Papa Francesco e le convivenze con i media

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Ancora una volta parole di Papa Francesco vengono estrapolate per cercare di portare acqua al mulino di chi ama un cristianesimo “fai da te”. In queste ore i media parlano di aperture di Papa Bergoglio alle convivenze, alle separazioni, a breve diranno e scriveranno anche al divorzio. Niente di tutto questo: nulla di più infondato. E’ incredibile come uno dei giornali più venduti in Italia abbia aperto sull’argomento con queste cinque righe: “No ai matrimoni facili, mondani, riparatori: cioè quando lei è incinta e si fa tutto in fretta. Chi si sposa dev’essere consapevole di un impegno che è «per tutta la vita». Meglio un buon matrimonio dopo una con vivenza che un matrimonio improvvisato. Tanti matrimoni sono nulli per mancanza di consapevolezza. L’ha detto il Papa giovedì aprendo il convegno annuale della Diocesi di Roma”.
Fantascienza? Errore di comprensione? Direi semplicemente ‘falsificazione della realtà!’.
E’ dovuto intervenire lo stesso portavoce del Pontefice padre Lombardi per chiarire : “Quando il Papa parla a braccio, il testo trascritto è sempre oggetto di una revisione” e quando si toccano argomenti di un certo rilievo il testo rivisto gli viene sottoposto: è ciò che è avvenuto in questo caso”.
Questa società ha la necessità di sentire avvalorare le proprie scelte egoistiche dal Papa. Si attacca il Vaticano, si dice e scrive male della Chiesa ma poi si cerca di trovarne l’appoggio in tutto ciò che aiuterebbe a rovinare maggiormente una società già allo sbando e sempre più lontana dall’altruismo, dall’etica e dalla morale che tanto farebbero bene a questo mondo in cui il dio denaro è ormai il signore assoluto di molti.
In verità va evidenziato come la convivenza prematrimoniale o alternativa al matrimonio rappresenta una scelta sempre più diffusa soprattutto tra i giovani.
Sono tanti coloro che in buona fede (avallati o influenzati da una mentalità dominante ormai fortemente secolarizzata) ritengono tale forma di relazione perfettamente conforme alla morale cristiana. E non pochi di questi sono cattolici e praticanti.
Ma cosa dice il magistero della Chiesa su questo tema?
Per la Chiesa, convivere more uxorio è un peccato grave, costituisce un’offesa alla castità e un’offesa alla dignità del matrimonio.
Papa Benedetto XVI ha ribadito che «la pratica della coabitazione prima del matrimonio è gravemente peccaminosa, per non parlare del fatto che danneggia la stabilità della società». Il Papa ha proposto il ritorno ad una catechesi convincente e chiara, che si avvalga sistematicamente del «Catechismo della Chiesa Cattolica». (Benedetto XVI ai vescovi della Regione VIII degli Stati Uniti in visita «ad limina», 9.03.12).
Sappiamo che la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna costituisce la cellula fondamentale della società, quella da cui dipende la stabilità, il benessere sociale ed economico di una società civile.
Non va poi dimenticato come il matrimonio – in ragione della stabilità affettiva che maggiormente assicura rispetto ai rapporti tra conviventi – sia la condizione ideale per la crescita dei figli; in tal senso, ricerche internazionali hanno mostrato come i bambini che crescono in una famiglia tradizionale – rispetto a quelli che crescono in contesti di precarietà affettiva ed educativa – corrano un terzo del rischio di andare male a scuola e la metà di soffrire di disturbi psichici..
Inoltre è noto che la convivenza pre-matrimoniale incrementa drammaticamente le chance di divorzio. Sono molti oramai gli studi che attestano che le coppie che convivono prima di sposarsi hanno una maggiore probabilità (dal 50 al 100%) di divorziare rispetto a coloro che scelgono di aspettare a vivere insieme fino a dopo il matrimonio.
Il punto spesso non compreso è che la convivenza, anche quella «come periodo di prova dell’unione», mina il matrimonio alle fondamenta.
Anzitutto perché lo “svuota” di un elemento caratteristico della vita coniugale rappresentato, per l’appunto, dalla coabitazione (inclusa la dimensione sessuale). Ne consegue che quando ci si sposa dopo una convivenza, per forza di cose si fatichi ad assaporare quello slancio ideale tipico della promessa matrimoniale, che tende così a ridursi alla dimensione rituale, per non dire burocratica.
In secondo luogo, convivendo, gli innamorati scoprono di colpo la complessità della vita insieme senza però essere adeguatamente “equipaggiati”, come invece possono essere coloro che si sposano, per fronteggiarla.
Si salta poi in tal modo quella stagione bella, faticosa ma fondamentale che è il fidanzamento, durante il quale i fidanzati sviluppano e approfondiscono il dialogo, il rispetto, la conoscenza di sé e dell’altro, il sacrificio, l’impegno, l’attesa, l’elaborazione di un progetto, l’esercizio alla fedeltà, il senso di responsabilità… Tutti fattori che contribuiscono a costruire, mattone dopo mattone, un solido edificio matrimoniale e che costituiscono la premessa per la comprensione della vera essenza del matrimonio.
Si rischia altrimenti di poggiare il rapporto su basi molto fragili, a partire da una visione individualistica (e dunque inevitabilmente egoistica) del matrimonio, dove difficilmente maturerà il concetto fondamentale che sposarsi significa donarsi senza riserve, totalmente e per sempre, e dove invece facilmente ci si abituerà ad un’idea distorta dell’unione matrimoniale come esperienza “a termine”, con “clausola di rescissione” e che quindi può cessare (specie in tempi come questi in cui dilagano edonismo e relativismo).
Infine, la convivenza può impedire ad un convivente di sentirsi davvero del tutto libero, di fronte all’altro, di decidere se sposarlo oppure no. Vivendo insieme, i conviventi rischiano di ostacolarsi nella scoperta di ciò che desiderano veramente. La risposta a molte delle domande su di sé e sulla solidità della coppia deve essere cercata anche da soli, invece che nella vita che trascorre continuamente insieme, dove la persistente presenza dell’altro e il flusso continuo dei sentimenti non aiutano la conoscenza dell’altro, dei propri desideri, della persona che davvero fa per noi, ecc. Senza la possibilità di riflettere da soli, i conviventi possono trovarsi in una situazione in cui non sono più davvero liberi di scegliere e dunque rischiano di sposarsi senza essere veramente fatti l’uno per l’altra.
Le convivenze prematrimoniali o extra-matrimoniali sono dal Catechismo definite “Libere unioni”, costituiscono un’”offesa alla dignità del matrimonio” e sono “contrarie alla legge morale”. Tanto da precludere l’accesso alla S. Comunione, finchè perdura la convivenza.

Catechismo: “2390 Si ha una libera unione quando l’uomo e la donna rifiutano di dare una forma giuridica e pubblica a un legame che implica l’intimità sessuale. L’espressione è fallace: che senso può avere una unione in cui le persone non si impegnano l’una nei confronti dell’altra, e manifestano in tal modo una mancanza di fiducia nell’altro, in se stessi o nell’avvenire?

L’espressione abbraccia situazioni diverse: concubinato, rifiuto del matrimonio come tale, incapacità di legarsi con impegni a lungo termine. Tutte queste situazioni costituiscono un’offesa alla dignità del matrimonio; distruggono l’idea stessa della famiglia; indeboliscono il senso della fedeltà. Sono contrarie alla legge morale: l’atto sessuale deve avere posto esclusivamente nel matrimonio; al di fuori di esso costituisce sempre un peccato grave ed esclude dalla comunione sacramentale.
2391 . Molti attualmente reclamano una specie di «diritto alla prova» quando c’è intenzione di sposarsi. Qualunque sia la fermezza del proposito di coloro che si impegnano in rapporti sessuali prematuri, tali rapporti non consentono di assicurare, nella sua sincerità e fedeltà, la relazione interpersonale di un uomo e di una donna, e specialmente di proteggerla dalle fantasie e dai capricci. L’unione carnale è moralmente legittima solo quando tra l’uomo e la donna si sia instaurata una comunità di vita definitiva. L’amore umano non ammette la «prova». Esige un dono totale e definitivo delle persone tra loro (CCC nn. 2390-2391)”.

Come non ricordare l’intenso appello lanciato nel giugno 2011 da Papa Benedetto XVI in Croazia: “Care famiglie, siate coraggiose! Non cedete a quella mentalità secolarizzata che propone la convivenza come preparatoria, o addirittura sostitutiva del matrimonio! Mostrate con la vostra testimonianza di vita che è possibile amare, come Cristo, senza riserve, che non bisogna aver timore di impegnarsi per un’altra persona! Care famiglie, gioite per la paternità e la maternità! L’apertura alla vita è segno di apertura al futuro, di fiducia nel futuro, così come il rispetto della morale naturale libera la persona, anziché mortificarla! Il bene della famiglia è anche il bene della Chiesa”.

Ecco il testo del discorso del Papa in questione: Buonasera!

“E’ bello incontrarvi all’inizio del Convegno pastorale della nostra Diocesi di Roma. Ringrazio tanto voi genitori, di aver accettato l’invito a partecipare così numerosi a questo incontro, che è importante per il cammino della nostra comunità ecclesiale. Come sapete, da alcuni anni stiamo riflettendo e ci interroghiamo su come trasmettere la fede alle nuove generazioni della città che, anche a seguito di alcune ben note vicende, ha bisogno di una vera e propria rinascita morale e spirituale. E questo è un compito molto forte. La nostra città deve rinascere moralmente e spiritualmente, perché sembra che tutto sia lo stesso, che tutto sia relativo; che il Vangelo è sì una bella storia di cose belle, che è bello leggerlo, ma rimane lì, un’idea. Non tocca il cuore! La nostra città ha bisogno di questa rinascita. E questo impegno è tanto importante quando parliamo di educazione dei ragazzi e dei giovani, per la quale i primi responsabili siete voi genitori. I nostri ragazzi, ragazzini, che incominciano a sentire queste idee strane, queste colonizzazioni ideologiche che avvelenano l’anima e la famiglia: si deve agire contro questo. Mi diceva, due settimane fa, una persona, un uomo molto cattolico, bravo, giovane, che i suoi ragazzini andavano in prima e seconda elementare e che la sera, lui e sua moglie tante volte dovevano “ri-catechizzare” i bambini, i ragazzi, per quello che riportavano da alcuni professori della scuola o per quello che dicevano i libri che davano lì. Queste colonizzazioni ideologiche, che fanno tanto male e distruggono una società, un Paese, una famiglia. E per questo abbiamo bisogno di una vera e propria rinascita morale e spirituale.
A ottobre celebreremo un Sinodo sulla famiglia, per aiutare le famiglie a riscoprire la bellezza della loro vocazione e a esserle fedeli. Nella famiglia si vivono le parole di Gesù: “Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (cfr Gv 15,13). Con il vostro rapporto coniugale, esercitando la paternità e la maternità voi donate la vostra vita e siete la prova che vivere il Vangelo è possibile: vivere il Vangelo è possibile e rende felici. E questa è la prova, ma si fa nella famiglia. Questa sera vorrei soffermarmi con voi su alcune semplici parole che esprimono il mistero del vostro essere genitori. Non so se riuscirò a dire tutto quello che voglio dire, ma almeno vorrei parlare di vocazione, comunione, missione.
La prima parola è vocazione. San Paolo ha scritto che da Dio deriva ogni paternità (cfr Ef 3,15) e possiamo aggiungere anche ogni maternità. Tutti siamo figli, ma diventare papà e mamma è una chiamata di Dio! E’ una chiamata di Dio, è una vocazione. Dio è l’amore eterno, che si dona incessantemente e ci chiama all’esistenza. È un mistero che, però, la Provvidenza ha voluto affidare in particolare all’uomo e alla donna, chiamati ad amarsi totalmente e senza riserve, cooperando con Dio in questo amore e nel trasmettere la vita ai figli. Il Signore vi ha scelti per amarvi e trasmettere la vita. Queste due cose sono la vocazione dei genitori. Questa è una chiamata bellissima perché ci fa essere, in modo del tutto speciale ad immagine e somiglianza di Dio. Diventare papà e mamma significa davvero realizzarsi pienamente, perché è diventare simili a Dio. Questo non si dice sui giornali, non appare, ma è la verità dell’amore. Diventare papà e mamma ci fa molto più simili a Dio.
Come genitori voi siete chiamati a ricordare a tutti i battezzati che ciascuno, anche se in modo diverso, è chiamato a essere papà o mamma. Anche un sacerdote, una suora, un catechista sono chiamati alla paternità e alla maternità spirituale. Infatti un uomo e una donna scelgono di costruire una famiglia perché Dio li chiama dopo aver fatto sperimentare loro la bellezza dell’amore. Non la bellezza della passione, non bellezza di un entusiasmo forse passeggero: la bellezza dell’amore! E questo si deve scoprire tutti i giorni, tutti i giorni. Dio chiama a diventare genitori – uomini e donne – che credono nell’amore, che credono nella sua bellezza. Io vorrei domandarvi, ma non rispondete, per favore: voi credete nella bellezza dell’amore? Voi credete nella grandezza dell’amore? Avete fede in questo? Avete fede? Questa è una fede quotidiana. L’amore è bello anche quando i genitori litigano; è bello, perché alla fine fanno la pace. E’ tanto bello fare la pace dopo una guerra! E’ tanto bello! Una bellezza è quella dell’amore coniugale, che neanche le più grandi difficoltà della vita sono in grado di oscurare.
Una volta un bambino mi ha detto: “Che bello, i miei genitori si sono dati un bacio!”. E’ bello quando il bambino vede che papà e mamma si baciano. Bella testimonianza.
I vostri figli, cari genitori, hanno bisogno di scoprire, guardando la vostra vita, che è bello amarsi. Non vi dimenticate mai che i vostri figli vi guardano sempre. Voi ricordate quel film di una ventina di anni fa che si chiamava “I bambini ci guardano”? I bambini guardano. Guardano tanto, e quando vedono che papà e mamma si amano, i bambini crescono in quel clima di amore, di felicità e anche di sicurezza, perché non hanno paura: sanno che sono sicuri nell’amore del papà e della mamma. Mi permetto di dire una cosa brutta, ma pensiamo a quanto soffrono i bambini quando vedono papà e mamma, tutti i giorni, tutti i giorni, tutti i giorni sgridarsi, insultarsi, persino picchiarsi… Ma papà e mamma, quando voi cadete in questi peccati, pensate che le prime vittime sono proprio i vostri bambini, la vostra stessa carne? E’ brutto pensare a questo, ma è la realtà… I bambini ci guardano. Non vi guardano solo quando voi insegnate loro qualcosa. Vi guardano quando voi vi parlate l’un l’altro, quando tornate dal lavoro, quando invitate i vostri amici, quando vi riposate. Cercano di cogliere nel vostro sguardo, nelle vostre parole, nei vostri gesti, se siete felici di essere diventati genitori, se siete felici di essere marito e moglie, se credete che esiste la bontà nel mondo. Vi scrutano – non solo vi guardano, vi scrutano – per vedere se è possibile essere buoni e se è vero che con l’amore reciproco si supera ogni difficoltà.
Per un figlio non c’è insegnamento e testimonianza più grande che vedere i propri genitori che si amano con tenerezza, si rispettano, sono gentili tra di loro, si perdonano a vicenda; questo riempie di gioia e di felicità vera il cuore dei figli. I figli, prima di abitare una casa fatta di mattoni, abitano un’altra casa, ancora più essenziale: abitano l’amore reciproco dei genitori. Vi domando, ognuno risponda nel suo cuore: i vostri figli abitano nel vostro amore reciproco? I genitori hanno la vocazione di amarsi. Dio ha seminato nel loro cuore la vocazione all’amore, perché Dio è amore. E questa è la vocazione vostra, dei genitori: l’amore. Ma pensate sempre ai bambini, pensate sempre ai bambini!
La seconda parola che mi viene, il secondo pensiero su cui riflettere è comunione. Noi sappiamo che Dio è comunione nella diversità delle tre Persone della Santissima Trinità. L’essere genitori si fonda nella diversità di essere, come ricorda la Bibbia, maschio e femmina. Questa è la “prima” e più fondamentale differenza, costitutiva dell’essere umano. E’ una ricchezza. Le differenze sono ricchezze. C’è tanta gente che ha paura delle differenze, ma sono ricchezze. E questa differenza è la “prima” e la fondamentale differenza, costitutiva dell’essere umano. Quando i fidanzati vengono a sposarsi, a me piace dire a lui, dopo aver parlato del Vangelo: “Ma non dimenticarti che la tua vocazione è rendere la tua sposa più donna!”; e a lei dico: “la tua vocazione è rendere tuo marito più uomo!”. E così si amano, ma si amano nelle differenze, più uomo e più donna. E questo è il lavoro artigianale del matrimonio, della famiglia, ogni giorno; far crescere l’altro, pensare all’altro: il marito alla moglie, la moglie al marito. Questa è comunione. Io vi dico che tante volte vengono qui alla Messa a Santa Marta coppie che fanno il 50°, persino il 60° anniversario di matrimonio. E sono felici, sorridono. Alcune volte ho visto – più di una volta – che il marito accarezzava la moglie. Dopo 50 anni! Io faccio la domanda: “Dimmi, chi ha sopportato chi?”. E loro rispondono sempre: “Ma, tutti e due”. L’amore ci porta a questo: avere pazienza. E in questi vecchi matrimoni, che sono come il buon vino, che diventa più buono quando è più vecchio, si vede questo lavoro quotidiano dell’uomo per fare più donna la moglie e della moglie per fare più uomo il marito. Non hanno paura delle differenze! Questa sfida di portare avanti le differenze, questa sfida li arricchisce, li matura, li fa grandi e hanno gli occhi brillanti di gioia, di tanti anni vissuti così nell’amore. Che grande ricchezza è questa diversità, una diversità che diventa complementarietà, ma anche reciprocità. E’ un nodo lì, l’uno all’altro. E questa reciprocità e complementarietà nella differenza è tanto importante per i figli. I figli maturano vedendo papà e mamma così; maturano la propria identità nel confronto con l’amore che hanno papà e mamma, nel confronto con questa differenza. Noi uomini impariamo a riconoscere, attraverso le figure femminili che incontriamo nella vita, la straordinaria bellezza di cui è portatrice la donna. E le donne fanno un percorso simile, imparando dalle figure maschili che l’uomo è diverso e ha un suo modo di sentire, capire, vivere. E questa comunione nella diversità è molto importante anche per l’educazione dei figli, perché le mamme hanno una maggiore sensibilità per alcuni aspetti della loro vita, mentre i papà l’hanno per altro. E’ bella questa intesa educativa, che mette a servizio della crescita dei figli i talenti diversi dei genitori. E’ una qualità importante, da coltivare e custodire.
E’ molto doloroso quando una famiglia vive una tensione che non si può risolvere, una frattura che non si riesce a sanare. E’ doloroso! Quando ci sono le prime avvisaglie di questo, un papà e una mamma hanno il dovere per sé e per i loro figli di chiedere aiuto, di farsi sostenere. Chiedete aiuto innanzitutto a Dio. Ricordate il racconto di Gesù, lo conoscete bene: è quel Padre che sa fare il primo passo verso i suoi due figli, uno che ha lasciato la casa e ha speso tutto, l’altro che è rimasto in casa… Il Signore vi darà la forza per capire che si può superare il male, che l’unità è più grande del conflitto, che si possono curare le ferite che ci siamo fatti l’un l’altro, in nome di un amore più grande, di quell’amore che Egli vi ha chiamato a vivere con il sacramento del matrimonio.
E anche quando ormai la separazione – dobbiamo parlare anche di questo – sembra inevitabile, sappiate che la Chiesa vi porta nel cuore. E che il vostro compito educativo non si interrompe: voi siete e sarete sempre papà e mamma, che non possono vivere insieme per ferite, per problemi. Per favore cercate sempre un’intesa, una collaborazione, un’armonia per il bene e la felicità dei vostri figli. Per favore non usare i figli come ostaggi! Non usare i figli come ostaggi! Quanto male fanno i genitori che si sono separati, o almeno nel loro cuore sono separati, quando il papà parla male al figlio della mamma e la mamma gli parla male del papà. Questo è terribile, perché quel bambino, quel ragazzo, quella ragazza cresce con una tensione che non sa risolvere e impara il brutto cammino dell’ipocrisia, di dire quello che piace a ciascuno per approfittarne. Questo è un male terribile! Mai, mai parlare ai figli male dell’altro! Mai! Perché loro sono le prime vittime di questa lotta e – permettetemi la parola – anche di questo odio tante volte fra i due. I figli sono sacri. Non ferirli! “Guarda, papà e mamma non si capiscono, è meglio separarsi. Ma sai – dice la mamma – tuo papà è un buon uomo”; “Sai – dice il papà – tua mamma è una brava donna”. Tengono i problemi per sé, ma non li portano ai figli.
Ma c’è anche la strada del perdono. Perdonarvi e accogliere reciprocamente i vostri limiti vi aiuterà anche a comprendere e accettare le fragilità e le debolezze dei vostri figli. Esse sono un’occasione per amarli ancora di più e farli crescere. Solo così anche loro potranno non spaventarsi di fronte ai propri limiti, non avvilirsi, ma andare avanti. Un papà e una mamma che si amano sanno come parlare al figlio o alla figlia che è su una strada difficile; anche come parlare senza parole. Mi diceva un dirigente che sua mamma era rimasta vedova e lui era l’unico figlio; a 20 anni si dava all’alcol e la mamma lavorava come domestica; erano molto poveri; e quando la mamma usciva per andare al lavoro, lo guardava dormire – ma lui non dormiva, vedeva – e senza dire una parola, se ne andava. Questo sguardo della mamma ha salvato il figlio, perché lui ha detto: “Non può essere che la mia mamma vada a lavorare e io viva per ubriacarmi!”. Così quest’uomo è cambiato. Lo sguardo, senza parole, può anche salvare i figli. I figli se ne accorgono di questo.
E il dono del matrimonio, che è tanto bello, ha anche una missione. Una missione che è molto importante.
Voi siete collaboratori dello Spirito Santo che ci sussurra le parole di Gesù! Siatelo anche per i vostri figli! Siate missionari dei vostri figli. Essi impareranno dalle vostre labbra e dalla vostra vita che seguire il Signore dona entusiasmo, voglia di spendersi per altri, dona speranza sempre, anche di fronte alle difficoltà e al dolore, perché non si è mai soli, ma sempre con il Signore e con i fratelli. E questo è importante soprattutto nell’età della preadolescenza, quando la ricerca di Dio si fa più consapevole e le domande esigono risposte ben fondate.
E non vorrei finire senza dire una parola ai nonni, ai nostri nonni. Voi sapete che a Roma gli anziani sono il 21,5 per cento della popolazione? Un quarto della popolazione romana sono i nonni. In questa città ci sono 617.635 nonni. Quanti anziani!… Una domanda soltanto: i nonni, nella famiglia, hanno posto di dignità? Adesso sono sicuro di sì, perché con la mancanza di lavoro vanno dai nonni a prendere la pensione… Questo sì, si fa… Ma i nonni, che sono la saggezza di un popolo, che sono la memoria di un popolo, che sono la saggezza della famiglia, hanno un posto degno? I nonni che hanno salvato la fede in tanti Paesi dove era proibito praticare la religione e portavano di nascosto i bambini a farli battezzare; e i nonni che insegnavano le preghiere. Oggi i nonni sono dentro la famiglia… I nonni sono noiosi, parlano sempre della stessa cosa, mettiamoli in casa di riposo… Quante volte pensiamo così. Sono sicuro che ho già raccontato questa storia, una storia che io ho sentito da bambino, a casa mia. Si racconta che in una famiglia il nonno abitava lì, col figlio, la nuora, i nipotini. Ma il nonno era invecchiato, aveva avuto un piccolo ictus, era anziano e quando era a tavola e mangiava, si sporcava un po’. Il papà aveva vergogna di suo padre, e diceva: “Non possiamo invitare gente a casa…”. E ha deciso di fare un tavolino, in cucina, perché il nonno prendesse il pasto da solo in cucina. La cosa è andata così… Alcuni giorni dopo, arriva a casa dopo il lavoro e trova suo figlio – 6-7 anni – che giocava con legni, col martello, con i chiodi… “Ma cosa fai, ragazzo?” – “Sto facendo un tavolino…” – “E perché?” – “Perché quando tu sarai vecchio, potrai mangiare da solo come mangia il nonno!”. Non vergognatevi del nonno. Non vergognatevi degli anziani. Loro ci danno saggezza, prudenza; ci aiutano tanto. E quando si ammalano ci chiedono tanti sacrifici, è vero. Alcune volte non c’è un’altra soluzione che portarli in una casa di riposo… Ma che sia l’ultima, l’ultima cosa che si fa. I nonni a casa sono una ricchezza.

Grazie tante di questo. Ricordatevi: amore, amore. Seminate amore. Ricordatevi di quello che ha detto quel bambino: “Oggi ho visto papà e mamma baciarsi!”. Che bello!”.




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