La Brexit tra incertezze sul futuro e processo antistorico

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E così è andata come è andata: la Gran Bretagna ha scelto di lasciare l’Unione Europea. Dal primo sondaggio che l’istituto YouGov aveva dato alle 23 di giovedì, sembrava che, seppure con una vittoria di misura, il Regno Unito sarebbe rimasto in Europa. A questo risultato, in controtendenza rispetto alle previsioni di qualche giorno prima, aveva probabilmente contribuito anche lo shock costituito dal brutale assassinio di Joanne Cox, deputata laburista favorevole alla permanenza in Europa e che si era occupata di temi legati all’immigrazione, per opera di uno squilibrato imbevuto di idee ultranazionaliste e razziste. Ma, alla fine dei conteggi, i sostenitori del “Leave Europe” hanno ottenuto una vittoria di margine, con circa un milione di voti in più rispetto ai fautori del “Remain in Europe” (il 52,9 percento contro il 48,1). Certo è che, di fronte a questa vittoria risicata, è lecito domandarsi quanto questo voto abbia valore, anche se la democrazia è democrazia e nel Regno Unito ha una solida tradizione. Ma il paese ne esce profondamente diviso, è questo è documentato anche dal pentimento di molti votanti, che, di fronte ai paventati rischi della Brexit, citati da alcuni organi di informazione, vorrebbero modificare la loro scelta. Questa è forse una delle ragioni per cui una petizione indetta per un nuovo referendum in poche ore ha raggiunto l’adesione di circa due milioni di cittadini del Regno Unito.

La divisione della Gran Bretagna sul voto si è verificata su tre livelli: geografico, culturale e generazionale. Geograficamente, è da notare che la Scozia (che sembrerebbe anche pronta a lasciare il Regno Unito) e l’Irlanda del Nord hanno votato a maggioranza a favore del “Remain”, mentre nel Galles ha vinto il “Leave”. Per quanto riguarda l’Inghilterra, nella sola Londra ha dominato il “Remain”, mentre nel resto del paese la maggior parte dei votanti si è dichiarata a favore del “Leave”. Secondo alcuni sondaggi, poi, i cittadini più istruiti e benestanti non volevano lasciare l’UE. E anche la maggioranza dei giovani, probabilmente più preoccupati del futuro incerto, speravano nella vittoria del “Remain”.

Mentre a livello economico le previsioni sono discordanti (anche se non è stato di sicuro un buon segnale il crollo della sterlina), certo è che, dal punto di vista della quotidianità, nulla cambierà in pochi giorni. Londra dovrà ora chiedere l’applicazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona e anche se l’Unione Europea vorrebbe fare in fretta, resta il fatto che ci sono moltissimi accordi che legano il Regno Unito all’Europa che dovranno essere modificati, e questo richiederà molto tempo.

Nel frattempo, il primo ministro Cameron, che aveva sostenuto la campagna a favore del “Remain”, (anche se era stato spesso molto critico nei confronti di Bruxelles) si è dimesso e ora si dovrà costituire un nuovo governo, che dovrà gestire le fasi della Brexit.

Qui non si vuole fare una dissertazione sulle possibili conseguenze economiche che, alla lunga, caratterizzeranno i rapporti tra UE e Regno Unito. Siamo del parere che, al momento, ogni previsione è possibile. Tra l’altro, Londra era la capitale del business bancario e finanziario dell’UE e questo suo ruolo era certamente singolare, non avendo il Regno Unito l’euro. Cosa accadrà ora? Probabilmente la Gran Bretagna vorrà comunque stipulare un trattato di libero scambio con l’Europa e il modello potrebbe essere quello di altri paesi che sono nell’UE ma non hanno l’euro.

Ma, senza entrare nei possibili scenari futuri, qui si vorrebbe invece descrivere quanto questo allontanamento del Regno Unito dall’Europa sia antistorico, senza però con questo voler significare che gli inglesi non avessero buone ragioni per criticare l’UE. L’Europa, istituzionalmente, politicamente ed economicamente, ha commesso e sta commettendo alcuni errori e, in tal senso, non sta seguendo lo spirito dei suoi padri fondatori. Un’Europa burocratica, poco rappresentativa dei popoli, troppo attenta alle elites politiche ed economiche, per lo meno lenta ad affrontare le problematiche urgenti di oggi, dall’austerity, che ha messo in ginocchio troppi cittadini, al problema dell’immigrazione, al problema della risposta unitaria di fronte alla minaccia dell’Islam estremista e della tragica situazione del Medio Oriente e dell’Africa. Sotto questo punto di vista, la Brexit potrebbe costituire uno scossone per l’Europa, un risveglio di orgoglio per affrontare le molte questioni importanti e trasformarsi in una vera unione di popoli.
L’Europa, infatti dovrebbe essere la casa degli europei: e come la Russia non dovrebbe essere demonizzata ed estraniata, perché le sue vicende storiche sono legate al continente europeo, per il quale dovrebbe continuare ad essere un importante partner economico, così il Regno Unito è stato tradizionalmente, politicamente, geograficamente, l’interlocutore europeo di riferimento con gli Stati Uniti. E, non di meno, la Gran Bretagna è sempre stata, come sostiene lo storico Brendan Simms, un paese coinvolto nelle vicende storiche europee, anche se una certa propaganda inglese antieuropea ha cercato di diffondere la narrativa di un paese che, integrandosi nell’UE, ha perso la sua identità, la sua alterità isolana rispetto agli altri popoli. Eppure la Gran Bretagna ha influito molto sull’Europa, dopo la seconda guerra mondiale: nei movimenti per le libertà, nella moda, nella musica, nella cultura. Il Regno Unito è stato anche precursore dei diritti politici in Europa, a cominciare dalla concessione della Magna Carta, nel tredicesimo secolo.
Si può, quindi, storicamente sostenere che la separazione del Regno Unito dall’Europa è una finzione e la mentalità isolana un mito. Nel primo secolo, l’Inghilterra era una colonia dell’Impero Romano. Quando i Romani se ne andarono, i Sassoni vi si stabilirono, provenendo dall’attuale Germania del nord. Il Canale della Manica non è mai stato un serio motivo di isolamento per l’Inghilterra, non molto più del Reno o delle Alpi. Non lo è stato di certo per i primi bretoni, che raggiunsero spesso l’isola con le loro rotte marittime. Dopo la conquista da parte dei Normanni, l’Inghilterra divenne una potenza europea, un regno che si estendeva anche sul continente, fino ai Pirenei. Anche Parigi è stata sotto il dominio inglese. E, infine, la politica matrimoniale di alleanze della corona britannica cercò l’unione con altre case reali o principi europei, nell’intento duplice di stabilizzare la monarchia e di trovare alleati in Europa. Giorgio I di Hannover, nel 1714, fondò una dinastia anglotedesca che governò in Inghilterra per quasi due secoli. La stessa regina Vittoria è stata l’ultima regnante della casa di Hannover.

A dispetto, poi, della paventata volontà di isolamento del Regno Unito, storicamente l’Impero Britannico ha sempre avuto grande interesse nelle vicende europee, piuttosto che nel resto del mondo, nonostante il suo Commonwealth Ne è una prova la sua politica costantemente tesa a ottenere un bilanciamento del potere degli stati europei; dapprima nel XVI secolo contro la potenza spagnola, poi nel XVII contro la Francia e la Russia zarista, infine contro la minaccia nazista nel XX secolo. Churchill ha contribuito a liberare l’Europa dal nazifascismo, la Thatcher guidò il paese verso il mercato libero, Blair proseguì su questa strada di cooperazione politico-economica.
Tutto questo non è folclore, è al contrario la dimostrazione della vicinanza e affinità tra i cittadini del Regno Unito e gli altri popoli europei.

Con questa analisi non si volevano però difendere a priori le ragioni del “Remain in Europe”. Come detto, molte cose non funzionano nell’attuale ordinamento europeo. Ma la Brexit potrebbe mettere a rischio il benessere dei singoli cittadini e quanto nel mercato funzionava. Ad esempio, quasi la metà delle auto prodotte in Gran Bretagna lo scorso anno, sono state vendute in Europa. Case automobiliste come la Toyota, la Honda e la Nissan hanno fabbriche nel Regno Unito, perchè da lì potevano esportare senza pagare costi di dogana. Che ne sarà dei loro dipendenti?

(Stefano Marzeddu)




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