Papa Francesco e Chiesa in movimento

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La “Chiesa che annuncia se stessa” e le “chiacchiere” stigmatizzate di Guidonia sono due dei molteplici argomenti toccati da Papa Francesco nelle ultime ore. Nemmeno il freddo di queste ore ha rallentato gli impegni del Pontefice. Per seguire Gesù bisogna camminare, non rimanere fermi con “l’anima seduta”.
La gente segue Gesù, lo segue per interesse o per una parola di conforto. Papa Francesco si è soffermato sul Vangelo odierno per sottolineare che, anche se la purezza di intenzione non è “totale”, perfetta, è importante seguire Gesù, camminare dietro a Lui. La gente, ha ripreso, era attratta dalla Sua autorità, dalle “cose che diceva e come le diceva, si faceva capire; anche guariva e tanta gente andava dietro a Lui per farsi guarire”. Certo, ha osservato, alcune volte Gesù ha rimproverato la gente che lo seguiva perché era più interessata ad una convenienza che alla Parola di Dio.
“Altre volte – ha ripreso – la gente voleva farlo Re, perché pensava: ‘Questo è il politico perfetto!’”, ma la gente “sbagliava” e “Gesù se ne è andato, si è nascosto”. Il Signore però si lasciava seguire da tutti, “perché sapeva che tutti siamo peccatori”. Il problema più grande, ha dunque affermato Francesco, “non erano quelli che seguivano Gesù”, ma quelli che restavano fermi. I fermi! Quelli che erano all’orlo del cammino, guardavano. Erano seduti, proprio seduti. Erano seduti là alcuni scribi: questi non seguivano, guardavano. Guardavano dal balcone. Non andavano camminando nella propria vita: ‘balconavano’ la vita! Proprio lì: non rischiavano mai! Soltanto giudicavano. Erano i puri e non si immischiavano. Anche i giudizi erano forti, no? Nel loro cuore: ‘Che gente ignorante! Che gente superstiziosa!’. E quante volte anche noi, quando vediamo la pietà della gente semplice ci viene in testa quel clericalismo che fa tanto male alla Chiesa”.
“Questi erano un gruppo di fermi: quelli che erano lì, al balcone, guardavano e giudicavano”. Ma, ha soggiunto, “ci sono altri fermi nella vita”. E qui si riferisce all’uomo che “da 38 anni era vicino alla piscina: fermo, amareggiato dalla vita, senza speranza”, e “digeriva la propria amarezza: anche quello è un altro fermo, che non seguiva Gesù e non aveva speranza”.
Questa gente che seguiva Gesù invece, ha sottolineato Francesco, “rischiava” per incontrarLo, “per trovare quello che voleva”:
“Questi di oggi, questi uomini hanno rischiato quando hanno fatto il buco sul tetto: hanno rischiato che il padrone della casa facesse loro causa, li portasse dal giudice e li facesse pagare. Hanno rischiato, ma volevano andare da Gesù. Quella donna malata da 18 anni rischiò quando di nascosto voleva toccare soltanto l’orlo del manto di Gesù: rischiò di provare vergogna. Rischiò: voleva la salute, voleva arrivare a Gesù. Pensiamo alla Cananea: e le donne rischiano più degli uomini, eh! Quello è vero: sono più brave! E questo dobbiamo riconoscerlo”.
“Seguire Gesù – ha detto – non è facile, ma è bello! E sempre si rischia”. E tante volte, ha commentato, “si diventa ridicoli”. Ma, ha ripreso, si trova ciò che davvero conta: “ti sono perdonati i peccati”. Perché, ha rilevato, “dietro a quella grazia che noi chiediamo – la salute o la soluzione di un problema o quel che sia – c’è la voglia di essere guariti nell’anima, di essere perdonati”. Tutti noi, ha soggiunto, “sappiamo di essere peccatori. E per questo seguiamo Gesù, per incontrarlo. E rischiamo”.
Chiediamoci, ha detto il Papa: “Io rischio o seguo Gesù sempre secondo le regole della casa di assicurazione?”, preoccupati di non fare una cosa o un’altra. “Così – ha avvertito – non si segue Gesù. Così si rimane seduti, come questi, che giudicavano”:
“Seguire Gesù, perché abbiamo bisogno di qualcosa o seguire Gesù rischiando e questo significa seguire Gesù con fede: questa è la fede. Affidarsi a Gesù, fidarsi di Gesù e con questa fede nella sua persona questi uomini hanno fatto il buco sul tetto per far calare la barella davanti a Gesù, perché Lui potesse guarirlo. ‘Mi fido di Gesù, affido la mia vita a Gesù? Sono in cammino dietro Gesù, anche se faccio il ridicolo qualche volta? O sono seduto guardando come fanno gli altri, guardando la vita o sono seduto con l’anima ‘seduta’ – diciamo così – con l’anima chiusa per l’amarezza, la mancanza di speranza?’. Ognuno di noi può farsi queste domande oggi”.
Già nella visita pastorale a Guidonia, il vescovo di Roma si era espresso chiaramente e con parole che non mancheranno di creare polemiche pretestuose: “Dare “testimonianza di Gesù” con esempi di vita cristiana, azioni concrete e senza “chiacchiere”.
Un incontro privato, mosso soprattutto dalla preghiera, quello con il vice parroco di Santa Maria a Setteville: don Giuseppe Berardino è malato di Sla, è impossibilitato a muoversi autonomamente. Ma il segno della sua testimonianza e il frutto della sua opera il Papa può toccarli con mano in parrocchia. Francesco incontra i ragazzi del post Cresima che hanno cominciato cinque anni fa il loro percorso proprio con don Giuseppe. Il Pontefice, accompagnato dal parroco, don Luigi Tedoldi, li sollecita a parlare, a porre domande, a testimoniare la loro presenza in parrocchia che è – dice – “una grazia del Signore”, di fronte a quei giovani che abbandonano la chiesa dopo la Cresima: per questo, osserva, è detta troppo frettolosamente il “Sacramento dell’addio”. Coi bambini si sofferma sul significato della testimonianza come “esempio di vita”:
“Io posso parlare del Signore, ma se io con la mia vita non parlo dando testimonianza, non serve! ‘Ma, Padre, io sono cristiano, e parlo del Signore’. ‘Sì, ma tu sei un cristiano-pappagallo; soltanto da qui: parole, parole, parole’. Ti ricordi quella canzone…? No, voi no, siete giovani … Sì? ‘Parole, parole, parole’… E niente di più. La testimonianza cristiana si fa con la parola, con il cuore e con le mani”.
Ai parrocchiani -Francesco dice di ascoltare, andare incontro, chiedere perdono e perdonare, compiere opere di misericordia con malati, carcerati, poveri. E avere fede, vivendola e dimostrando coi fatti quanto sia importante:
“Non si deve spiegare. Sentite bene questo: se tu hai un amico, un’amica che non crede, tu non devi dire: ‘Ma, tu devi credere per questo, per questo, per questo’… e spiegargli tutte le cose. Questo non si deve fare! Questo si chiama proselitismo, e noi cristiani non dobbiamo fare proselitismo. Cosa si deve fare? Se io non posso spiegare, cosa devo fare? Vivere in tal modo che siano lui o lei a chiedermi: ‘Perché tu vivi così? Perché tu hai fatto questo’? E lì sì, spiegare”.
Invita poi a parlare e a prendere esempio dai nonni, che “custodiscono la famiglia”: sono la nostra “memoria”, la nostra “saggezza”, sono anche “amici”, sottolinea. Nell’incontro con i collaboratori della pastorale, ricorda di quando a Buenos Aires faceva alcune catechesi “con un film”: ad esempio invitando a guardare un film giapponese, di Kurosawa, “Rapsodia in agosto”, per spiegare il dialogo fra nonni e nipoti. Ad una domanda di un parrocchiano, risponde poi di non aver visto film dedicati alla sua vita. Invece racconta di aver camminato, a volte, nel “buio” della fede: ci sono giorni in cui “non si vede”, spiega, ma poi con l’aiuto del Signore si ritrova. Ad esempio davanti a una calamità: Francesco riferisce dei 13 bambini nati dopo il sisma che ha colpito il Centro Italia e battezzati a Casa Santa Marta. Un padre ha raccontato al Papa di aver perso la moglie nel terremoto. Esorta quindi i presenti: “Rispetta quel buio dell’anima. Poi sarà il Signore a risvegliare la fede. La fede è un dono del Signore. A noi, soltanto custodirlo… Non si studia per avere fede: la fede si riceve come un regalo”.
Incontrando i malati, il Papa si sofferma – come già in passato aveva fatto – a riflettere sulle sofferenze anche quelle – osserva – dei “bambini con problemi”:
“Ci sono cose che non si possono spiegare, ma succedono: la vita è così; la vita è così. Gesù ha voluto essere vicino a noi anche con il suo dolore, con la sua passione, con le proprie sofferenze, e Gesù è vicino a tutti voi”.
Coi genitori dei 45 bambini battezzati in parrocchia nel corso dell’anno Francesco si sofferma a sottolineare la “gioia della vita che va avanti”, tipica dei piccoli. Quindi ripropone i consigli che spesso affida alle coppie: mai che i bambini vedano mamma e papà “litigare” e mai finire la giornata “senza fare la pace”. A seguire, dopo aver confessato quattro persone, nell’omelia della Messa Francesco torna a invitare a dare testimonianza di Cristo:
“Ci sono tanti cristiani che professano che Gesù è Dio; ci sono tanti preti che professano che Gesù è Dio, tanti vescovi… Ma tutti danno testimonianza di Gesù? O essere cristiano è come… un modo di vivere come un altro, come essere tifoso di una squadra? ‘Ma sì, sono cristiano…’. O come avere una filosofia: ‘Io osservo questi comandamenti, sono cristiano, devo fare questo…’. Essere cristiano, prima di tutto, è dare testimonianza di Gesù”.
E una parrocchia, prosegue, è “incapace” di dare testimonianza se al proprio interno si insinuano le “chiacchiere”. Il Pontefice porta l’esempio degli Apostoli, che pure tradirono Gesù, ma mai – spiega – “parlavano male” l’uno dell’altro: “Volete una parrocchia perfetta? Niente chiacchiere. Niente. Se tu hai qualcosa contro uno, vai a dirglielo in faccia, o dillo al parroco; ma non fra voi. Questo è il segno che lo Spirito Santo è in una parrocchia. Gli altri peccati, tutti li abbiamo. C’è una collezione di peccati: uno prende questo, uno prende quell’altro, ma tutti siamo peccatori. Ma quello che distrugge, come il tarlo, una comunità sono le chiacchiere, dietro le spalle”.
La ricerca della verità e il rifiuto dell’apparenza. Credo che questo sia un punto fondamentale del Magistero di Papa Francesco. Egli punta sempre al cuore, alla verità del cuore, ciò che siamo davanti a Dio e che dobbiamo poi cercare di essere nel nostro impegno verso gli altri. Tutto quello che è un semplice apparire, una maschera, non ha nulla di cristiano. Credo che questo sia profondamente conforme a quello che ci chiede Gesù nel Vangelo, quando ci domanda di piacere al Padre che vede nel segreto e non di preoccuparci di piacere agli uomini per l’impressione che possiamo dare, per quell’immagine di noi che vogliamo trasmettere ha dichiarato monsignor Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, commentando le parole del Papa. La testimonianza non è semplicemente qualcosa per cui basta parlare o semplicemente qualcosa che si svolge nell’interiorità della persona, ma è coniugare inseparabilmente la parola, il cuore e le mani in cui questo cuore traduce la sua volontà di impegnarsi per gli altri, per Dio.
Precedentemente durante l’Angelus Bergoglio aveva avuto parole di sostegno per i bisognosi.
“Nostri piccoli fratelli”, “esposti a tanti pericoli”. Così il Papa nel dopo Angelus ha definito i migranti minori non accompagnati.
“Questi nostri piccoli fratelli, specialmente se non accompagnati, sono esposti a tanti pericoli. E vi dico che ne sono tanti. È necessario adottare ogni possibile misura per garantire ai minori migranti la protezione e la difesa, come anche la loro integrazione”.
“Cari amici, vi auguro di vivere serenamente nelle località che vi accolgono, rispettandone le leggi e le tradizioni e, al tempo stesso, custodendo i valori delle vostre culture di origine. L’incontro di varie culture è sempre un arricchimento per tutti!” All’Angelus, Francesco ha ricordato le parole di Giovanni il Battista che annunciava Gesù, dicendo: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!”. Una scena decisiva, che “non è un aneddoto”, mette in luce il Papa: “E’ decisiva per la nostra fede; ed è decisiva anche per la missione della Chiesa. La Chiesa, in ogni tempo, è chiamata a fare quello che fece Giovanni il Battista, indicare Gesù alla gente dicendo: «Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!». Lui è l’unico Salvatore! Lui è il Signore, umile, in mezzo ai peccatori, ma è Lui, Lui: non è un altro, potente, che viene; no, no, è Lui!”
Per il Papa “queste sono le parole che noi sacerdoti ripetiamo ogni giorno, durante la Messa, quando presentiamo al popolo il pane e il vino diventati il Corpo e il Sangue di Cristo. Questo gesto liturgico rappresenta tutta la missione della Chiesa, la quale non annuncia sé stessa”
“Guai, guai quando la Chiesa annuncia se stessa; perde la bussola, non sa dove va! La Chiesa annuncia Cristo; non porta sé stessa, porta Cristo”.
“E’ Lui e solo Lui che salva il suo popolo dal peccato, lo libera e lo guida alla terra della vita e della vera libertà”.




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