A Caracas i bimbi non sono rispettati anzi, in tutti il Venezuela la vita dei più piccoli, ma oin generale lo stile di vita di tutta la popolazione sta trascorrendo un periodo molto difficile. Negli ultimi 5 anni a Caracas è aumentato in modo significativo il numero di bambini orfani a causa della malavita. Considerando il 10% dei casi di omicidio registrati nell’obitorio di Bello Monte nel primo trimestre dell’anno, un totale di 1.600 bambini e adolescenti sono rimasti orfani. In totale sono stati registrati 1.334 cadaveri tra gennaio e marzo. Di questi, il 60% corrisponde a casi di omicidio, pari a 800 genitori morti.
Secondo le stime del Cicpc (Cuerpo de Investigaciones Científicas, Penales y Criminalísticas), negli ultimi cinque anni il Paese è stato considerato uno dei più violenti del mondo, con oltre 132 mila persone assassinate, e di conseguenza 66.034 bambini e adolescenti rimasti orfani. La figura maschile è quella più colpita. Il 95% delle vittime di omicidio infatti sono uomini. Stando alle cifre dell’obitorio, nel mese di gennaio sono risultati orfani 604 bambini e adolescenti, a febbraio 243 e a marzo 255 minori.
Sempre in queste ore è stata presa una ferma presa di posizione contro chi governa il Venezuela da parte degli stati vicini sempre più preoccupati per la deriva di un paese confinante o comunque territorialmente molto vicino. Così l’attesa dichiarazione del Consiglio dell’Organizzazione degli Stati Americani (Osa) sulle violazioni dei principi democratici da parte del governo venezuelano è stata approvata, da 20 dei 35 Paesi che compongono l’organismo internazionale. Il documento chiede al presidente Nicolàs Maduro il ripristino della Costituzione, la restituzione dell’autonomia dei poteri pubblici, la tutela dei poteri del Parlamento, la liberazione dei prigionieri politici e la definizione di un calendario elettorale certo, dopo la bocciatura del referendum revocatorio nel 2016 e lo slittamento delle elezioni comunali e statali. La decisione è stata definita dal presidente “insulsa, abusiva ed inefficace”, rinnegando così l’autorevolezza dell’organismo panamericano.
E la Chiesa che posizione ha in tutto questo? Nei giorni successivi alle sentenze incostituzionali del Tribunale Supremo di Giustizia con le quali aveva esautorato l’Assemblea Nazionale, la Chiesa venezuelana è stata ferma nel richiamare lo stato di diritto nel Paese. I leader ecclesiastici hanno anche giudicato vana la rettifica del governo di Maduro in merito alla decisione del Tribunale perché comunque non cambia la realtà, ovvero, la deriva dittatoriale del Paese. Già venerdì scorso, la Conferenza episcopale in un comunicato aveva avvertito sul carattere totalitario della sentenza del Tribunale contro l’Assemblea Nazionale. “Si apre la porta – si legge nel testo- dell’arbitrarietà, della corruzione e della persecuzione. Una distorsione moralmente inaccertabile”.
“Il blocco all’Assemblea nazionale persiste. Sono preoccupato dal fatto che il Paese sia in uno stato di emergenza per quanto riguarda le questioni dello sviluppo economico da circa un anno. Questo non è normale”. Queste le dichiarazioni del card. Jorge Urosa Savino pubblicate dal quotidiano “El Nacional”. Il porporato ha spiegato che anche altre misure, come l’annullamento del referendum revocatorio nel 2016, il rinvio delle elezioni per i governatori e la sospensione dei deputati della opposizione eletti democraticamente, sono fattori che configurano “una situazione di dittatura”. L’arcivescovo di Caracas ha nuovamente manifestato la sua preoccupazione per la gente che soffre “dolorosamente” la mancanza di alimenti e di medicine e si sente sopraffatta “dall’angoscia e dalla disperazione, senza speranza”.
“Le correzioni alle sentenze – ha dichiarato il cardinale Baltazar Porras, arcivescovo di Mérida, sono solo ritocchi cosmetici che non risolvono in assoluto la situazione, perché sono ancora in atto le misure che usurpano il potere autonomo dell’Assemblea Nazionale e confondono la popolazione”. Il porporato ha fatto riferimento alla “revisione delle sentenze” richieste dallo stesso presidente Maduro che in piena notte, ha fatto marcia indietro dopo la valanga di critiche da parte dell’opposizione, le proteste dei cittadini e le reazioni immediate di numerosi Paesi che hanno qualificato le misure come un colpo di Stato.
Il cardinale. Porras ha ricordato che resta ancora attuale la esortazione del cardinale Segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin nella quale chiese al governo il ritorno alla piena autonomia delle funzioni del Parlamento e aggiunse: “Questo è un richiamo universale di tanti Paesi”. In questo contesto, l’arcivescovo di Mérida ha detto che se ci sono “ragioni per disconoscere il potere legislativo è il popolo che lo ha eletto a dover decidere”. Di seguito, il porporato ha ribadito che se “le misure del regime chavista continuano possono diventare un invito al caos e al disordine e, di conseguenza, provocare un bagno di sangue”.
Il presidente della Conferenza episcopale venezuelana, monsignor Diego Padrón ha dichiarato che la nazione “avanza verso il totalitarismo” e ha rivendicato il diritto della popolazione a protestare. Questo il senso dell’appello, nel comunicato dell’episcopato, alle diverse forme di contestazione come la disubbidienza civile come una delle forme pacifiche e responsabili per esprimere i richiami ai poteri pubblici nazionali. “Le decisioni politiche – ha detto a Union Radio- hanno gravi conseguenze per il destino del Paese, dunque, non ci saranno soluzioni finché la società civile non sarà consapevole del proprio ruolo e costringa i partiti a prendere posizioni consistenti”. Ha poi aggiunto che “di fronte a queste sentenze i magistrati dovrebbero dimettersi. E’ una opinione non solo dell’Assemblea Nazionale, ma dei giuristi del Paese, che hanno ritenuto i fatti un colpo di Stato Giudiziale”.
Dal 1999 il Venezuela vive una rivoluzione che prima aveva entusiasmato la popolazione, poi l’ha delusa e infine la preoccupa. Nel 1999 Hugo Chávez aveva assunto i comandi del paese grazie al voto. Militare ex golpista, cristiano diventato socialista, si era lanciato in vasti programmi di lotta alla povertà finanziati con gli introiti petroliferi. Aiuti e sussidi di ogni sorta sono stati concessi ai più bisognosi, che hanno beneficiato anche di uno sforzo enorme per migliorare l’istruzione. Aziende ed enormi proprietà fondiarie sono state nazionalizzate. Le terre sono state ridistribuite e messe a disposizione di cooperative agricole.
Lo hanno appellato “bolivarismo”, dal nome di Simón Bolívar, il grande liberatore dell’America Latina. Perfetto, tutto ottimo perché questa redistribuzione delle ricchezze ha sanato un’enorme ingiustizia economica e sociale. Il problema, però, è che questa rivoluzione non si è mai preoccupata di investire nello sviluppo del paese.
Il governo venezuelano si è limitato a incassare assegni sul petrolio, ed è stato talmente convinto di incarnare la giustizia da pensare che non fosse necessario concedere la libertà ai nemici del popolo. Quando il prezzo del petrolio è crollato, l’economia è affondata. Chávez è morto, e il suo successore, l’attuale presidente, non ha certo il suo carisma. Le opposizioni hanno vinto le elezioni politiche del 2015 e hanno dato vita a un permanente braccio di ferro tra il parlamento e il capo dello stato, che si è aggiunto al disastro economico.
In condizioni normali Nicolás Maduro sarebbe già dovuto cadere. Dalle medicine agli alimenti, in Venezuela manca tutto. L’insicurezza è oltre ogni limite. Quest’anno l’inflazione potrebbe superare il 2.000 per cento. Più del 78 per cento dei venezuelani non vuole più saperne di questo governo, ma l’esercito, coperto di privilegi, appoggia il presidente. L’opposizione è spaccata e le grandi istituzioni come la corte suprema sono nelle mani degli uomini fedeli al presidente.
Il governo non fa altro che sopravvivere a se stesso, ma ha la forza per farlo e le uniche minacce sono rappresentate dalla crescente divisione interna, dalle pressioni internazionali e dalle prossime elezioni che si terranno nel 2018. In teoria perché continuando di questo passo anche le stesse elezioni saranno messe in dubbio o posticipate con qualche scusa.
Il Venezuela, un grande paese dalle immense riserve petrolifere sta sprofondando e la popolazione soffre. La sofferenza di un popolo va compresa, va studiata e ne vanno accertate le vere cause per poi impegnarsi nel risolverle. Questo dovrebbe fare chi governa un Paese ed il non farlo è altamente insidioso per il consolidamento del proprio potere e per la violenza che può accrescersi nel paese fino ad arrivare ad un’implosione che vorremmo non si verificasse mai.