LETTERA ALLA RAGAZZA CHE HA CONTESTATO LA HARGOT A TOR VERGATA

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LETTERA ALLA RAGAZZA CHE HA CONTESTATO LA HARGOT A TOR VERGATA

8 marzo 2017
Oggi è cominciato il tour di Thérèse Hargot in Italia, come chi bazzica questo sito ormai sa (fin troppo bene): siamo stati a Tor Vergata, alla Feltrinelli di Largo Argentina e a Villa Sora, dei Padri Salesiani di Frascati. Per essere più precisi, in questi posti ci siamo stati “noi”: grazie agli scioperi con cui hanno deciso di festeggiare l’8 marzo, tra le donne private dei loro diritti c’è stata anche la stessa Hargot, che non è riuscita a prendere un aereo utile in mattinata.

Quando le cose sono ben fatte, però, niente è perduto. Così se da un lato il fotografo che era arrivato nell’auditorium Ennio Morricone per immortalare la transalpina biondità di una belga effervescente si è trovato davanti solo me… dall’altro ho avuto la gioia di vedersi muovere idee. Così rumorosamente che qualcuno ne ha avvertito comprensibile fastidio. Una ragazza, in particolare, ha chiesto la parola alla fine dell’incontro e si è prodotta in un intervento che tirava in ballo insieme il crollo demografico italiano e il “diritto alla felicità”, il tutto per esaltare le unioni omosessuali: «Trovo scandaloso che la autrice si permetta di esprimersi in questo modo sugli omosessuali», avrebbe riferito a un mio amico che l’avrebbe interpellata di lì a qualche minuto (ripenso al capitolo del libro sull’omosessualità e mi meraviglio di come possa essere considerato scandaloso un testo tanto moderato, delicato e ragionevole…). L’intervento è stato accolto da un applauso scrosciante, manco a dirlo. E qua e là, dal tavolo dei relatori, intravedevo ragazzi che si guardavano con occhiate inequivocabili: «Ma da dove vengono questi? “Metodi naturali”? E che sono?».17097430_10155023810357383_4291668807195273253_o.jpg

Captavo pure i segnali di un’attenzione partecipe che mi ripagavano anche della corsa lungo il raccordo, degli imbottigliamenti sulla bretella per Fiumicino, delle orribili strade sfondate di Tor Vergata. Uno di quegli sguardi proveniva da una ragazza, che nel pomeriggio mi ha ritrovato su Facebook e mi ha scritto dicendo: «Quella domanda posta alla fine meritava una risposta un po’ più generosa». Era vero, l’avevo pensato anche io. E già diversi amici me l’avevano detto. Le ho chiesto cosa avrebbe risposto lei e la sua risposta mi è piaciuta. Così le ho chiesto di stenderla tutta per intero in forma di lettera alla sconosciuta pasionaria e ho il piacere di proporla qui di seguito.

Cara ragazza che stamattina hai preso parola a Tor Vergata al convegno sul libro della Hargot. Sono contenta che tu ci fossi. C’ero anche io. E mi sarebbe piaciuto che ci fosse stato più tempo per rispondere al tuo intervento.

Probabilmente se ci fosse stata la possibilità di rispondere non avrei preso parola, ma tornando a casa le tue parole mi hanno interrogata e ti ringrazio. Hai iniziato il tuo intervento dicendo: «Se come avete detto esiste il diritto alla felicità…» e su questo vorrei concentrarmi.

Mi sono domandata: esiste il diritto alla felicità inteso come diritto inviolabile garantito dalla Costituzione, alla pari, ad esempio, del diritto alla vita, all’integrità personale, alla libertà di pensiero? Può essere lo Stato garante del mio diritto alla felicità? La felicità non è un diritto inviolabile costituzionalmente inteso. Lo Stato si fa sì garante di diritti che possono portare alla felicità ma non può garantire la felicità in sé.

Ma che cos’è la felicità? Quando posso dire di essere felice? Credo che nessuno di noi possa dare una definizione di felicità che sia valevole per tutti e in ogni circostanza, si tratterebbe infatti di inquadrare in un’enunciazione oggettiva sentimenti e stati d’animo del tutto soggettivi. Per spiegarmi meglio, basta a tutti un bicchiere di vino con un panino per essere felici? Credo proprio di no.

E per me che cos’è la felicità? La felicità è il sorriso di un bambino, è la famiglia riunita nelle feste di Natale, è l’amore corrisposto, è il successo come traguardo raggiunto dopo tanti sforzi. Anche se riflettendoci bene tutto questo può essere transitorio. Ciò che invece non lo è, è l’incontro con la Verità, con una Persona che come noi ha fatto sì i conti con la quotidianità, con il dolore, con la morte ma che non ha dato a questi l’ultima parola, un incontro che segnando la mia vita mi ha fatto gustare la felicità nella consapevolezza di essere amata nonostante i miei tradimenti e le mie mancanze, nonostante le mie debolezze e i miei inciampi; Lui sì che è garante della mia felicità.

Forse a te, cara amica, di questo non interessa molto, ma credo sia alla base del resto del tuo intervento. Hai parlato infatti dell’impossibilità di creare una famiglia in una società che non permette ai giovani un lavoro gratificante e uno stipendio sicuro. Inoltre, non si hanno politiche a favore della famiglia e della donna come madre. Se guardiamo tutto questo facilmente avremo la reazione che hai avuto tu, di rabbia e di sconforto nei confronti di una società che ci chiede spesso di accontentarci e di scendere a compromessi per ottenere ciò per cui invece sudiamo e lottiamo con lo studio, con l’impegno e con la dedizione.

Forse è vero ciò che si diceva oggi e cioè che dal femminismo non abbiamo ottenuto abbastanza, non l’essenziale che ci rende Donne. È stato legiferato a favore del divorzio, dell’aborto, siamo volute diventare uguali agli uomini in tutto e per tutto, ma siamo sicure che sia questo a renderci felici? Io credo di no. Credo che nel profondo siamo tutte alla ricerca della vera felicità, di una fonte di acqua viva che ci permetta di essere vere donne e che ci insegni a vivere la nostra vocazione di accoglienza e di servizio.

Ti ringrazio ancora perché con le tue parole mi hai dato la possibilità di interrogarmi. Spero come giovane donna di avere la tenacia e la fermezza di non piegare la mia natura a ciò che la società mi impone, consapevole che questa forza non viene solo da me.

Maria Pilar Cappelli

17190444_10155082022804137_6093864790117003565_n.jpgLa trovo molto bella. E profonda. Mi conferma in quello che dicevo prima: sì, c’era proprio bisogno di pubblicare in Italia il libro di Thérèse. Non tanto perché dica cose che nessun altro dice (magari comunque le comunica con un’efficacia che dovrebbe far riflettere tutti…), quanto perché riesce a riaprire dibattiti che parevano blindati. E vengono fuori le domande inespresse, che pure a modo loro esigono risposte.

Sarebbe bello se ogni tappa di questo tour, che domani ci porta ad Arezzo, riuscisse a raccogliere una lettera così, in una sorta di testimonianza del

bisogno
d’amore
che c’è.

di Giovanni Marcotullio




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