dal 33,3 al 25% ed avviare una valida campagna di lavori pubblici per stimolare l’economia.
Esiste pero un muro digomma che si chiama Unione Europea, la stessa che tiene sulla graticola la nostra martoriata Italia: Juncker e Schauble hanno già ricordato a Macron che la Francia spende troppo e male e che lui deve rispettare i vincoli di Maastricht.
Allez-Macron la salita è appena cominciata e la strada è tutta da costruire.
Raffaele Dicembrino