Cassazione – Quando la critica al politico si trasforma in delitto

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Cassazione – Quando la critica al politico si trasforma in delitto

La sentenza della Quinta Sezione della Suprema Corte n. 35019 del 18 agosto 2016.

Quanti di Voi nell’assistere ad un dibattito politico o nel partecipare ad un’assemblea pubblica hanno pensato, ma non esternato, frasi dure finanche ingiuriose che, invece, altri hanno apertamente e pubblicamente affermato, se non urlato, criticando questo o quel personaggio pubblico.

È la libertà di manifestazione del pensiero, garantita dall’articolo 21 della Costituzione e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che ci consente la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee o critiche su temi d’interesse pubblico, dunque soprattutto sui modi d’esercizio del potere qualunque esso sia, senza ingerenza da parte delle autorità pubbliche.

È dunque proprio la libertà di manifestazione del pensiero che per giurisprudenza consolidata rende pienamente legittime anche forme di disputa polemica, nel corso di dibattiti politici, storici e scientifici nonché nelle campagne giornalistiche, che pure risultino caratterizzate dall’uso di espressioni di dura disapprovazione o riprovazione e dall’asprezza dei toni usati, purché l’esercizio della critica non trasmodi in attacchi personali, con i quali s’intenda esclusivamente colpire la sfera privata dell’offeso e non sconfini nell’ingiuria, nella contumelia e nella lesione della reputazione dell’avversario.

In campo penale, la natura di diritto individuale di libertà ne consente, l’evocazione per il tramite del diritto di critica previsto dall’articolo 51 del codice penale, che costituisce diritto fondamentale in quanto presupposto fondante la democrazia e condizione dell’esercizio di altre libertà.

Il diritto di critica politica può così rendere non punibili espressioni anche aspre e giudizi di per sè ingiuriosi, tesi a stigmatizzare comportamenti realmente tenuti da un personaggio pubblico, ma non può scriminare la falsa attribuzione di una condotta scorretta, utilizzata come fondamento per l’esposizione a critica del personaggio stesso e non consente che si trascenda in attacchi a qualità o modi di essere della persona che finiscano per prescindere dalla vicenda concreta, assumendo le connotazioni di una valutazione di discredito in termini generali della persona criticata.

È quest’ultimo il caso affrontato dalla Suprema Corte di Cassazione, Quinta Sezione Penale che, con sentenza n. 35019 pubblicata il 18 agosto 2016 (Presidente: Fumo – Udienza: 03/05/2016), ha confermato la condanna per diffamazione a carico di un cittadino che durante un’assemblea pubblica riunita per discutere di scelte amministrative del Sindaco, alluse al fatto che la proposta del Primo cittadino, circa la nuova gestione dei servizi cimiteriali, era finalizzata a poter ottenere delle bustarelle.

La Cassazione ha confermato l’inapplicabilità della scriminante del diritto di critica di cui all’art. 51 del codice penale in quanto la circostanza denunziata era inveritiera per stessa ammissione dell’imputato e l’offesa era gratuita e non continente in considerazione della gravità delle condotte attribuite, anche se future, in quanto costituenti reato grave qual’è la corruzione, infamante delitto per un pubblico amministratore, per giunta sulla scorta di pura supposizione dell’oratore in una pubblica assemblea.

Fonte: Quotidiano PA




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