In Italia si continua a discutere sugli sbarchi, sull’Unione Europea che ha abbandonato l’Italia, sul mercato economico che gira intorno a tale accoglienza e sul perché i cittadini italiani trovino ovunque rifugiati, profughi, richiedenti asilo e molti ‘clandestini’ per le strade a chiedere soldi ad un popolo già martoriato dalle tasse. Quante volte è stata evidenziata la necessità di aiutare le popolazioni in difficoltà nei propri paesi? Ebbene tra le tante chiacchiere c’è chi lavora e si adopera. Da segnalare aiuti di tutti i tipi da parte delle Chiesa con iniziative costruttive. In queste ore ecco la raccolta di denaro contante per sostenere le necessità delle famiglie di profughi ospitati ancora oggi nei centri di accoglienza gestiti dalla Chiesa caldea. E ancora, fondi per l’acquisto di medicine, mobili e letti, oltre che finanziamenti mirati per sostenere lo sviluppo di micro-progetti a livello locale. Sono solo alcuni fra i molti modi in cui è stato utilizzato il denaro inviato dai lettori di AsiaNews che hanno aderito alla campagna “Adotta un cristiano di Mosul” lanciata per rispondere ai fabbisogni delle centinaia di migliaia di persone fuggite da Mosul e dalla piana di Ninive con l’ascesa dello Stato islamico (SI).
A raccontarlo è padre Samir Youssef, parroco della diocesi di Amadiya (Kurdistan), che cura 3500 famiglie di profughi cristiani, musulmani, yazidi che hanno abbandonato le loro case e le loro terre per sfuggire ai jihadisti. Il sacerdote è in prima linea sin dall’estate del 2014, da quando è iniziata l’emergenza.
Nelle scorse settimane una parte delle donazioni raccolte nel contesto della campagna aveva permesso a un gruppo di giovani cristiani di partecipare alla giornata mondiale della Gioventù (Gmg) in Polonia. Un “aiuto essenziale”, aveva raccontato nell’occasione il parroco, senza il quale “era difficile realizzare il pellegrinaggio”.
L’ultima somma raccolta nel contesto della campagna e inviata alla Chiesa irakena è di 20mila euro, pari a 22.400 dollari Usa. Come racconta padre Samir, il denaro è stato impiegato per soddisfare le seguenti necessità: 100 dollari distribuiti a 150 famiglie per le necessità quotidiane, per un valore complessivo di 15mila dollari. 3250 dollari per l’acquisto di mobili (armadi e letti). 2750 dollari per finanziare micro-progetti, fra cui caffetterie e mini-shop, per garantire lavoro ai rifugiati. 1400 dollari in medicine.
L’obiettivo è garantire a tutte le famiglie un alloggio stabile e sicuro dove poter vivere; il costo complessivo del progetto è di circa 3,5 milioni di euro; finora la campagna ha permesso la raccolta e l’invio di circa 1,5 milioni.
Purtroppo le Nazioni Unite si sono impegnate, ma la richiesta di soldi è stata coperta soltanto in parte, non arriva nemmeno alla metà dei bisogni presentati. Come il Papa ha denunciato tante volte, si usano tanti soldi per le armi e non si usano nella stessa misura per la persona concreta e i suoi bisogni.
Le ragioni del perché di quello che avviene in Iraq e in tutto il Medioriente sta nelle parole appassionate di padre Rebwar Basa, un sacerdote che ha raccontato quello che vivono i cristiani laggiù .”Chi conosce la storia della Chiesa in Iraq, sa benissimo che è una chiesa martire dalla sua nascita, dai tempi della predicazione di San Tommaso Apostolo. E dalla sua nascita fino ad oggi ha sempre vissuto questo esodo silenzioso”. Perché c’è questa persecuzione? “È come chiedere: perché ci sono l’odio, le guerre, la violenza, la discriminazione? Non lo so! Ma so che il Signore Gesù ha detto: “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome” (Lc 21,17). Per noi è una beatitudine di essere perseguitati. Si legge ancora nel Vangelo: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia” (Mt 5,11)”.
Come mai questo martirio costante è allora rimasto nascosto agli occhi del mondo? “Perché i figli del mondo concentrano l’attenzione su cose per loro più interessanti, come il denaro, gli interessi economici e politici… ma soprattutto perché chi commette dei crimini fa di tutto per nasconderlo, e lo fa ad ogni costo. E qualora venga scoperto, giustifica questi crimini con false scuse.
Nonostante questa situazione di sofferenza e persecuzione, i cristiani in Iraq hanno avuto lungo tutta la loro storia – e anche oggi – un ruolo molto importante, così come importante è il contributo che hanno dato al territorio. Innanzitutto, i cristiani in Iraq danno un esempio molto concreto di come bisogna seguire il Signore Gesù, rinnegando se stessi e prendendo la loro croce e seguendolo (Mc 8,34). Inoltre, i cristiani dell’Iraq, con la loro presenza millenaria nelle terre delle nostre radici di fede, continuano a proteggere, conservare e mantenere viva la memoria fisica di questi luoghi sacri. infine, vivendo come minoranza in questi luoghi attraversati da grandi conflitti politici e militari, danno un grande esempio di come vivere la nostra fede cristiana, cercando di essere un strumento di pace e di amore in mezzo all’inferno delle guerre e odio. Devono poi tutti dialogare: Quello di fare da ponte tra le diverse civiltà è un ruolo indispensabile dei cristiani iracheni, e in generale dei cristiani in Medio Oriente. Per esempio: i cristiani hanno fatto conoscere al mondo arabo la filosofia greca traducendola dal greco all’aramaico e dall’aramaico all’arabo. Ed oggi più che mai hanno questo ruolo di fare da ponte tra l’oriente e l’Occidente, grazie alla loro conoscenza del mondo arabo e musulmano da un lato e la loro fede e cultura cristiana condivisa con l’Occidente dall’altro lato. Insomma, i cristiani in Medio Oriente hanno dato e continuano a dare il loro prezioso contributo. Ma esiste un futuro per i cristiani in Iraq? Padre Basa è quasi categorico: “Lo vedo molto difficile, se la situazione continua così! Ma per Dio non c’è nulla di impossibile. Se i diritti umani verranno rispettati, e la libertà religiosa verrà garantita per tutti, non solo i cristiani di oggi in Iraq avranno un futuro, ma in molti si convertiranno. Così il famoso detto di Tertulliano che “il sangue dei martiri è seme di cristiani” potrà realizzarsi proprio in questa terra di persecuzione.
Sono un sacerdote iracheno, e conosco bene la situazione dei cristiani in Iraq e le loro grandi sofferenze. Per quanto riguarda l’Iraq, confermo con fermezza che non solo “può”, ma “deve” essere definito genocidio. E sottolineo che la comunità internazionale deve fare il suo dovere per salvare quello che ancora è salvabile, garantire la sicurezza dei cristiani e difendere i loro diritti”.
Perché è un genocidio? “Perché le nostre terre sono state sequestrate; perché le nostre case sono state segnalate con la lettera N/ن per etichettare la nostra identità cristiana; perché, dopo aver apposto questa etichetta, la proprietà delle nostre case è stata trasferta allo Stato Islamico, dopo che sotto la lettera N/ن: è stato scritto “Proprietà dello stato islamico”. È un genocidio perché le nostre chiese – fra le quali chiese monumentali che risalgono ai primi secoli – nel migliore dei casi sono state trasformate in moschee; in altri casi sono state distrutte, per usufruire dello spazio come parcheggio, o usate come caserme per i militati terroristi, o come luoghi in cui vengono vendute e violentate le donne rapite e trattate come schiave! Ancora: è un genocidio perché molti dei nostri fedeli fra loro vescovi, sacerdoti, seminaristi, monaci, suore, e molti laici sono stati attaccati nelle chiese da kamikaze mentre pregavano per la pace; altri sono stati rapiti e uccisi barbaramente, o rapiti e torturati e poi liberati dietro un riscatto altissimo; altri uccisi solo perché portavano la croce sul petto o nelle proprie automobili, altri uccisi semplicemente per la loro identità cristiana.