Attentati in Francia e bugie: L’affaire Charlie Hebdo, revisitée et décryptée par Panamza

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I giudici non potranno indagare: il ministro degli interni francese, Cazeneuve, ha bloccato ogni ulteriore inchiesta sull’eccidio compiuto da Amedy Coulibaly, il 32enne nero che s’era asserragliato nel piccolo supermercato Hyper Casher di Porte de Vincennes, uccidendo cinque clienti e finendo crivellato dai colpi dei corpi speciali. Facendo valere – si noti – il segreto militare.

Certamente ricordate.
Era il 9 gennaio 2015; il 7, due terroristi, urlando Allahu Akbar!, avevano trucidato praticamente l’intera redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo. Avevano agito da freddi professionisti: poi però nella Citroen che avevano abbandonato nel XIX arrondissement scappando su un’altra vettura, uno dei due aveva dimenticato la carta d’identità; era il documento di Said Kouachi, il che aveva permesso di identificare senza alcun dubbio gli autori della strage con i fratelli Kouachi, Said e Chérif, già noti alla polizia come estremisti islamici.
Mentre i due erano in fuga, Coulibaly si asserragliò deliberatamente nel supermercato kosher; perbacco, un attentato antisemita in piena Parigi! Tutte le tv del mondo si concentrarono davanti alle vetrine, e ripresero la tragica e spettacolare scena dell’uccisione di Coulibaly, cosa che per qualche ora fece dimenticare la fuga dei due fratelli Kouachi. Nessuno ha visto la loro morte, che ufficialmente è avvenuta dopo una sparatoria con gli agenti a Dammartin en Goele, a una settantina di chilometri dalla capitale, il 9, alla stessa ora del tardo pomeriggio in cui è stato ucciso, davanti alle tv, Coulibaly a Parigi.
E’ stato lo stesso François Hollande ad ordinare che le due irruzioni avvenissero in contemporanea; dell’uccisione dei fratelli Koauchi è stato diffuso un video che mostra un bagliore nel buio: a gennaio, le cinque di sera è già notte.
Ma torniamo a Coulibaly, il cui cadavere rimase per ore sul marciapiede. Era entrato in quell’Hyper Cocher armato di un mitra Skorpion, un fucile d’assalto vz 58 (simile al Kalashnikov), due pistole Tokarev. Tutte armi di provenienza cecoslovacca. Armi da guerra, che in Francia non sono ovviamente in libera vendita.
Dove se l’era procurate Amedy?
Era questa la domanda a cui stavano cercando risposte i giudici istruttori del tribunale di grande istanza di Lilla: ed è sulla loro inchiesta che è calata la mannaia del segreto. Per ingiunzione del ministro dell’interno. Si cessi ogni ricerca: sécret défense.
Perché è segreto “militare”?
Perché i giudici erano troppo vicini alle verità nascoste dietro la tragedia di Charlie Hebdo, e al suo fondo che resta inspiegato. In breve – come già aveva rivelato a suo tempo il giornale di Calais La Voix du Nord sulla base di indiscrezioni degli inquirenti, quelle armi erano state fornite da “una rete costituita da forze dello Stato” che le comprava, attraverso intermediari pregiudicati ma collaborativi, per spedirle ai ribelli jihadisti in Siria.
Forze dello Stato? Per la precisione, secondo il sito alternativo Mediapart, “poliziotti di Lilla e uno dei loro informatori sono al centro del traffico d’armi con cui è stato armato Coulibaly.la loro posizione è abbastanza delicata da indurli a trincerarsi dietro il “sècret défense””; il ministro Cazeneuve ha tolto quei suoi agenti dai guai, avallando la loro difesa: sì, ciò che hanno fatto è segreto. Militare.
Praticamente, è l’ammissione che lo Stato è coinvolto nella selezione e nell’armamento di giovani francesi d’origine islamica da impiegare in Siria come terroristi.
Si può indovinare che i fratelli Kouachi, e quasi certamente anche Coulibaly, erano stati arruolati da Parigi per andare in Siria. Come e perché siano stati invece dirottati, con quelle armi, a compiere la doppia strage di Parigi, è un mistero forse troppo profondo.
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Quel che hanno scoperto i giudici istruttori di Lilla è però abbastanza. Pochi giorni dopo la strage, il 20 gennaio, “i dirigenti della Brigata penale della sotto-direzione anti-terrorismo” (SDAT; una specie di Digos), portano ai giudici la relazione tecnica sulle armi del delitto. Ma tacciono un fatto preciso: la loro provenienza. Eppure già dal 16 Europol aveva fornito allo SDAT le informazioni in suo possesso: le armi “sono state acquistate dall’azienda slovacca AGF Security da una ditta di Lilla che fa capo a Claude Hermant”. La ditta slovacca vende sul web armi da guerra decommissionate; Hermant è un confidente della polizia, mezzo agente e mezzo spia, di idee neofasciste. E non ha comprato solo le armi da fuoco usate da Coulibaly: dalla AGF ha acquistato 200 pezzi “poi rivenduti”, e anche (ritengono i giudici) altre novanta fra pistole e mitragliatori d’assalto attraverso un intermediario belga di Charleroi.
E’ evidente che queste armi da guerra non hanno potuto essere importate in Francia senza l’assenso delle cosiddette autorità di pubblica sicurezza. In specie, con la complicità dello SDAT.
Quanto al contatto belga di Hermant, è risultato essere (anche lui) un detective di Charleroi; interrogato, ha detto che “Hermant era il mio cliente principale”, che “mi comprava il 95 per cento delle armi demilitarizzate provenienti dalla ditta slovacca AFG – decine e decine. Che cosa ne facesse in seguito, non lo so”. La difesa di Hermant ha rigettato questa versione: le transazioni saranno state “al massimo quattro-sei”.
Qualcuna delle armi comprate da Hermant sono state usate per altri misteriosi delitti commessi lo stesso giorno della strage di Charlie Hebdo: una poliziotta uccisa a Montreux , e il tentativo di omicidio di un jogger” a Fontenay-aux-Roses. Entrambi i delitti sono stati dalla polizia attribuiti a Coulibaly, che ormai defunto non poteva smentirli. Ma il “jogger”, sopravvissuto, non ha mai riconosciuto nella foto di Coulibaly il suo aggressore (“Non era un nero”) e ha invece additato un nordafricano, che ha visto per caso durante un reportage televisivo sull’Hyper Cacher: tale Amar Ramdani.
Personaggio cruciale: Ramdani, rapinatore, ricercato internazionale per spaccio, aveva stretto amicizia con Coulibaly in carcere; s’era atteggiato ad islamista voglioso di violenza, gli aveva dato appoggio logistico (le armi?) e sarebbe stato lui a scortarlo fino al negozio kosher alla Porte de Vincennes; certamente il cellulare di Coulibaly e quello di Ramdani hanno occupato la stessa “cellula” il 6, 7 ed 8 gennaio.
Il punto è che questo pregiudicato Ramdani, come hanno scoperto gli agenti che lo hanno pedinato, entrava ed usciva quando voleva dal centro operativo dei “servizi” francesi, a Rosny-sous-Bois. Poi è risultato – o è stato asserito – che lì andava a trovare la sua amante: Emanuelle C. (il cognome è ignoto) che è una agente dei servizi, che aveva preso una sbandata per lui tanto da “convertirsi all’Islam” in segreto, tanto da “indossare il velo” quando usciva dall’ufficio: un tipico travestimento per un’agente che vuole infiltrarsi in ambienti islamici. E poi: come può un ricercato entrare nel “Forte” (così chiamano la centrale d’intelligence) senza mostrare un documento, senza avere un badge che ne legittimi l’accesso?
Il peggio è che quando Ramdani (su indicazione del blogger) è stato arrestato, Emmanuelle ha cercato di accedere ai fascicoli dell’inchiesta Coulibaly.
Un’altra donna fatale è quella che ha fatto innamorare Coulibaly e l’ha reso – oltreché pazzo d’amore – un islamista pronto a tutto: si chiama Hayat Boumedienne, indicata dai media come “la moglie” del terrorista ucciso. Molte le foto, diffuse dopo, dove i due sono insieme e si addestrano ad usare pistole – lei è in chador nero. Altre foto però la mostrano in bikini, incollata voluttuosamente a Coulibaly. ..
Il giorno 9, quando il nero si asserraglia nel negozio ebraico, qualcuno spiega subito ai giornalisti che la fanatica islamista Hayat Boumedienne è lì con lui, nel negozio. Così passano le ore e nessuno la cerca. Hayat non è affatto nel negozio; ha preso comodamente il largo. Poi si farà viva coi familiari e darà la sua versione, ovviamente ripresa dai media: sono in Siria a combattere con lo Stato Islamico contro Assad.
Lo Stato Islamico addirittura la intervista – il Califfo ha infatti anche una rivista patinata in francese, Dar Islam – e diffonde la sua versione. Lei si dichiara felice di vivere “in una terra dove vige la legge di Allah” e fa un elogio funebre del ‘marito’ Coulibaly (lo chiama Abu Baly al-Ifriki) che ha dato il buon esempio. Naturalmente, l’articolo è privo di foto della ragazza nella sua nuova incarnazione: sarebbe antislamico, perbacco. Il fatto è che addirittura l’ISIS conferma la versione ufficiale.
Poi, sono comparsi video in cui Coulibaly, ancor vivo, si dichiarava spontaneamente un seguace del Califfato. Una tv ebraica francese riuscirà ad intervistarlo mentre è asserragliato nel negozio: uno scoop. Come quelle immagini prese dal tetto che mostrano i due teroristi all’uscita dalla strage di Charlie Hebdo: immagini riprese, si disse, da un giornalista israeliano che si trovava per caso lì. versione poi cambiata.
Facciamola breve.
Insomma: qualcosa ci suggerisce una nostra versione, orribilmente complottista:

il povero Coulibaly, reso scemo dal sesso la sua Hayat Boumedienne, che è una agente dei servizi, viene gestito da Ramdani, che lo arma con le armi fornite da Hermant per i servizi in gran quantità, perché solitamente destinate alla guerriglia in Siria (dove i francesi hanno una filiale di Al Qaeda, fatta di militanti maghrebini nati in Francia); la fidanzata o moglie, e il Ramndani, lo convincono a compiere la grande impresa di alto valore mediatico. Il povero Coulibaly viene usato e sacrificato per qualche motivo, forse per distogliere l’attenzione dai fratelli Kouachi che in quelle ore sono in fuga? Per qualche altro motivo?

In ogni caso, è abbastanza spiegabile come mai occorra seppellire questa sporca faccenda come “segreto di Stato”, segreto militare da sottrarre ai giudici.
Chi vuole sviscerare tutti i particolari strani di questa vicenda, può – se sa il francese – consultare il sito
http://www.panamza.com/charlies/
E’ una miniera di informazioni, risultato di indagini personali di un vero giornalista (che immagino non sia apprezzato dai media). Fra le altre, segnalo questa: fin dalle prime ore un importante giornale online americano, l’International Business Time (il terzo nel mondo fra i giornali economici sul web, per numero di contatti) dice: l’attentato di Charlie sembra una vendetta del Mossad contro la Francia. Un’ora dopo, il giornale online ritira il pezzo, e si scusa coi lettori.



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