Terapie riparative si vuole il carcere

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Terapie riparative si vuole il carcere, In una società dove neppure i peggior briganti spesso finiscono dietro le sbarre si vuole intervenire nell’educazione dei minori a gamba tesa alla fiacca della democrazia (sempre che qualcuno ancora creda esista). Si vuole vietare l’educazione! No grazie non ci stiamo!

Due anni di carcere, multa da 10 mila a 50 mila Euro e sospensione dalla professione. E’ quanto previsto, da un ddl depositato al Senato, nei confronti di psicologi, medici, psichiatri o educatori che facciano uso su soggetti minorenni di pratiche rivolte a quella che definisce “conversione dell’orientamento sessuale”. Il provvedimento a firma, tra gli altri, dei senatori Pd Lo Giudice e Cirinnà, nelle intenzioni dichiarate mira a contrastare “atteggiamenti omonegativi” fra cui include le cosiddette “terapie riparative”. “Ciò significa – afferma il portavoce del Family Day Massimo Gandolfini – che un minore che vive con disagio il suo orientamento sessuale, con l’aiuto e l’approvazione dei genitori, non può e non deve trovare alcun professionista che lo aiuti, salvo solo confermarlo nell’orientamento vissuto con sofferenza. Siamo allo Stato Etico – sottolinea – omosessualità, bisessualità e transessualità sono dogmi morali intoccabili a anche difronte alle valutazioni che può fare un esperto medico psichiatra. Che ne è della libertà? La libertà di scelta, la libertà di ricerca, la libertà di educazione dei genitori? Senza contare quanto instabili ed insicure sono le scelte emotivo-affettive che caratterizzano gli anni dell’adolescenza!”. Paolo Ondarza ha raccolto il commento del neuropsichiatra infantile Giovanni Battista Camerini, docente di master presso le Università di Padova e Sapienza di Roma:

R. – Mi sorprende molto che si possa pensare a un ddl per censurare una tecnica e una metodica, quando in Italia non sono praticate terapie cosiddette riparative volte alla conversione dell’orientamento sessuale. Ogni setting psicoterapeutico è rivolto, indipendentemente dalla tecnica, a far raggiungere al paziente una maggiore consapevolezza delle problematiche di cui soffre; è volto ad aiutare il paziente a raggiungere un maggiore benessere, a raggiungere un migliore adattamento. Ma questo, indipendentemente dalla tecnica che si usa.

D. – L’obiettivo dichiarato è quello di proseguire nella strada di de-patologizzare l’omosessualità, iniziata già nei decenni passati. Però nel provvedimento, non si va a distinguere tra l’omosessualità – potremmo dire – “accettata” e quella “subita”: in termini tecnici, ego-distonica o ego-sintonica…

R. – Anche qua c’è uno strano pensiero pseudo-positivistico secondo il quale l’omosessualità sarebbe come il colore dei capelli, un tratto genetico che non va contrastato perché è già inscritto nel destino evolutivo o nelle libere scelte di un soggetto. Non è così. Chi ha pratica di adolescenti sa benissimo che il più delle volte vengono in terapia ragazzi che attraversano un momento di confusione, che ti pongono dei problemi che loro stessi hanno internamente e che vivono in maniera conflittuale in relazione al loro orientamento sessuale. La psicoterapia può essere uno spazio utile per affrontare questi conflitti e lo psicoterapeuta può essere utile – appunto – per cercare di dissipare queste nebbie. Questo è il lavoro di uno psicoterapeuta.

D. – Questo lavoro dello psicoterapeuta rischia di essere in qualche modo “ostacolato” da un provvedimento legislativo di questo tipo?

R. – Questo inibirebbe completamente a qualunque ragazzo che abbia conflitti, problematiche in questo ambito, la possibilità di accedere alla psicoterapia, nel senso che qualunque psicoterapeuta in un set psicoterapeutico può dare consigli. Ora, se un consiglio venisse interpretato come un qualcosa dato per avversare le scelte sessuali, quale psicoterapeuta mai potrebbe prendere in terapia un ragazzo con problemi, con questa minaccia che si può prospettare?

D. – Il riferimento esplicito che viene fatto nella presentazione di questo disegno di legge è a quei casi di ragazzi adolescenti che vivendo difficoltà con la propria famiglia nel farsi accettare nella condizione di omosessuale o di transgender, che sono ricorsi al suicidio, quindi casi tragici …

R. – Questo certamente non riguarda il setting della psicoterapia: questo riguarda l’accettazione che i genitori sono ovviamente chiamati ad avere nei confronti di figli che hanno orientamenti sessuali diversi da quelli che i genitori si attendono, ma non può certamente la legge a normare questi comportamenti.

D. – Professore, lei ravvisa in Italia atteggiamenti omo-negativi riscontrabili anche tra psicologi o psichiatri, e magari riconducibili a fattori come il sentimento religioso, il conservatorismo politico, la scarsa conoscenza delle persone lesbiche, gay, bisessuali – come viene citato nel ddl – che provocano, appunto, una forzatura nel processo di acquisizione dell’identità sessuale di un adolescente?

R. – Nel mondo psicologico, assolutamente no: non c’è nessun orientamento di questo tipo. Non esiste nessun rilievo di tecniche psicologiche, psicoterapeutiche orientate in questo senso. Probabilmente, negli Stati Uniti c’è qualcosa, ma non è assolutamente di mia conoscenza nulla del genere in Italia.

D. – E’ preoccupato da provvedimenti di questo tipo?

R. – Molto, perché c’è un’ingerenza del settore pubblico anche nella sfera delle relazioni intime-private financo intervenendo in una delle dimensioni più intime, che è quella della relazione terapeutica. Mi preoccupa estremamente. Siamo a livello di una specie di interferenza nella libertà di pensiero.

Fonte: Radio Vaticana




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