Papa Francesco e la misericordia per gli affamati
Una giornata velata di ottobre ha accolto l’appuntamento dei fedeli con l’udienza generale di Papa Francesco in Piazza San Pietro. Fulcro dell’omelia parole di misericordia di Gesù: “dar da Mangiare agli affamati. Dar da bere agli assetati”.
“Cari fratelli e sorelle, buongiorno!” ha esordito il Pontefice , “yna delle conseguenze del cosiddetto “benessere” è quella di condurre le persone a chiudersi in sé stesse, rendendole insensibili alle esigenze degli altri. Si fa di tutto per illuderle presentando modelli di vita effimeri, che scompaiono dopo qualche anno, come se la nostra vita fosse una moda da seguire e da cambiare ad ogni stagione. Non è così. La realtà va accolta e affrontata per quello che è, e spesso ci fa incontrare situazioni di bisogno urgente. È per questo che, tra le opere di misericordia, si trova il richiamo alla fame e alla sete: dare da mangiare agli affamati – ce ne sono tanti oggi – e da bere agli assetati. Quante volte i media ci informano di popolazioni che soffrono la mancanza di cibo e di acqua, con gravi conseguenze specialmente per i bambini.
Di fronte a certe notizie e specialmente a certe immagini, l’opinione pubblica si sente toccata e partono di volta in volta campagne di aiuto per stimolare la solidarietà. Le donazioni si fanno generose e in questo modo si può contribuire ad alleviare la sofferenza di tanti. Questa forma di carità è importante, ma forse non ci coinvolge direttamente. Invece quando, andando per la strada, incrociamo una persona in necessità, oppure un povero viene a bussare alla porta di casa nostra, è molto diverso, perché non sono più davanti a un’immagine, ma veniamo coinvolti in prima persona. Non c’è più alcuna distanza tra me e lui o lei, e mi sento interpellato. La povertà in astratto non ci interpella, ma ci fa pensare, ci fa lamentare; ma quando vediamo la povertà nella carne di un uomo, di una donna, di un bambino, questo ci interpella! E perciò, quell’abitudine che noi abbiamo di sfuggire ai bisognosi, di non avvicinarci a loro, truccando un po’ la realtà dei bisognosi con le abitudini alla moda per allontanarci da essa. Non c’è più alcuna distanza tra me e il povero quando lo incrocio. In questi casi, qual è la mia reazione? Giro lo sguardo e passo oltre? Oppure mi fermo a parlare e mi interesso del suo stato? E se fai questo non mancherà qualcuno che dice: “Questo è pazzo perché parla con un povero!”. Vedo se posso accogliere in qualche modo quella persona o cerco di liberarmene al più presto? Ma forse essa chiede solo il necessario: qualcosa da mangiare e da bere. Pensiamo un momento: quante volte recitiamo il “Padre nostro”, eppure non facciamo veramente attenzione a quelle parole: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.
Nella Bibbia, un Salmo dice che Dio è colui che «dà il cibo ad ogni vivente» (136,25). L’esperienza della fame è dura. Ne sa qualcosa chi ha vissuto periodi di guerra o di carestia. Eppure questa esperienza si ripete ogni giorno e convive accanto all’abbondanza e allo spreco. Sono sempre attuali le parole dell’apostolo Giacomo: «A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in sé stessa è morta» (2,14-17) perché è incapace di fare opere, di fare carità, di amare. C’è sempre qualcuno che ha fame e sete e ha bisogno di me. Non posso delegare nessun altro. Questo povero ha bisogno di me, del mio aiuto, della mia parola, del mio impegno. Siamo tutti coinvolti in questo.
È anche l’insegnamento di quella pagina del Vangelo in cui Gesù, vedendo tanta gente che da ore lo seguiva, chiede ai suoi discepoli: «Dove possiamo comprare il pane perché costoro possano mangiare?» (Gv 6,5). E i discepoli rispondono: “È impossibile, è meglio che tu li congedi…”. Invece Gesù dice loro: “No. Date loro voi stessi da mangiare” (cfr Mc 14,16). Si fa dare i pochi pani e pesci che avevano con sé, li benedice, li spezza e li fa distribuire a tutti. È una lezione molto importante per noi. Ci dice che il poco che abbiamo, se lo affidiamo alle mani di Gesù e lo condividiamo con fede, diventa una ricchezza sovrabbondante.
Papa Benedetto XVI, nell’Enciclica Caritas in veritate, afferma: «Dar da mangiare agli affamati è un imperativo etico per la Chiesa universale. […] Il diritto all’alimentazione, così come quello all’acqua, rivestono un ruolo importante per il conseguimento di altri diritti. […] È necessario pertanto che maturi una coscienza solidale che conservi l’alimentazione e l’accesso all’acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni» (n. 27). Non dimentichiamo le parole di Gesù: «Io sono il pane della vita» (Gv 6,35) e «Chi ha sete venga a me» (Gv 7,37). Sono per tutti noi credenti una provocazione queste parole, una provocazione a riconoscere che, attraverso il dare da mangiare agli affamati e il dare da bere agli assetati, passa il nostro rapporto con Dio, un Dio che ha rivelato in Gesù il suo volto di misericordia.
Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!» dice Gesù al giovane che gli chiede cosa deve “fare” per ottenere la vita eterna.
Non si tratta però semplicemente di “fare”, la vita eterna non è risultato di una conquista personale, ma di un dono di Dio, che va accolto con atteggiamento di fede; e la fede non è un’opera ma è ricevere. Racconta San Bonaventura in Legenda Maior che il padre serafico, alla lettura di questo brano, disse: “Questa è la vita e la regola nostra e di tutti quelli che vorranno unirsi alla nostra compagnia “. In Vita prima, Tommaso da Celano narra come i seguaci di San Francesco cercassero con tutto l’impegno di donare perfino se stessi per venire incontro alle necessità dei fratelli, servendo tutti con umiltà e devozione. La Compilazione di Assisi rivela come il padre sottraesse al proprio corpo anche ciò che gli era indispensabile, per offrirlo agli altri con gioia; non solo non voleva avere a disposizione che una tonaca sola, ma talvolta la divideva con i frati malvestiti o malati. In Vita seconda viene raccontato un episodio in cui durante l’inverno a Celano, insieme ad un compagno rimasero nudi per vestire una vecchietta. Non poteva sopportare senza dolore di vedere qualcuno più povero di lui; spartiva con i bisognosi anche la tonaca più misera. Era solito dire: “Chi tratta male un povero fa ingiuria a Cristo di cui quello porta la nobile divisa”.
Abituati agli stereotipi non sappiamo e non ci sforziamo nemmeno ad individuare i veri poveri, a comprendere le ragioni della povertà, a guardare il volto di ogni bisognoso come distinto da una massa nella quale sembra confondersi. E’ un esercizio questo al quale bisogna educarsi. Non è sufficiente pensare ai paesi del “terzo mondo”, alle periferie delle grandi città, a coloro che chiedono l’elemosina. Ci sono situazioni di vita che diventano ragioni di povertà materiale e spirituale quali la perdita di un posto di lavoro, la perdita di una persona cara, un problema di salute; persone che si sentono nude di fronte alla vita, persone che hanno fame e sete di ascolto, di una parola di conforto, di affetto. La fame e la sete d’amore è più travolgente della fame e della sete materiale.
Non è necessario imbarcarsi per luoghi remoti per rendersi utili; è sufficiente offrire poco di ciò che si ha nella realtà che mi contiene: a volte bastano pochi spiccioli per sfamare qualcuno, offrire un pasto che diversamente potrebbe avanzare, un panino in più da condividere sulla via che mi porta al posto di lavoro, una donazione a qualche organizzazione non- profit, un giocatolo non utilizzato o qualche abito in più che appesantisce inutilmente il proprio guardaroba da offrire a qualcuno in necessità o al centro di raccolta, una piccola spesa per la mensa dei poveri o per una famiglia della quale difficoltà sono a conoscenza, offrire il proprio tempo libero operando come volontario in un centro per anziani o per disabili… Sono tanti i piccoli gesti d’amore che mi premetterebbero di incontrare il tuo volto, Signore, nel volto dei fratelli. E in mancanza dei mezzi materiali si può sempre offrire ascolto, comprensione, affetto, rispetto, gli stessi che uso per gli amici, per il datore di lavoro, per la propria famiglia, gli stessi che a mia volta pretendo da chi ho attorno.
Racconta San Bonaventura come i frati, in capitolo, domandassero a San Francesco quale virtù più delle altre rendesse amici di Cristo. Egli rispose: “Sappiate, fratelli, che la povertà è una via straordinaria di salvezza, giacché è alimento dell’umiltà, radice della perfezione. Molteplici sono i suoi frutti, benché nascosti. Difatti essa è il tesoro nascosto nel campo, di cui parla in Vangelo.” Allontana da noi, Signore, la paura di affrontare le varie forme di povertà, donaci la consapevolezza della tua presenza in ogni volto che possiamo servire, diventando noi stessi strumenti della tua infinità misericordia. Fa sì che, seguendo le orme del padre serafico, possiamo coltivare anche noi, nella nostra vita, il desiderio di sfuggire sempre il superfluo, che appesantisce l’anima e il corpo alla ricerca della tua perfezione.
Sul valore della misericordia come non ricordare le parole di Sant’Agostino: La vera misericordia è immedesimazione nelle pene altrui.
1. Desidero darvi, o buoni fedeli, qualche avvertimento sul valore della misericordia. Per quanto abbia sperimentato che voi siete disponibili a ogni opera buona, tuttavia è necessario che su questo argomento tenga con voi un discorso di particolare impegno. Vediamo dunque: che cosa è la misericordia? Non è altro se non un caricarsi il cuore di po’ di miseria [altrui]. La parola ” misericordia ” deriva il suo nome dal dolore per il ” misero “. Tutt’e due le parole ci sono in quel termine: miseria e cuore. Quando il tuo cuore è toccato, colpito dalla miseria altrui, ecco, allora quella è misericordia. Fate attenzione pertanto, fratelli miei, come tutte le buone opere che facciamo nella vita riguardano veramente la misericordia. Ad esempio: tu dài del pane a chi ha fame; daglielo con la partecipazione del cuore, non con noncuranza, per non trattare come un cane l’uomo a te simile. Quando dunque compi un atto di misericordia comportati [così]: se porgi un pane, cerca di essere partecipe della pena di chi ha fame; se dài da bere, partecipa alla pena di chi ha sete; se dài un vestito, condividi la pena di chi non ha vestiti; se dài ospitalità condividi la pena di chi è pellegrino; se visiti un infermo quella di chi ha una malattia; se vai a un funerale ti dispiaccia del morto e se metti pace fra i litiganti pensa all’affanno di chi ha una contesa. Se amiamo Dio e il prossimo non possiamo fare queste cose senza una pena nel cuore. Queste sono le opere buone che provano il nostro essere cristiani. il santo Apostolo dice infatti: Mentre ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti 1. Parimenti lo stesso Apostolo che cosa dice nello stesso passo sempre sul ben operare? Questo vi dico: chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà 2. Chi ha parlato di seminagione, ha promesso il raccolto.
In cielo non vi saranno opere di misericordia. Impegno della seminagione. Esempio del contadino.
2. Quando semini, poiché fai un’opera di misericordia, se sei partecipe del dolore di colui che ne è l’oggetto, semini tra le lacrime 3. Ma un giorno tuttavia, raggiunto il nostro fine, non ci sarà più bisogno di questa seminagione di misericordia; perché in quel regno non ci saranno degli infelici che come qui hanno sofferto angustie a causa di Dio. Nel luogo della ricompensa infatti, a chi porgi il pane se nessuno ha fame? Quale nudità potrai rivestire se tutti sono vestiti d’immortalità? A chi dài ospitalità se tutti vivono nella loro patria? Quali i malati da visitare se c’è eterna salute? Quali morti da seppellire lì dove si vive eternamente? Quali litigiosi puoi mettere d’accordo lì dove ha raggiunto pienezza quella pace che qui viene promessa? Non ci saranno dunque lì opere di misericordia. Perché? Perché non semini più: porti i manipoli di grano. Perciò non stanchiamoci di operare. Seminiamo tra le lacrime, cioè con fatica e dolore. Pertanto non venite meno nelle opere di misericordia perché riceverete la ricompensa della vostra seminagione 4. D’inverno si semina con fatica. Ma l’asprezza dell’inverno non ha mai distolto il contadino dal gettare nella terra il frutto selezionato con tanta fatica. Egli procede e getta in terra il seme che aveva raccolto dalla terra, che dalla terra era stato selezionato. Non si arresta, lo getta in terra, tremando di freddo, ma sollecito. Perché sollecito nonostante il freddo? Scuotono la pigrizia fede e speranza. Non vede certo la messe ma ha fede che spunterà. Non raccoglie già ora i frutti ma spera di raccoglierli; e si rianima con questa fede, con questa speranza, così che sopportando il grande disagio del freddo, butta il seme nella terra ed è sicuro di poter raccogliere con l’aiuto di Dio frutti abbondanti secondo il suo lavoro e la sua fatica.
Raffaele Dicembrino