Siamo ovviamente felicissimi. Ringrazio Dio per averci sempre accompagnato e vorrei dare un bacio enorme a mia moglie, mia madre, tutta la mia famiglia e quelle persone ci sono state vicine. Un pensiero particolare lo meritano i miei giocatori”. Queste le parole di Fernando Santos, tecnico del Portogallo campione d’Europa. Un trionfo inaspettato quello dei portoghesi, proprio come lo fu quello del 2004 quando proprio i portoghesi persero l’Europeo, giocato in casa, nella finale contro la Grecia. La storia è così: piccoli dettagli possono cambiare il mondo. Proprio quell’Europa che ha visto cambiare la sua storia quando Napoleone fu fermato a Waterloo dal maltempo, oggi vede fermare la grande armata francese da un Portogallo compatto e volenteroso. Tutti ad osannare Cristiano Ronaldo, a riprendere le sue lacrime (quanta gente vorrebbe poter piangere soltanto per una partita di calcio) ed invece poche parole per parlare del vero autore di questa impresa, l’uomo che ha saputo ridare fiducia ad una compagine partita in sordina ma cresciuta alla distanza e che, scusate se è poco, ha vinto la finalissima senza il plurilodato Cristiano Ronaldo.
Sincerità per sincerità va detto che la fortuna aiuta gli audaci ed il Portogallo è stato aiutato da un calendario in discesa: mentre Spagna, Italia e Germania cadevano eliminandosi tra di loro, il cammino portoghese ha avuto ostacoli ben più miti (se si ecludono i ‘tecnici’ portoghesi troppo impegnati a guardarsi allo specchio e poco a correre’ ma quel che ha fatto lo ha impostato nel migliore dei modi. Il giorno della finale il Portogallo doveva essere la vittima sacrificale ma così non è stato grazie alla pazienza ed alla meticolosità di Fernando Santos che ha dichiarato di avere un ‘buon rapporto con il padre eterno’.
Senza l’audace e cattolico commissario tecnico , arrivato dopo una sconcertante sconfitta interna con l’Albania, il Portogallo agli Europei non ci sarebbe nemmeno arrivato.
Dal suo approdo in panchina la musica è cambiata: non solo la squadra non ha più sbagliato nel girone di qualificazione, ma una volta in Francia ha fatto percorso netto fino alla notte di Saint Denis. Una partenza lenta -tre pareggi e ottavi solo grazie al ripescaggio-, tanto per aggiustare il tiro, poi l’apoteosi. E gran parte del merito è suo, uomo dalle letture importanti, studioso, attento ai rapporti umani ha vinto in un ambiente dove la fede (quelal con la ‘f’ minuscola è quella calcistica. Lui invece di Fede ha quella vera quella che oggi si cerca di accantonare.
Lui, con quella mimica seriosa sembra più un Buster Keaton in salsa lusitana è invece un competente allenatore di calcio e non uno qualsiasi visto che il primo trofeo della storia calcistica del Portogallo porta e porterà per sempre, indelebilmente il suo nome. Lui non cerca lo scontro a tutti i costi come il suo connazionale Mourinho o il plauso della folla di tanti suoi acclamati colleghi per lui la rasgressione è una sigaretta che gli pende stancamente dalle labbra.
Fernando Santos è solo un uomo tranquillo, si vede che considera il calcio un gioco semplice: buon difensore del Benfica, ma ruolo diviso con la conquista di una laurea in ingegneria. Non a caso le prime parole dopo la finale sono state per la moglie, per i figli, per Dio, lui cattolico praticante. Non è uno che si impone al gruppo, ma è il gruppo che alla fine si fa imporre le cose da lui. Cristiano Ronaldo che prova a restare in campo con una gamba sola non lo fa solo per la sua ambizione, ma anche per quel tecnico che ebbe modo di conoscere quando allo Sporting Lisbona, giovanissimo, prendeva contatto con il calcio che conta.
Perché il comune denominatore delle squadre di Santos è lo spirito di gruppo. Fu così anche quando guidava la Grecia: un manipolo di vecchi soldati portati ad un passo dalla prime otto del mondo in Brasile, battuti solo dalla sorte dei rigori contro il Costarica. Già, la Grecia, la sua seconda patria.
Vi ha allenato tre squadre gloriose come Aek, Paok e Panathinaikos: alla fine una sola coppa nazionale vinta, ma con essa la stima di tutti. Un po’ come quando ha allenato in patria: Sporting Lisbona, Benfica, Porto, ma un solo titolo vinto con questi ultimi. Dappertutto però, sempre consensi e ammirazione da parte dei giocatori. Perché dovunque vada, questo tecnico non mette pressione: il calcio è importante, ma Dio, la famiglia, i libri, l’amicizia, saranno sempre più importanti.
Le sue parole dopo la vittoria con la Francia sono chiare: “Sapevamo di avere talento, ma anche di dover lottare“, queste le parole del tecnico lusitano. È un traguardo fondamentale per tutti noi e per il nostro Paese, siamo felicissimi. Ringrazio Dio per averci sempre accompagnato, e mando un bacio enorme a mia moglie, mia madre e a tutte le persone che mi sono state vicine.