Sudan – Suor Rosemary grinta ed Amore per i bimbi soldato
“Ama il prossimo tuo come te stesso”. Questo il comandamento che suor Rosemary ha fatto suo con tutto il cuore ma anche con tanta fatica ed energia quotidiana in quelle martoriate terre del Sudan.
«Le piace?», dice appena entrata, mostrando la borsa. Un’elegante tracolla il cui intreccio rosso- dorato contrasta con l’austerità dell’abito, una semplice tunica di cotone grigio. «Attenzione: questa non è una borsa, è una metafora». Accompagna la frase con un enorme sorriso suor Rosemary Nyirumbe. Poi, spiega: «È bella, vero? Eppure, è fatta con le linguette delle lattine. Cioè con ciò che abitualmente gettiamo nella spazzatura. Anche le mie ragazze erano state “scartate” dalla società ugandese. All’istituto Santa Monica, però, tirate a lucido e tessute insieme da un destino comune, sono diventate dei preziosi tesori».
My girls, «le mie ragazze», chiama sempre così – e mai “ex ribelli” –, le oltre duemila giovani a cui ha ridonato vita, dopo l’incubo dell’“Esercito di resistenza del Signore” (Lra). Per quasi due decenni, dal 1987 alla metà degli anni Duemila, il gruppo, guidato Joseph Kony ha insanguinato il Nord del Paese, massacrando decine di migliaia di persone nel delirante intento di creare una “società purificata”. Dallo sterminio, dovevano scampare solo i bambini. Per cui Kony aveva in mente un piano ancor più crudele. I piccoli, strappati alla famiglie, venivano trasformati, a furia di torture e terrore, in macchine assassine. A loro, i piccoli, spietati combattenti – nella visione farneticante del Lra – sarebbe toccato il compito di costruire il “nuovo Paese”, dopo la vittoria.
«Nel dramma complessivo è passata, poi, sotto silenzio la condizione delle bambine. A migliaia sono state sequestrate, stuprate, “date in dono” ai comandanti o costrette a uccidere. Molte, ancora bimbe, hanno avuto dei figli mentre erano nel Lra. Una volta smobilitate, dunque, sono state rifiutate ancor più degli ex compagni maschi».
Al riscatto delle bimbe soldato, suor Rosemary ha dedicato gli ultimi 15 anni. «La mia seconda chiamata», racconta a Reggie Whitten e Nancy Henderson nel libro Rosemary Nyirumbe. Cucire la speranza, appena pubblicato da Emi (con prefazione di Toni Capuozzo; pagine 240, euro 17,50). La storia appassionata di una donna – che domani porterà la sua testimonianza al festival Pordenonelegge –, pronta a sfidare pregiudizi, minacce e paure in nome del Vangelo. Eppure, questa religiosa del Sacro Cuore di Gesù – nominata eroe dell’anno dalla Cnn nel 2007 e inserita da “Time” fra le cento personalità più influenti nel 2014 – confessa: «Non so parlare di Dio». Hai media si racconta così, con semplicità, con parole che lasciano il segno e con quei gesti che provengono dal cuore che in tante suore sparse per il mondo ci è capitato spesso di trovare e credeteci sono emozioni forti, un dono per chi ha la fortuna di incontrare donne al servizio di Dio con tanta FEDE.
«Non penso che il Signore si possa raccontare. La fede può essere solo vissuta, giorno dopo giorno. L’amore condiviso è la narrazione autentica di Dio».
«Non c’è una formula per aiutare le bimbe sequestrate dal Lra a ricominciare a vivere. Devi essere pronta a fare un lungo, lunghissimo viaggio insieme a loro, camminando fianco a fianco, fino all’uscita dal tunnel».
«Attraverso l’incontro con una di queste ragazzine, in carne ed ossa. La mia fonte di ispirazione si chiama Jewel. Era una studentessa molto introversa. Stava sempre in disparte e nessuno dei familiari veniva a trovarla. In classe non guardava né i compagni né l’insegnante negli occhi. Un giorno l’ho chiamata fuori e le ho detto: “Jewel, sono così brutta che non vuoi guardarmi?”. Lei ha accennato un timido sorriso e mi ha raccontato: “No sorella. Mi vergogno: sono stata nove anni con i ribelli e ho paura che gli altri scoprano quanto di terribile ho fatto”. Attraverso la sua sofferenza, ho aperto gli occhi. Anche alcune ragazzine di Santa Monica erano state arruolate a forza e non me n’ero accorta. Grazie a Jewel ho toccato con mano il loro dolore. E non ho più potuto voltarmi dall’altra parte».
Che cosa ha fatto, dunque? «Un annuncio alla radio. In cui ho invitato tutte le ragazze fuggite dalle file del Lra o liberate dall’esercito governativo a venire a Santa Monica insieme ai lo- ro figli. Ho promesso che, insieme alle mie consorelle, ce saremmo prese cura. E avremmo offerto loro le competenze necessarie per rifarsi una vita».
A Santa Monica viene dato ampio spazio alla formazione professionale. La borsa che porta è fatta dalle sue allieve…
«Già. Fin dall’inizio ci siamo concentrate sul cucito e la cucina. Abbiamo attivato convenzioni perché l’istituto potesse offrire servizi di catering, confezionare le uniformi per le scuole della zona o vendere borse. L’obiettivo è, innanzitutto, quello che le ragazze possano rendersi indipendenti, una volta lasciata Santa Monica. Imparare a creare con le proprie mani qualcosa di bello e buono, inoltre, restituisce loro quella fiducia in se stesse che il Lra ha cercato di toglierli. Pian piano, borsa dopo borsa, si rendono conto che la vita non è finita nella boscaglia. C’è ancora futuro. A quel punto smettono di essere vittime e diventano ciò che realmente sono: eroine. Piccole donne coraggiose che rifiutano di lasciarsi sopraffare dal male ricevuto. Le ammiro. Mi hanno insegnato tanto».
Che cosa, in particolare, ha imparato da loro?
«Che nessuno è senza speranza. Che non ci sono popoli né continenti condannati alla guerra perenne o alla povertà. Che si può sempre ricominciare».
Una donna «contro» i signori della guerra. Una suora che ha accolto e riscattato oltre duemila ragazze schiave sessuali di miliziani feroci. Una religiosa che ha «conquistato» gli Stati Uniti per il suo impegno umanitario. Per il Time è tra le 100 persone più influenti al mondo.
Come vi abbiamo anticipato Suor Rosemary Nyirumbe è una grande protagonista uno della 17^ edizione di Pordenonelegge, in programma (ed in corso) dal 14 al 18 settembre con 43 anteprime letterarie e oltre 300 eventi in cinque giorni. Il tour italiano di presentazione toccherà poi altre città come Torino, Modena, Verona, Padova, Riva del Garda.
Cucire la speranza. Rosemary Nyirumbe, la donna che ridà dignità alle bambine soldato è il titolo della biografia in libreria dal 1 settembre, con prefazione di Toni Capuozzo, pubblicata per l’Italia da Editrice missionaria (pp. 240, euro 17.50), firmata a quattro mani da Reggie Whitten, l’avvocato americano cofondatore dell’associazione no profit Pros for Africa, con la giornalista Nancy Henderson, firma di testate come The New York Times e The Chicago Tribune.
Grazie a diversi premi ricevuti suor Rosemary è diventata un personaggio di primissimo piano a livello mondiale: ospite dei maggiori talk statunitensi, ha incontrato più volte l’ex presidente Usa Bill Clinton che ne appoggia l’impegno, e la figlia Chelsea, che l’ha visitata in Uganda, sostiene che «Suor Rosemary è indubbiamente la persona che ha fatto di più per aiutare le vittime dell’Lra». «Quella di suor Rosemary è una straordinaria avventura umana», afferma il giornalista Toni Capuozzo che firma la prefazione della biografia in Italia.
E Forest Whitaker, Premio Oscar per L’ultimo re di Scozia, spiega: «i traumi che suor Rosemary guarisce sono insondabili, ma la portata del suo amore è senza limiti». Il coraggio e l’azione di suor Rosemary sono oggetto del documentario «Seewing Hope» che sarà trasmesso su Tv2000 a breve: sono oltre duemila le ragazze che Rosemary (tramite l’educazione e il lavoro) ha «liberato» dall’Lra, il Lord’s Resistence Army, la milizia del sanguinario Joseph Kony che per decenni ha insanguinato il Nord Uganda e il Sud Sudan.
Proveniente da una famiglia cattolica, Rosemary già quindicenne decide di diventare religiosa per dedicarsi ai poveri. Il noto medico missionario Giuseppe Ambrosoli la volle come prima assistente in sala parto come ostetrica nell’ospedale di Kalongo, nel distretto ugandese del West Nilo. In seguito Rosemary si laureò e prese un master in Etica dello sviluppo all’Università dei Martiri dell’Uganda. Nel 2001 ecco la svolta: suor Rosemary prende la guida della scuola di Santa Monica, a Gulu, epicentro delle violenze dell’Lra. Incontrando le ragazze che la frequentano, scoperchia il dramma di migliaia di bambine rapite, schiavizzate come oggetti sessuali dai miliziani, brutalizzate per farle diventare a loro volta soldati efferati attraverso omicidi, atti di violenza inaudita come l’assassinio di genitori e fratelli. Rosemary inizia da lì un lungo e paziente lavoro di accoglienza, recupero, riscatto personale per queste ragazze: le va a cercare nella savana, mette annunci sulle radio locali, fa girare il passaparola: a Santa Monica c’è posto e accoglienza per quante vogliono ricominciare a vivere. A queste ragazze suor Rosemary insegna l’arte di cucire e di cucinare. La professionalità della scuola di Santa Monica diventa un caso in Uganda e non solo: oggi le borse prodotte a Santa Monica vengono vendute in tutto il mondo come pezzi unici di artigianato di alta classe; suor Rosemary fonda la Sister United, azienda per l’esportazione di questi prodotti molto ricercati. Rosemary Nyirumbe è la testimone di una società civile che cresce ed è pronta a guidare il Continente africano su una strada di autonomia. Tutto questo non piace a chi vuole usare le giovani per i propri scopi truci: suor Rosemary è stata più volte minacciata e la sua vita è ogni giorno in pericolo. Il racconto di Cucire la speranza restituisce un’incredibile storia di fiducia, compassione e solidarietà di una religiosa che opera e si impegna secondo uno slogan quanto mai efficace: «La fede è meglio praticarla che predicarla».
Quello dei “giovani soldati” è un dramma che riguarda l’Uganda ma non solo. L’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) ha chiesto all’Europa di impegnarsi maggiormente nel sostegno di iniziative volte a riportare la pace in Congo e nel nord dell’Uganda.
Bisogna urgentemente aumentare la pressione sul governo dell’Uganda affinché prenda seriamente in considerazione la drammatica situazione dei bambini nel paese e si impegni finalmente per una soluzione accettabile del conflitto in corso. Evidentemente le parti in causa del conflitto in Uganda del nord non sono disposte a vere trattative di pace se non subiscono pressioni decisive dall’estero.
L’Europa intera non può continuare a guardare paesi che godono di notevoli aiuti alla cooperazione governativa, quali Ruanda e Uganda, mentre continuano a istigare sistematicamente il conflitto e l’uso di bambini soldato nel vicino Congo in modo da poter sfruttare indisturbatamente le risorse naturali del paese. Se il Ruanda e il Congo non dovessero porre termine a questa strategia criminale, allora essi devono essere minacciati con la sospensione degli aiuti internazionali, tanto più che il traffico illegale di legni preziosi e di coltan vede implicati diversi leader politici e ufficiali di rilievo ruandesi e ugandesi.
Rifiutare una missione di pace in Congo, cosa attualmente in discussione in Germania, per timore che i soldati vengano poi implicati in scontri con bambini soldato denota una scarsa conoscenza della realtà: i bambini soldato combattono principalmente nel Congo meridionale e orientale, mentre l’eventuale missione sarebbe pensata per la capitale Kinshasa, che dista diverse migliaia di chilometri dai luoghi d’impiego dei bambini soldato.
La metà dei 100.000 bambini soldato esistenti in Africa si trova in Congo e Uganda. Nel nord dell’Uganda i bambini costretti alle armi non sono vittime solo del gruppo ribelle Lord’s Resistance Army (LRA), a cui viene imputato il rapimento di 20.000 bambini, ma anche dell’esercito regolare ugandese e delle milizie sue alleate. Nel Congo meridionale si stima che 30.000 bambini siano al servizio di diversi raggruppamenti di milizie. Molti di questi raggruppamenti ricevono armi e munizioni dai paesi limitrofi Ruanda e Uganda.
In Uganda, è in corso una guerra che decenni insanguina il nord del paese. Dal 1994 il sequestro dei bambini è diventato il principale metodo di reclutamento: si calcola che negli ultimi 3 anni siano stati rapiti tra i 5 e gli 8000 bambini compresi tra i 13 e i 16 anni, circa 3000 sono riusciti a fuggire, non si sa quanti siano morti.
I bambini vengono picchiati, uccisi, csotretti a combattere e a trasportare i bottini delle razzie nei villaggi. Morire di fame, di sete o di stanchezza è comune.
Le bambine vengono violentate, poi costrette a combattere o date in moglie agli ufficiali come premio per il loro valore: si crea così una sorta di ordinamento sociale all’interno dell’esercito per cui i capi militari sono anche a capo di famiglie composte da mogli-bambine e dei figli che nascono, bambini destinati ad ingrossare le fila dei combattenti.
I bambini appena rapiti, vengono costretti ad uccisioni anche di altri bambini così da farli sentire dei complici e legarli psicologicamente all’esercito.
Un gruppo di bambini rapiti da una settimana è stato costretto ad uccidere una bambina che aveva tentato la fuga; G.O. racconta: “poi ci chiamarono, l’avevano già picchiata, ci ordinarono di colpirla con sassi e bastoni finchè non fosse morta. Dovevamo farlo. Il comandante ci disse: se uno di voi cerca di scappare vi ammazzerò tutti”.
Il governo ugandese sostiene le organizzazioni non governative nelle terapie psico- sociali per il reinserimento degli ex bambini- soldato, ma è necessario anche interrompere questa spirale di violenza.
Considerati come un prodotto economico, i bambini soldato tendono a ricevere scarso o nessun addestramento prima di essere spinti al fronte. I minori possono incominciare a partecipare ai conflitti sin dall’età di 7 anni. Alcuni operano come staffetta per i messaggi, altri come spie. I ragazzini sono costretti a spazzare le strade con rami d’albero o scope per scoprire o far esplodere le mine. Intorno ai 10 anni iniziano a maneggiare un fucile d’assalto o un’arma semi automatica. Vengono arruolate, in molti paesi, anche le ragazze; molte sono appositamente addestrate per azioni dinamitarde suicide, in quanto possono meglio eludere i controlli delle forze di sicurezza del governo.
Essendo soldati, questi ragazzi diventano legittimamente obiettivi di attacco durante i conflitti armati. Sono spesso trattati con brutalità e puniti severamente per i loro errori anche negli eserciti regolari. Anche le ragazze vengono reclutate, spesso soggette a stupri o violenze sessuali. Tra questi giovani soldati sono frequenti malattie da malnutrizione, infezioni dell’apparato respiratorio e della pelle, malattie sessuali compresa l’AIDS.
Inoltre i bambini vengono impiegati come porta ordini, vedette o porta- vivande e anche come spie o mandati a compiere vere e proprie missioni suicide. Alle ragazzine è riservato il compito di “mogli” temporanee di truppa e ufficiali. I bimbi soldato sono deliberatamente brutalizzati, e subiscono cerimonie di iniziazione che possono anche arrivare a comprendere atti di cannibalismo. Sono costretti a commettere atrocità ai danni di persone conosciute, e spesso sono vittima di abusi sessuali da parte dei commilitoni adulti. Sono minori nati e cresciuti in guerra, a cui hanno spesso ucciso i genitori e tutta la famiglia, che imbracciano il fucile per vendicare il padre o i fratelli morti o, più spesso, semplicemente per avere un pasto garantito ogni giorno.
Sono figli della guerra, della povertà e dell’ignoranza.
Alla fine dei conflitti questi bambini, se riusciranno a divenire adulti, non sapranno cosa farsene della vita del mondo; sono cresciuti ed educati alla guerra.
Suor Rosemary Nyirumbe prova a combattere contro tutto questo ma ha bisogno dell’aiuto di un occidente poco interessato ad intervenire quando si tratta di impegnarsi per amore e non per denaro.
Raffaele Dicembrino