27 Giugno 1980 la strage di Ustica: ancora attendiamo risposte

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Trascorrono gli anni e l’Italia è sempre la stessa. L’Italia è un paese nel quale non è possibile “annunciare” per quali motivi e “come” un aereo che portava passeggeri civili da Roma Fiumicino a Palermo sia stato abbattuto nei cieli di Ustica. Sembra la trama di un libro ma non lo è. E’ un dramma che ha colpito decine di famiglie ed ha lasciato sbigottiti milioni di italiani. E’ una tragedia che ha visto “sparire” prove, riempire le testimonianze di “non ricordo”, la vita di testimoni chiave di “suicidi”, “incidenti”, infarti mortali”. Una tragedia che non può o meglio non vuole svelare i suoi colpevoli e che lascia l’amaro in bocca a chi crede nei valori, nell’etica, nella Verità.

ustica

 27 Giugno 1980: strage di Ustica volo Itavia 870 Bologna-Palermo andata senza ritorno. Continuano le verità nascoste e soprattutto resta ben eretto quel muro di gomma che nessuno riesce a scalfire neppure dopo 33 anni! Un abbraccio ai parenti delle vittime che continuano a piangere i loro cari senza smettere di sperare di ottenere quelle risposte e quella giustizia che meritano! (R. D.)

Ricostruzione di una notte di “follia”.

Nella strage di Ustica persero la vita 81 persone nel cielo tra le isole di Ustica e Ponza, venerdì 27 giugno 1980, quando l’aereo di linea Douglas DC-9marche I-TIGI, appartenente alla compagnia aerea italiana Itavia, si squarciò in volo all’improvviso e scomparve in mare.
Dopo oltre trent’anni di inchieste, molti aspetti di questo disastro, tra i quali le cause stesse, non sono ancora stati chiariti.
L’occultamento e la distruzione di alcuni registri e di alcuni nastri che registrarono il volo DC-9 IH870, a fronte delle prove prodotte da altri analoghi registri e nastri non occultabili e non distrutti, induce a riflettere su cosa sia veramente successo. Infatti se il disastro avesse avuto cause chiare (difetto strutturale o bomba) non sarebbe stato necessario occultare e distruggere prove di primaria importanza sul volo. I dati di volo distrutti e recuperati da altre fonti nazionali e internazionali, l’allarme generale della difesa aerea, lanciato da due piloti dell’aeronautica militare italiana, potrebbero confermare la tesi accusatoria secondo la quale l’aereo DC-9 Itavia del volo IH870 sia stato abbattuto, verosimilmente per errore, da un aereo militare.

  • Alle 20:08 del 27 giugno 1980 il volo IH870 decolla da Bologna diretto a Palermo due ore dopo il previsto, perché ha accumulato ritardi nei voli precedenti e si svolge regolarmente nei tempi e sulla rotta assegnata fino all’ultimo contatto radio, tra velivolo e controllore procedurale di Roma Controllo, che avviene alle 20:58.
  • Alle 21:04, chiamato per l’autorizzazione di inizio discesa su Palermo, il volo IH870 non risponde. L’operatore di Roma reitera invano le chiamate; lo fa chiamare, sempre senza ottenere risposta, anche da due voli dell’Air Malta, KM153, che segue sulla stessa rotta, e KM758[6], oltre che dal radar militare di Marsala e dalla torre di controllo di Palermo. Passa senza notizie anche l’orario di arrivo a destinazione, previsto per le 21:13.
  • Alle 21:25 il Comando del soccorso aereo di Martina Franca assume la direzione delle operazioni di ricerca, allerta il 15º Stormo a Ciampino, sede degli elicotteri Sikorsky HH-3F del soccorso aereo.
  • Alle 21:55 decolla il primo HH-3F e inizia a perlustrare l’area presunta dell’eventuale incidente. L’aereo è ormai disperso.
  • Nella notte numerosi elicotteri, aerei e navi partecipano alle ricerche nella zona. Solo alle prime luci dell’alba viene individuata da un elicottero del soccorso aereo, alcune decine di miglia a nord di Ustica, una chiazza oleosa. Poco dopo raggiunge la zona un Breguet Atlantic dell’aeronautica e vengono avvistati i primi detriti ed i primi cadaveri. È la conferma che il velivolo è precipitato in quella zona del mar Tirreno dove la profondità supera i tremila metri.
  •  Sul caso Ustica la magistratura italiana ha prodotto enormi sforzi: venti anni di indagini, migliaia di cartelle di atti per circa un milione e mezzo di pagine e quasi trecento udienze processuali. Restano ancora incerte le cause del disastro.Le indagini vennero avviate immediatamente sia dalla magistratura sia dal Ministero dei Trasporti, all’epoca ministro Formica. Aprirono un procedimento le procure di Palermo, Roma e Bologna, mentre il ministro dei trasporti nominò una commissione d’inchiesta tecnico-formale diretta dal dottor Luigi Luzzatti, che però non concluse mai i suoi compiti, visto che, dopo aver presentato due relazioni preliminari, decise per l’autoscioglimento nel 1982 a causa di insanabili contrasti di attribuzioni con la magistratura. Formica finì con l’adeguarsi alla tesi prevalente, che l’aereo era precipitato per un cedimento strutturale dovuto alla cattiva manutenzione. Il 10 dicembre 1980 Itavia annunciò l’interruzione dei voli. Il Ministero dei Trasporti il 12 dicembre 1980 revocò all’Itavia le concessioni per l’esercizio dell’attività, su rinuncia della stessa compagnia aerea.
    Dal 1982 l’indagine divenne, di fatto, di esclusiva competenza della magistratura nella persona del giudice istruttore Bucarelli. La ricerca delle cause dell’incidente, nei primi anni e senza disporre del relitto, non permise di raggiungere ragionevoli certezze.

    Tracce di esplosivi [modifica]

    Sui pochi resti disponibili i periti rinvennero tracce di esplosivi. Nel 1982 una perizia da parte di esperti dell’aeronautica militare italiana, trovò solo T4, esplosivo plastico presente nelle bombe: nella Relazione della Direzione laboratori dell’A.M. – IV Divisione Esplosivi e Propellenti (Torri) del 5.10.1982 (parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, capitolo III della sentenza ordinanza del Giudice Istruttore) la causa dell’incidente viene individuata nella detonazione di una massa di esplosivo presente a bordo del velivolo, in ragione della rilevata presenza su alcuni reperti di tracce di T4, e dell’assenza di tracce TNT. L’inadeguatezza del sistema di analisi chimica impiegato dai periti dell’aeronautica militare italiana, e quindi l’incompletezza dei risultati di quei laboratori, portò ad una seconda perizia. La seconda repertazione, nel 1987, trovò T4 e TNT, assieme: la Perizia chimica Malorni Acampora del 3.2.1987 (disposta dal G.I. nel corso della perizia Blasi: parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, capitolo IV pag. 1399 e ss. della sentenza ordinanza del Giudice Istruttore) rileva la presenza chiara e inequivocabile sia di T4 che di TNT (nel frammento dello schienale n. 2 rosso), miscela la cui presenza è tipica degli ordigni di guerra. Queste componenti di esplosivi presenti solitamente nelle miscele di ordigni militari, e la regolare manutenzione dell’aereo, fanno escludere l’ipotesi di un cedimento strutturale, come era stato ipotizzato il 28 gennaio 1981 da una commissione nominata dal ministro dei trasporti Formica[24]. Il ministro dei Trasporti Formica aveva revocato la concessione dei servizi aerei di linea all’ Itavia, per cattiva manutenzione. Di conseguenza l’Itavia è stata fatta chiudere ingiustamente dal Ministro dei Trasporti Formica e dovrà essere risarcita.
    Secondo le rivelazioni di due cablogrammi (cable) (03ROME288] e 03ROME3199) pubblicati sul sito WikiLeaks, l’allora ministro per le relazioni con il parlamento, Carlo Giovanardi, difese in Parlamento la versione della bomba, paragonandola a quella della strage di Lockerbie, per tentare di negare le responsabilità americane Ma in un’intervista rilasciata ad AgoraVox Italia Giovanardi smentisce la versione dell’ambasciata statunitense in cui si legge che lo stesso avrebbe espresso la sua volontà di “mettere a tacere” le ipotesi sulla strage di Ustica. Le esternazioni di Carlo Giovanardi al Museo della Memoria di Ustica, sono state contradette dal Presidente dell’Associazione parenti delle vittime della strage di Ustica

    Il recupero del relitto

    Nel 1987 l’allora ministro del Tesoro Giuliano Amato stanziò i fondi per il recupero del relitto del DC-9, che giaceva in fondo al mar Tirreno. La profondità di 3700 metri alla quale si trovava il relitto rendeva complesse e costose le operazioni di localizzazione e recupero.
    Pochissime erano le imprese specializzate che disponevano delle attrezzature e dell’esperienza necessarie: la scelta ricadde sulla ditta francese Ifremer (Institut français de recherche pour l’exploitation de la mer, Istituto di ricerca francese per lo sfruttamento del mare), che il giudice Priore avrebbe poi ritenuto collegata ai servizi segreti francesi
    Sulla conduzione dell’operazione di recupero effettuata dai DSRV della Ifremer, che portò in superficie la maggior parte della cellula dell’aeromobile, scaturirono molti dubbi, principalmente sui filmati consegnati in copia e sul fatto che l’ispezione al relitto documentata dalla ditta francese fosse davvero stata la prima.
    Le difficoltà tecniche, i problemi di finanziamento e le resistenze esercitate da varie delle parti interessate contribuirono a rimandare il recupero per molti anni.
    Alla fine due distinte campagne di recupero, nel 1987 e nel 1991, consentirono di riportare in superficie circa il 96% del relitto del DC-9.
    Il relitto venne ricomposto in un hangar dell’aeroporto di Pratica di Mare, dove rimase a disposizione della magistratura per le indagini fino al 5 giugno 2006, data in cui fu trasferito e sistemato, grazie al contributo dei Vigili del Fuoco di Roma[36], nel Museo della Memoria, approntato appositamente a Bologna. In relazione a tale trasferimento e conseguente sistemazione, venne pubblicato un articolo nella rivista “Obiettivo sicurezza” dei Vigili del Fuoco, sul loro contributo al trasporto dei rottami dell’aereo.

    Il serbatoio esterno di un aereo militare

    Molto interesse destò nell’opinione pubblica il rinvenimento il 10 maggio 1992, durante la seconda campagna di recupero al limite orientale della zona di ricerca (zona D), di un serbatoio esterno sganciabile di un aereo militare schiacciato e frammentato, ma completo di tutti i pezzi. Tali serbatoi esterni generalmente vengono sganciati in caso di pericolo o di necessità (ad esempio in atterraggio) per aumentare la manovrabilità dell’apparecchio.
    Il serbatoio fu recuperato il 18 maggio e fu sistemato a Pratica di Mare con gli altri reperti. Lungo 3 metri, per una capienza di 300 U.S. gal (1135 litri) di combustibile, presentava i seguenti dati identificativi:

    Pastushin Industries inc. pressurized 300 gal fuel tank installation diagram plate 225-48008 plate 2662835

    Era stato quindi prodotto negli Stati Uniti dalla Pastushin Aviation Company di Huntington BeachLos AngelesCalifornia, poi Pavco, oppure all’estero su licenza, ed era possibile installarlo su almeno 4 modelli di aerei: MD F-4 PhantomNorthrop F-5F-15 EagleVought A-7 Corsair II.
    Gli Stati Uniti, interpellati dagli inquirenti, risposero che dopo tanti anni non era loro possibile risalire a date e matricole per stabilire se e quando il serbatoio fosse stato usato in servizio dall’Aviazione o dalla Marina degli Stati Uniti.
    Anche le autorità francesi furono interpellate e risposero di non aver mai acquistato o costruito su licenza serbatoi di quel tipo; fornirono inoltre copie dei libri di bordo di quel periodo delle portaerei della Marine nationale Clemenceau e Foch.

    Gli oblò del DC-9

    Gli oblò del DC-9 malgrado l’esplosione sono rimasti integri, perciò secondo i periti, questo fatto escluderebbe che l’esplosione sia avvenuta a causa di una bomba messa all’interno dell’aereo

    La Commissione Stragi

    Nel 1989 la Commissione Stragi, istituita l’anno precedente e presieduta dal senatore Libero Gualtieri, deliberò di inserire tra le proprie competenze anche le indagini relative all’incidente di Ustica, che da quel momento divenne pertanto, a tutti gli effetti, la Strage di Ustica.
    L’attività istruttoria della Commissione determinò la contestazione di reati a numerosi militari in servizio presso i centri radar di Marsala e Licola
    Per undici anni i lavori si susseguirono, interessando i vari governi del tempo e le autorità militari. Come riportato esplicitamente nelle considerazioni preliminari dell’inchiesta del giudice Priore, sin dalle prime fasi gli inquirenti mossero accuse di scarsa collaborazione e trasparenza da parte di, come definito: “soggetti che a vario titolo hanno tentato di inquinare il processo, e sono riusciti nell’intento per anni”. Venne coniato il termine muro di gomma, divenuto poi il termine utilizzato per descrivere il comportamento delle istituzioni nei confronti delle ricostruzioni che attribuivano la causa del disastro aereo di Ustica ad un’azione militare. Dopo cinque mesi, infatti, venne presentata una secca ed essenziale ricostruzione da parte dei due esperti Rana e Macidull, che affermavano con certezza che si era di fronte ad un abbattimento causato da un missile. La ricostruzione non venne presa in seria considerazione dal governo presieduto dall’onorevole Francesco Cossiga, che assunse un orientamento diverso e non fu disposto a modificarlo. Il presidente della società Itavia, Aldo Davanzali, per aver condiviso la tesi del missile, fu indiziato del reato di diffusione di notizie atte a turbare l’ordine pubblico, su iniziativa del giudice romano Santacroce a cui era affidata l’inchiesta sul disastro.
    L’ex ministro Rino Formica, ascoltato dalla Commissione, dichiarò di ritenere verosimile l’ipotesi di un missile, già da lui sostenuta in un’intervista all’Espresso del 1988: a suo dire, a convincerlo tempestivamente che il DC-9 era stato abbattuto da un missile era stato il generale Saverio Rana, presidente del Registro Aeronautico, il quale all’indomani della sciagura, dopo un primo esame dei dati radar, avrebbe detto al ministro dei Trasporti che l’aereo dell’Itavia era stato attaccato da un caccia ed abbattuto con un missile. Per Formica, il generale Rana – nel frattempo morto per tumore – era «un compagno, un amico» nel quale aveva piena fiducia In seguito all’intervista all’Espresso, interrogato dalla commissione parlamentare sulle stragi, Formica disse di aver parlato dopo l’incidente solo col ministro della Difesa Lelio Lagorio delle informazioni avute da Rana, anche se non era andato oltre, trattandosi non di certezze ma di opinioni ed intuizioni; ma Lagorio, il 6 luglio 1989, davanti alla stessa commissione, nel confermare che Formica gli parlò del missile, commentò: «Mi parve una di quelle improvvise folgorazioni immaginifiche e fantastiche per cui il mio caro amico Formica è famoso»
    Il 27 maggio 1990 i periti, hanno concluso che si tratta di un missile e non di una bomba a bordo. Malgrado ciò gli esperti dell’ aeronautica militare italiana che hanno partecipato alla superperizia, in qualità di consulenti di parte, continuano a sostenere la tesi della bomba.

    Le indagini successive

    Anche gli inquirenti denunciarono esplicitamente che il sostanziale fallimento delle indagini fosse dovuto a estesi depistaggi ed inquinamenti delle prove, operati da soggetti ed entità molteplici, come riportano i passi introduttivi del Procedimento Penale Nr. 527/84 A G.I.

    « Il disastro di Ustica ha scatenato, non solo in Italia, processi di deviazione e comunque di inquinamento delle indagini. Gli interessi dietro l’evento e di contrasto di ogni ricerca sono stati tali e tanti e non solo all’interno del Paese, ma specie presso istituzioni di altri Stati, da ostacolare specialmente attraverso l’occultamento delle prove e il lancio di sempre nuove ipotesi – questo con il chiaro intento di soffocare l’inchiesta – il raggiungimento della comprensione dei fatti […] Non può perciò che affermarsi che l’opera di inquinamento è risultata così imponente da non lasciar dubbi sull’ovvia sua finalità: impedire l’accertamento della verità. E che, va pure osservato, non può esserci alcun dubbio sull’esistenza di un legame tra coloro che sono a conoscenza delle cause che provocarono la sciagura ed i soggetti che a vario titolo hanno tentato di inquinare il processo, e sono riusciti nell’intento per anni. »

    Per questa ipotesi investigativa, assieme alle indagini per la ricerca delle cause si sovrapposero le indagini per provare quegli inquinamenti e quei depistaggi.

    Il registro del radar di Marsala

    Animazione del tracciato radar (a velocità doppia) degli ultimi minuti del volo. Il DC-9 è diretto a sud e vi è un vento a circa 200 km/h verso sud-est. Si  notino i due echi senza identificazione sulla sinistra: secondo alcuni periti si tratta della traccia di un aereo, secondo altri di falsi plot, errori del radar. La scritta “IH870” scompare con l’ultima risposta del transponder. Altri contatti su cui si sono concentrate le indagini sono i plot doppi dopo il disastro, sospettati di essere tracce di altri aerei in volo. Tali plot potrebbero anche essere stati determinati, si è ipotizzato, dalla struttura principale dell’aereo in caduta e da fenomeni di chaffing causati da frammenti, anche se restano i dubbi per i plot ad ovest del punto di caduta in quanto sopravvento e quindi difficilmente attribuibili a rottami che cadono nel letto del forte vento di Maestrale (che proviene appunto da Nord-Ovest e spinge verso Sud-Est).

    Durante le indagini si appurò che il registro dell’IC, cioè del guida caccia Muti del sito radar di Marsala, aveva una pagina strappata nel giorno della perdita del DC-9 Il pubblico ministero giunse quindi alla conclusione che fosse stata sottratta la pagina originale del 27 giugno e se ne fosse riscritta poi, nel foglio successivo, una diversa versione.
    Durante il processo, la difesa contestò questa conclusione e affermò che la pagina mancante non sarebbe stata riferita al giorno della tragedia, ma alla notte tra il 25 e il 26 giugno. L’analisi diretta della  Corte concluse che la pagina tra il 25 e il 26 era stata tagliata, come osservato dalla difesa, ma quella che riguarda la sera del 27 giugno era recisa in modo estremamente accurato, così che fosse difficile accorgersene (il particolare era infatti sfuggito all’avvocato difensore). La numerazione delle pagine non aveva invece interruzioni ed era quindi posteriore al taglio.
    Interrogato a questo proposito, il sergente Muti, l’IC in servizio quella sera a Marsala non fornì alcuna spiegazione («Non so cosa dirle»).
    La difesa riconobbe in seguito che la pagina del registro dell’IC, cioè del guida caccia Muti in servizio il 27 giugno, era stata effettivamente rimossa dal registro.

    Il registro del radar di Licola

    Il centro radar di Licola è il più vicino al punto del disastro. All’epoca era di tipo fonetico-manuale: nella sala operativa del sito, le coordinate delle tracce venivano comunicate a voce dagli operatori seduti alle console radar ad altri operatori, che le disegnavano stando in piedi dietro un pannello trasparente. Parallelamente tali dati venivano scritti da altri incaricati sul modello “DA 1”. Il “DA 1” del 27 giugno 1980 non fu mai ritrovato

    Altre tracce radar

    Sono presenti tracciati radar di numerose stazioni radar civili nazionali e militari internazionali

    Aeroporto di Grosseto

    Il giudice istruttore e la Commissione stragi sono in possesso dei tracciati del radar di Grosseto (Poggio Ballone) : nelle registrazioni del radar dell’aeroporto di Grosseto si vedono due aerei supersonici, probabilmente libici, che volavano in direzione sud verso nord, sulla rotta del DC-9 Itavia. Mentre due caccia, probabilmente francesi, provenienti dalla Corsica, sono giunti sul posto alcuni minuti dopo l’abbattimento dell’aereo civile italiano I nastri con le registrazioni radar del centro della Difesa aerea di Poggio Ballone (Grosseto) sarebbero spariti. Cio’ che rimane sono soltanto alcune trasposizioni su carta di poche tracce

    Aeroporto di Ciampino

    Il radar di Ciampino, vede la manovra d’attacco al DC-9

    Aeroporto di Fiumicino

    Il radar dell’Aeroporto di Roma-Fiumicino, registra il volo del DC-9 Itavia del 27 giugno 1980, dalle ore 20,58 alle 21,02

    AWACS

    In quelle ore, un aereo radar AWACS, un quadrireattore Boeing E-3A Sentry, dell’aeronautica militare, uno dei due presenti in Europa nel 1980, risulta orbitante con rotta circolare nell’area a Nord di Grosseto. Dotato dell’avanzatissimo radar 3D Westinghouse AN/APY-1 con capacità “Look down”, in grado di distinguere i velivoli dagli echi del terreno, era in condizione di monitorare tutto il traffico, anche di bassa quota, per un raggio di 500 km.

    Portaerei Saratoga [modifica]

    L’ammiraglio James Flatley al comando della portaerei USS Saratoga della US Navy, ancorata il 27 giugno 1980 nel golfo di Napoli, dichiarava in un’intervista che nonostante fosse in corso una manutenzione dei radar, con uno di essi in funzione era stato possibile notare che «il traffico aereo era molto sostenuto nell’area di Napoli, soprattutto in quella meridionale. Sul radar abbiamo visto passare moltissimi aerei.» Registrati intorno al DC-9 in volo, almeno 11 velivoli I registri radar della Saratoga sono andati persi.. Secondo altre indicazioni, la portaerei americana Saratoga non sarebbe stata in rada a Napoli il 27 giugno 1980.

    Civilavia e Centro Bolognese

    Civilavia e Centro bolognese si occupavano di registrare tutti i voli nazionali ed internazionali civili, commerciali e militari per poi procedere alla stampa e alla fatturazione dei costi di ogni passaggio aereo a ciascuna compagnia o società. I nastri con le registrazioni dei voli, decrittati e stampati, sono stati acquisiti dal giudice istruttore.

    Satellite russo

    Nell’aprile del 1993 il generale Yuri Salimov, dei servizi russi, rivela di aver seguito i fatti di Ustica attraverso un radar russo basato in Libia che, attraverso l’ausilio satellitare, era in grado di monitorare il mar Tirreno meridionale: «Vidi quel missile USA colpire per errore il DC-9»

    Il rinvio a giudizio

    Alla luce di queste anomalie inspiegate e delle risposte, da parte del personale dei due siti radar di Mrsala e Licola, ritenute insoddisfacenti, il 28 giugno 1989 il giudice Bucarelli accolse la richiesta del procuratore Santacroce e rinviò a giudizio per falsa testimonianza aggravata e concorso in favoreggiamento personale aggravato, ventitré tra ufficiali e avieri in servizio il giorno del disastro],.
    L’ipotesi accusatoria fu che i militari, con una vasta operazione di occultamento delle prove e di depistaggio, avrebbero tentato di nascondere una battaglia tra aerei militari, nel corso della quale il DC-9 sarebbe precipitato.

    Telefonata anonima a Telefono Giallo

    Nel 1988, l’anno prima, durante la trasmissione Telefono giallo di Corrado Augias, con una telefonata anonima qualcuno aveva dichiarato di essere stato «un aviere in servizio a Marsala la sera dell’evento della sciagura del DC-9». L’anonimo aveva riferito che i presenti come lui, avrebbero esaminato le tracce, i dieci minuti di trasmissione di cui parlavano nella puntata, dichiarando: «noi li abbiamo visti perfettamente. Soltanto che il giorno dopo, il maresciallo responsabile del servizio ci disse praticamente di farci gli affari nostri e di non avere più seguito in quella vicenda. […] la verità è questa: ci fu ordinato di starci zitti»

    Scontro aereo tra caccia [

    In un articolo dal titolo Battaglia aerea poi la tragedia, pubblicato dal quotidiano L’Ora il 12 febbraio 1992, il giornalista Nino Tilotta affermò che l’autore della telefonata sarebbe stato in effetti in  servizio allo SHAPE di Mons, in Belgio, e che avrebbe detto in trasmissione di essere a Marsala per non farsi riconoscere. Avrebbe rivelato la sua identità rilasciando l’intervista anni dopo essere andato in pensione in quanto, come aveva affermato, non si sentiva più vincolato dall’obbligo di mantenere il segreto militare. L’articolo parlava di uno scontro aereo avvenuto tra due caccia F-14 Tomcat della US Navy ed un MiG-23 libico. Secondo questa versione, il SISMI all’epoca comandato dal generale Santovito avrebbe avvertito gli aviatori libici di un progetto di attaccare sul Mar Tirreno l’aereo nel quale Gheddafi andava in Unione Sovietica. Sembra che i progettisti di questa azione di guerra siano da ricercare tra quelli indicati dall’ ammiraglio Martini, e cioè tra francesi e americani. In seguito alla spiata del SISMI l’aereo che trasportava Gheddafi, arrivato su Malta, tornò indietro, mentre altri aerei libici proseguivano la rotta

    Testimonianze americane

    24 ore dopo il disastro del DC-9, l’addetto militare aeronautico americano Joe Bianckino, dell’ambasciata americana a Roma, organizzò una squadra di esperti, formata da William McBride, Dick Coe, William McDonald e il direttore della CIA a Roma, Duane Clarridge, il colonnello Zeno Tascio, responsabile del SIOS (servizio segreto aeronautica militare italiana) insieme a due ufficiali italiani. Il giorno successivo alla strage Joe Bianckino era già in possesso dei tabulati radar e i suoi esperti li avevano sottoposti ad analisi. John Tresue, esperto missilistico del Pentagono, affermò, durante il suo interrogatorio come testimone, che gli furono consegnate dopo la sciagura, diverse cartelle con i tabulati dei radar militari; John Tresue informò il Pentagono, che ad abbattere il DC-9 era stato un missile.

    Testimonianze libiche

    Nel 1989 l’agenzia di stampa libica Jana preannunciò la costituzione di un comitato supremo d’ inchiesta sulla strage di Ustica: Tale decisione è stata presa dopo che si è intuito che si è trattato di un brutale crimine commesso dagli USA che hanno lanciato un missile contro l’ aereo civile italiano, scambiato per un aereo libico, a bordo del quale viaggiava il leader della rivoluzione.

    Il traffico aereo

    Diversi elementi portarono gli inquirenti ad indagare sull’eventuale presenza di altri aerei coinvolti nel disastro.
    Si determinarono con certezza alcuni punti:

    • In generale la zona sud del Tirreno era utilizzata per esercitazioni NATO.
    • Furono inoltre accertate in quel periodo penetrazioni dello spazio aereo italiano da parte di aerei militari libici. Tali azioni erano dovute alla necessità da parte dell’aeronautica militare libica di trasferire i vari aerei da combattimento da e per la Jugoslavia, nelle cui basi veniva assicurata la manutenzione ai diversi MiG e Sukhoi di fabbricazione sovietica, presenti in gran quantità nell’aviazione del colonnello Gheddafi.
    • Il governo italiano, fortemente debitore verso il governo libico dal punto di vista economico (non si dimentichi che dal 1 dicembre 1976 addirittura la FIAT era parzialmente in mani libiche, con una quota azionaria del 13% detenuta dalla finanziaria libica LAFICO) tollerava tali attraversamenti e li mascherava con piani di volo autorizzati per non impensierire gli USA. Spesso gli aerei libici si mimetizzavano nella rete radar disponendosi in coda al traffico aereo civile italiano, riuscendo così a non allertare le difese NATO.
    • Diverse testimonianze, inoltre, avevano descritto l’area come soggetta a improvvisa comparsa di traffico militare statunitense. Un traffico di tale intensità da far preoccupare piloti, civili e controllori: poche settimane prima della tragedia di Ustica, un volo Roma-Cagliari aveva deciso per sicurezza di tornare all’aeroporto di partenza; in altre occasioni i controllori di volo avevano  contattato l’addetto aeronautico dell’ambasciata USA per segnalare la presenza di aerei pericolosamente vicini alle rotte civili. Più specificamente, durante la giornata del 27 giugno 1980 era segnata nei registri, dalle 10.30 alle 15.00, l’esercitazione aerea USA “Patricia”, ed era poi in corso un’esercitazione italiana h. 24 (cioè della durata di ventiquattro ore) a Capo Teulada, segnalata nei NOTAM.
    • Durante quella sera, tra le ore 20:00 e le 24:00 locali, erano testimoniati diversi voli nell’area da parte di aerei militari non appartenenti all’aeronautica miliatre italiana: un quadrireattore E-3A Sentry (aereo AWACS o aereo radar) che volava da oltre due ore a 50 km da Grosseto in direzione nord ovest, un CT-39G Sabreliner, un jet executive militare e vari Lockheed P-3 Orion (pattugliatori marini) partiti dalla base di Sigonella, un Lockheed C-141 Starlifter(quadrireattore da trasporto strategico) in transito lungo la costa tirrenica, diretto a sud.
    • Inoltre, sembra che in quei giorni (ed anche quella sera) alcuni cacciabombardieri F-111 dell’USAF basati a Lakenheath (SuffolkGran Bretagna), si stessero trasferendo verso l’Egitto all’aeroporto di Cairo West, lungo una rotta che attraversava la penisola italiana in prossimità della costa tirrenica, con l’appoggio di aerei da trasporto strategico C-141 Starlifter. Gli aerei facevano parte di un ponte aereo in atto da diversi giorni, che aveva lo scopo di stringere una cooperazione con l’Egitto e ridurre la Libia, con la quale vigeva uno stato di crisi aperta sin dal 1973, a più miti consigli.
    • Intensa e insolita attività di volo fino a tarda sera era testimoniata anche dal generale dei Carabinieri Nicolò Bozzo presso la base aerea di Solenzara, in Corsica, che ospitava vari stormi dell’Armée de l’air francesi.
    • La sera della strage di Ustica, 4 aerei volavano con lo stesso codice del trasponder. Il DC-9 Itavia aveva come codice il n. 1136 e altri tre velivoli, di cui uno sicuramente militare, erano dotati dello stesso numero di riconoscimento
    • Dalla perizia tecnico-radaristica risulta che 30 aerei supersonici militari, difensori e attaccanti, sorvolarano la zona di Ustica nel pomeriggio e alla sera del 27 giugno 1980, dalle 17:30 alle 21:15, per 3 ore e 45 minuti. Gli aerei militari avevano tutti il trasponder spento per evitare di essere identificati dai radar. Una esercitazione d’aviazione di marina, come ha detto l’ammiraglio James Flately nella sua prima versione e che conferma la presenza di una portaerei che raccolse i propri aerei.

    Intensa attività militare

    Successivamente, all’inizio dell’agosto 1980, oltre a vari relitti furono ritrovati in mare anche due salvagenti e un casco di volo della marina americana; a settembre, presso Messina, si rinvennero frammenti di aerei bersaglio italiani, che sembrano però risalenti a esercitazioni terminate nel gennaio dello stesso anno.
    Questi dati evidenziano che nell’area tirrenica, in quel periodo del 1980, si svolgeva un’intensa attività militare. Inoltre, benché molti di questi fatti, se presi singolarmente, appaiano in relazione diretta con la caduta del DC-9, si è notata da alcuni la coincidenza temporale dell’allarme degli F-104 italiani su Firenze, al momento del passaggio del DC-9, dell’esistenza di tracce radar non programmate che transitano ad oltre 600 nodi in prossimità dell’aereo civile, della pluritestimonianza dell’inseguimento tra aerei da caccia sulla costa calabra ed, infine, delle attività di ricerca, in una zona a 20 miglia ad est del punto di caduta, effettuate da velivoli non appartenenti al Soccorso aereo Italiano.

    Due aerei militari italiani danno l’allarme

    Due F-104 del 4º Stormo dell’aeronautica militare italiana, di ritorno da una missione di addestramento sull’aeroporto di Verona-Villafranca, mentre effettuavano l’avvicinamento alla base aerea di Grosseto si trovarono in prossimità del DC-9 Itavia. Uno era un F-104 monoposto, con un allievo ai comanto difatti costoro nel loro rapporto del 10 marzo 1997:

    « Varie volte è stato dichiarato lo stato di emergenza confermata relativa alla traccia LL464/LG403 sulla base del codice SIF1 73, che all’epoca del disastro veniva usato come indicazione di emergenza. La traccia ha attraversato la traiettoria del volo del DC-9 alle 18:26, ed è stata registrata per l’ultima volta nei pressi della base aerea di Grosseto alle 18:39 »

    L’aereo ripeté per ben tre volte la procedura di allerta, a conferma inequivocabile dell’emergenza.
    Né l’aeronautica militare italiana né la NATO hanno mai chiarito le ragioni di quell’allarme.

    Il MiG-23 ritrovato 20 giorni dopo

    MIG-23 libico
    MiG-23MS.jpg
    Data 18 luglio 1980
    Luogo Timpa della Magare, Castelsilano
    Stato Bandiera dell'Italia Italia
    Coordinate 39°16′0″N 16°46′0″E / 39.26667°N  16.76667°ECoordinate:39°16′0″N 16°46′0″E / 39.26667°N 16.76667°E
    Operatore Aeronautica militare libica
    Partenza base sconosciuta. La versione ufficiale suggerisce dalla Libia, ma esiste la forte possibilità che il MiG fosse di ritorno dalla Jugoslavia (Procedimento penale n. 527 84 A G. I.)
    Destinazione sconosciuta, forse la Jugoslavia o Libia, se la rotta fosse di rientro (Procedimento penale n. 527 84 A G. I.).
    Equipaggio 1
    Vittime 1
    Sopravvissuti 0
    Mappa di localizzazione
    Strage di Ustica è posizionata in Italia

    voci di incidenti aerei presenti su Wikipedia

    Il 18 luglio un MiG-23MS della l’Aeronautica militare libica venne ritrovato sui monti della Sila in zona  Timpa delle Magare, nell’attuale comune di Castelsilanocrotonese (allora in provincia di Catanzaro), in Calabria. Numerosi abitanti del luogo si recarono quasi subito sul posto, dove arrivarono anche i pompieri per domare l’incendio, che si era nel frattempo esteso alla vegetazione, e che durò per alcune ore. Intervennero, successivamente, i carabinieri, degli ufficiali dell’aeronautica militare italiana esperti di incidenti aerei, comandante e vicecomandante della base di Gioia del Colle, ed il generale Zeno Tascio, capo del SIOS dell’aeronautica militare italiana.
    Seconda una memoria aggiuntiva del 26 luglio, del medico legale Anselmo Zurlo che aveva eseguito l’autopsia del cadavere del pilota, la morte del pilota del MIG-23 libico risaliva ad almeno 10-15 giorni precedenti. Il cadavere ritrovato era in uno stato di “avanzatissima” putrefazione, puzzava e il sindaco di Castelsilano ne autorizzò la tumulazione immediata. L’importanza della data della morte del  pilota del MIG-23, è sottolineata dal fatto che questa memoria supplementare di Zurlo, non si trova più
    A conferma che l’aereo libico MIG-23 cadde contemporaneamente al DC-9 Itavia, la testimonianza di Filippo Di Benedetto, al tempo caporale, che prestava servizio di leva presso la caserma Settino di Cosenza, testimonia al giudice, che il 28 giugno 1980, cioè il giorno successivo all’ abbattimento dell’ aereo DC-9 Itavia, fu inviato insieme ad altri soldati nella zona di Castelsilano, dove era caduto un aereo da guerra
    I libici ammisero subito la perdita del caccia e chiesero di fare parte di una commissione di inchiesta.

    Mimetica del MiG-23MS libico

    Venne quindi formata una commissione militare, cui parteciparono anche alcuni esperti militari libici, nominata dallo Stato Maggiore dell’aeronautica militare italiana, il 24 luglio 1980, presieduta dal generale Sandro Ferracuti. La commissione produsse la Relazione Tecnico Formale del 23 settembre 1980 e, successivamente, l’ITAV produsse la Relazione dell’Ispettorato delle Telecomunicazioni e Assistenza al Volo del 15 ottobre 1988: la prima individuava cause e modalità  dell’incidente calcolando traiettoria e tempi del percorso del caccia libico, la seconda «non esclude completamente» la possibilità di corrispondenza tra una traccia rilevata dal radar di Otranto il 18 luglio e il volo del MiG-23.
    L’aeronautica militare italiana, dopo aver lavorato nella commissione relativa al caso insieme ai libici, dichiarò che questo aereo sarebbe decollato dalla Libia e che, in seguito ad un malore del pilota, avrebbe proseguito il volo con il pilota automatico – quindi a quota livellata ed elevata – finendo col precipitare sul territorio italiano per esaurimento del combustibile venerdì 18 luglio, ossia venti giorni dopo la caduta del DC-9.
    Tale versione, tuttavia, secondo l’ordinanza-sentenza del giudice Rosario Priore, apparirebbe contrastata da alcune testimonianze e circostanze, che avrebbero consentito di retrodatare la caduta del velivolo libico, ponendola a ridosso immediato della tragedia del DC-9: tra queste, il referto autoptico di Anselmo Zurlo ed Erasmo Rondanelli, in cui i due patologi definirono «avanzatissimo» lo stato di decomposizione della salma del pilota, ma che datava la morte al 18 luglio. I due medici dichiararono di aver consegnato il giorno seguente alla Procura di Crotone un supplemento di perizia in cui retrodatavano la morte del pilota proprio sulla base dello stato di putrefazione, supplemento che non risulta tra gli atti acquisiti dalla procura, mai esistita per i giudici della Procura di Crotone, ma sottratta per il giudice Priore. Vi sono altre testimonianze, raccolte sul luogo e nelle aree limitrofe che riportavano l’evento ad una data prossima o coincidente con la scomparsa del volo Itavia.
    Durante il dibattimento si scontrarono sul piano tecnico i lavori dei periti di parte inquirente e di parte imputata:

    • Consulenza di parte inquirente Dalle Mese-Casarosa-Held: venne nominata dal giudice istruttore nell’ottobre 1990, composta dai professori Carlo Casarosa, Enzo Dalle Mese e, successivamente, Manfred Held; produsse un documento intitolato Perizia tecnico scientifica nel maggio 1993 che discordava con le conclusioni della commissione precedente, non considerando congruenti la traiettoria ipotizzata con le tracce radar, ed affermando che il caccia non aveva sufficiente combustibile per arrivare sulla Sila.
    • Consulenza di parte imputata Dell’Oro-Di Natale: venne nominata il 22 febbraio 1991, composta dall’ingegner Giorgio Dell’Oro e da Franco Di Natale; produsse la relazione dal titolo Documentazione agli atti dell’incivolo del MiG23 Libico matricola 6950 analisi validità e completezza dati disponibili, che afferma che il combustibile del caccia sarebbe stato sufficiente.
    • Consulenze di parte imputata Brindisino-Di Natale-Ludovisi: vennero nominate il 5 luglio 1993; produssero il documento intitolato Note critiche dei Consulenti di Parte Imputata alla perizia tecnico-scientifica relativa al MiG-23 MM 6590 delle forze aeree libiche, precipitato in Sila il 18.07.80, nel quale vengono puntualmente contestate le risultanze della Perizia Dalle Mese-Casarosa-Held. A tale documento fece seguito la risposta del collegio peritale di parte inquirente Risposte del Collegio peritale ai rilievi effettuati dai Consulenti di Parte Inquisita del 14 dicembre 1993.
    • Il 15 giugno 1994 i periti di parte inquisita depositarono una successiva perizia a cui nuovamente fece seguito, il 21 marzo 1995, una perizia di parte inquirente dal titolo Osservazioni del Collegio Peritale sui contenuti del documento presentato all’AG dai Consulenti di Parte Inquisita in data 15 giugno 94. La parte inquisita non ritenne necessaria un’ulteriore perizia.Ciò nonostante, le conclusioni dei consulenti di parte vennero fatte proprie dal giudice istruttore.

    L’indagine tecnica di parte inquirente relativa alle condizioni meteo del 18 luglio ed alle caratteristiche di funzionamento del pilota automatico del MiG-23, concluse che il velivolo sarebbe dovuto cadere più ad ovest e ben prima di raggiungere le coste calabresi. Anche la corrispondenza tra la traccia radar rilevata da Otranto fu ritenuta incompatibile con quanto concluso nella relazione della commissione italo-libica.
    Sulla copia della pellicola della scatola nera (FDR) a disposizione dell’autorità giudiziaria non erano registrati né l’angolo di prua, né la data di volo; l’originale era stata consegnata al SIOS e al momento delle indagini non era più disponibile agli atti per un confronto.
    Tra l’altro, in piena contraddizione con le dichiarazioni dell’aeronautica militare italiana, esiste una missiva datata il 9 dicembre 1988 in cui lo Stato Maggiore della Difesa, dopo aver interessato le tre forze armate ed ottenuto le risposte ai quesiti richiesti, riferiva che:

    « il 18 luglio 1980 l’area di competenza del 3º ROC di Martina Franca si era interessata ad una esercitazione NATO Natinad – Demon Jam V svoltasi dalle ore 8 alle ore 11 (l’esercitazione si tenne dal 15 al 18 luglio). Essa prevedeva l’impiego di velivoli che simulavano operazioni di penetrazione verso il territorio nazionale in presenza di disturbo elettronico e contro i quali intervenivano i velivoli intercettori. Nessun inconveniente si verificò nel corso dell’esercitazione. »

    La conferma dell’esercitazione in corso il 18 luglio 1980 ed il conseguente stato di allerta che ne derivava, sia della rete radar che degli intercettori in volo, rendeva ancora più incompatibile la «penetrazione non identificata di un velivolo estraneo» nell’area in quella data, per lo meno nelle modalità descritte (pilota svenuto o deceduto, quindi volo rettilineo, alta quota quindi altamente visibile da tutti i radar)

    La tesi della bomba

    Il giorno dopo il disastro, alle 12:10, una telefonata al “Corriere della Sera” annunciò a nome dei Nuclei Armati Rivoluzionari, un gruppo terrorista neofascista, che l’aereo era stato fatto esplodere con una bomba da loro posta nella toilette, da uno dei passeggeri: tal Marco Affatigato (imbarcato sotto falso nome), membro dei NAR che – invece – era in quei mesi al servizio dell’intelligence francese e che, nel settembre dello stesso anno, rientrato in Italia, venne rinchiuso nel carcere di Ferrara. Affatigato, però, sconfessò rapidamente la telefonata: per rassicurare la madre chiese alle Digos di Palermo e di Lucca di smentire la notizia della sua presenza a bordo dell’aereo precipitato.
    Circa un mese dopo ci fu la strage di Bologna. In entrambi i casi, Bologna era la città in cui avevano colpito i NAR e per tutti e due i casi Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, ai vertici del gruppo terrorista, smentirono un coinvolgimento dell’organizzazione negli eventi, come la smentì il colonnello Amos Spiazzi dopo aver conosciuto in carcere Marco Affatigato. Vi fu quindi chi ipotizza un depistaggio nel depistaggio, ovvero che la strage di Bologna sia servita ad avvalorare la tesi della bomba dei NAR collocata all’interno dell’aereo.
    La tesi della bomba avrebbe diviso anche i periti incaricati dal giudice Vittorio Bucarelli di analizzare i resti ripescati dal fondale marino: un primo momento li vide concordi all’unisono circa il missile; successivamente, due dei cinque tecnici avrebbero cambiato versione propendendo per la bomba.
    La bomba sarebbe stata collocata durante la sosta nell’aeroporto di Bologna, nella toilette posteriore dell’aereo. La perizia sulle suppellettili del gabinetto hanno trovato intatta la tavoletta del water e il lavandino: inoltre gli specialisti britannici del Dra di Halstead, nessuno dei pezzi della toilette, water e lavandino sono scheggiati da residui di esplosivo
    Inoltre il giudice si chiese come fosse possibile mettere una bomba su un aereo che è partito con due ore di ritardo e avere la certezza che esploderà in volo invece che a terra?

    I dialoghi registrati

    Alle 20:58 di quella sera, in un dialogo tra due operatori radar a Marsala, nella registrazione si sente uno dei due esclamare:

    «… Sta’ a vedere che quello mette la freccia e sorpassa!»

    e poco dopo anche:

    «Quello ha fatto un salto da canguro!»

    Alle 22:04 a Grosseto gli operatori radar non si erano accorti che il contatto radio con Ciampino era rimasto aperto e che le loro voci venivano registrate. Nella registrazione si sente:

    «… Qui, poi… il governo, quando sono americani…»

    e quindi:

    «Tu, poi… che cascasse…»
    «È esploso in volo!»

    Alle 22:05, al centro radar di Ciampino, parlando dell’omologo di Siracusa:

    «…Stavano razzolando degli aerei americani… Io stavo pure ipotizzando una collisione in volo.»

    ed anche:

    «Sì, o… di un’esplosione in volo!»

    I nastri telefonici e le testimonianze in aula

    « Allora io chiamo l’ambasciata, chiedo dell’attaché… eh, senti, guarda: una delle cose più probabili è la collisione in volo con uno dei loro aerei, secondo me, quindi…  »
    (27 giugno 1980, ore 22:39 locali. Dalla telefonata tra Ciampino e l’ambasciata USA)

    Nel 1991 gli inquirenti entrarono in possesso di una piccola parte dei nastri delle comunicazioni telefoniche fatte quella notte e la mattina seguente. La maggior parte di tali nastri è andata perduta, in quanto erano stati riutilizzati sovraincidendo le registrazioni.
    Dall’analisi dei dialoghi saltò fuori che la prima ipotesi fatta dagli ufficiali dell’aeronautica militare italiana era stata la collisione e che in tal senso avevano intrapreso azioni di ricerca di informazioni, sia presso vari siti dell’aeronautica sia presso l’ambasciata USA a Roma. Più volte si parlava di aerei americani che “razzolano”, di esercitazioni, di collisione ed esplosione, di come ottenere notizie certe al riguardo.
    Tutto il personale che partecipava alle telefonate venne identificato tramite riconoscimenti e incrocio di informazioni. Solo dopo il rinvenimento di quei nastri si ammise per la prima volta di aver contattato l’ambasciata USA o di aver parlato di “traffico americano”; prima era sempre stato negato. Le spiegazioni fornite dagli interessati durante deposizioni e interrogatori contrastano comunque con il contenuto delle registrazioni o con precedenti deposizioni.

    PM – «Furono fatte delle ipotesi sulla perdita del DC-9 in relazione alle quali era necessario contattare l’ambasciata americana?»
    Chiarotti – «Assolutamente no, per quello che mi riguardi […] La telefonata fu fatta per chiedere se avessero qualche notizia di qualsiasi genere che interessasse il volo dell’Itavia, […]»
    capitano Grasselli – «Normalmente chiamavamo l’ambasciata americana per conoscere che fine avevano fatto dei loro aerei di cui perdevamo il contatto. Non penso però che quella sera la telefonata all’ambasciata americana fu fatta per sapere se si erano persi un aereo. Ho ritenuto la telefonata un’iniziativa goliardica in quanto tra i compiti del supervisore non c’è quello di chiamare l’ambasciata […]».
    – «Ho un ricordo labilissimo anzi inesistente di quella serata. Nessuno in sala operativa parlava di traffico americano, che io ricordi. […] pensando che l’aeromobile avesse tentato un ammaraggio di fortuna, cercavamo l’aiuto degli americani per ricercare e salvare i superstiti.»

    Una volta fatta ascoltare in aula la telefonata all’ambasciata, Guidi affermò di non riconoscere la propria voce nella registrazione e ribadì che non ricordava la telefonata.
    Nel 1991 affermava: – «Quella sera non si fece l’ipotesi della collisione.» e ancora «Non mi risulta che qualcuno mi abbia parlato d’intenso traffico militare […]. Se fossi stato informato di una circostanza come quella dell’intenso traffico militare, avrei dovuto informare nella linea operativa l’ITAV, nella persona del capo del II Reparto, ovvero: Fiorito De Falco.»
    Nel nastro di una telefonata delle 22.23 Guidi informò espressamente il suo diretto superiore, colonnello Fiorito De Falco, sia del traffico americano, sia di un’ipotesi di collisione, sia del contatto che si cercava di stabilire con le forze USA.
    Ma nella deposizione dell’ottobre 1991, anche il generale Fiorito De Falco affermava: – «[…] Guidi non mi riferì di un intenso traffico militare.»

    Le morti sospette secondo l’inchiesta Priore

    « La maggior parte dei decessi che molti hanno definito sospetti, di sospetto non hanno alcunché. Nei casi che restano si dovrà approfondire […] giacché appare sufficientemente certo che coloro che sono morti erano a conoscenza di qualcosa che non è stato mai ufficialmente rivelato e da questo peso sono rimasti schiacciati. »
    (Ordinanza-sentenza Priore, capo 4, pag. 4674)

    Per due dei 12 casi di decessi sospetti permangono indizi di relazione al caso Ustica

    • Maresciallo Mario Alberto Dettori: trovato impiccato il 31 marzo 1987 in un modo definito dalla Polizia Scientifica innaturale, presso Grosseto. Mesi prima, preoccupato, aveva rovistato  tutta la casa alla ricerca di presunte microspie. Vi sono indizi fosse in servizio la sera del disastro e che avesse in seguito sofferto di «manie di persecuzione» relativamente a tali eventi. Confidò alla moglie: «Sono molto scosso… Qui è successo un casino… Qui vanno tutti in galera!». Dettori confidò con tono concitato alla cognata che “eravamo stati a un passo dalla guerra”. Il giudice Priore conclude: «Sui singoli fatti come sulla loro concatenazione non si raggiunge però il grado della prova».
    • Maresciallo Franco Parisi: trovato impiccato il 21 dicembre 1995, era di turno la mattina del 18 luglio 1980, data dell’incidente del MiG libico sulla Sila. Proprio riguardo alla vicenda del MiG erano emerse durante il suo primo esame testimoniale palesi contraddizioni; citato a ricomparire in tribunale, muore pochi giorni dopo aver ricevuto la convocazione. Non si riesce a stabilire se si tratti di omicidio.

    Gli altri casi presi in esame dall’inchiesta, sono:

    • Colonnello Pierangelo Tedoldi: incidente stradale il 3 agosto 1980; avrebbe in seguito assunto il comando dell’aeroporto di Grosseto.
    • Capitano Maurizio Gariinfarto9 maggio 1981; capo controllore di sala operativa della Difesa Aerea presso il 21º CRAM (Centro Radar Aeronautica Militare Italiana) di Poggio Ballone, era in servizio la sera della strage. Dalle registrazioni telefoniche si evince un particolare interessamento del capitano per la questione del DC-9 e la sua testimonianza sarebbe stata certo «di grande utilità all’inchiesta» visto il ruolo ricoperto dalla sala sotto il suo comando, nella quale, peraltro, era molto probabilmente in servizio il maresciallo Dettori. La morte, appare naturale, nonostante la giovane età.
    • Giovanni Battista Finettisindaco di Grosseto: incidente stradale; 23 gennaio 1983. Era opinione corrente che avesse informazioni su fatti avvenuti la sera dell’incidente del DC-9 all’aeroporto di Grosseto. L’incidente in cui perde la vita, peraltro, appare casuale.
    • Maresciallo Ugo Zammarelli: incidente stradale; 12 agosto 1988. Era stato in servizio presso il SIOS di Cagliari, tuttavia non si sa se fosse a conoscenza d’informazioni riguardanti la strage di Ustica, o la caduta del MiG libico.
    • Colonnelli Mario Naldini e Ivo Nutarelliincidente di Ramstein28 agosto 1988. In servizio presso l’aeroporto di Grosseto all’epoca dei fatti, la sera del 27 giugno, come già accennato, erano in volo su uno degli F-104 e lanciarono l’allarme di emergenza generale. La loro testimonianza sarebbe stata utile anche in relazione agli interrogatori del loro allievo, in volo quella sera sull’altro F-104, durante i quali, secondo l’istruttoria, è «apparso sempre terrorizzato». Sempre secondo l’istruttoria, appare sproporzionato – tuttavia non inverosimile – organizzare un simile incidente, con esito incerto, per eliminare quei due importanti testimoni.
    • Maresciallo Antonio Muzioomicidio1º febbraio 1991; in servizio alla torre di controllo dell’aeroporto di Lamezia Terme nel 1980, poteva forse essere venuto a conoscenza di notizie riguardanti il MiG libico, ma non ci sono certezze.
    • Tenente colonnello Sandro Marcucci: incidente aereo; 2 febbraio 1992. Non sono emerse connessioni con la tragedia di Ustica, a parte le dichiarazioni di un testimone.
    • Maresciallo Antonio Pagliara: incidente stradale; 2 febbraio 1992. In servizio come controllore della Difesa Aerea presso il 32º CRAM di Otranto, dove avrebbe potuto avere informazioni sulla faccenda del MiG. Le indagini propendono per la casualità dell’incidente.
    • Generale Roberto Boemio: omicidio; 12 gennaio 1993 a Bruxelles. Da sue precedenti dichiarazioni durante l’inchiesta, appare chiaro che «la sua testimonianza sarebbe stata di grande utilità», sia per determinare gli eventi inerenti al DC-9, sia per quelli del MiG libico. La magistratura belga non ha risolto il caso.
    • Maggiore medico Gian Paolo Totaro: trovato impiccato alla porta del bagno, il 2 novembre 1994. Gian Paolo Totaro era in contatto con molti militari collegati agli eventi di Ustica, tra i qauli Nutarelli e Naldini

    Il processo della strage di Ustica

    Il Processo sulle Cause e sugli Autori della Strage in realtà non è mai stato effettuato in quanto l’Istruttoria relativa definirà “Ignoti gli autori della strage” e concluderà con un “Non luogo a procedere” nel 1999. (ref. “L’istruttoria Priore”) Il reato di strage non cade comunque in prescrizione per cui, se dovessero emergere nuovi elementi relativi, un eventuale processo potrà essere ancora condotto.
    Il processo complementare sui fatti di Ustica, per la parte riguardante i reati di “Depistaggio”, imputati a carico di alti Ufficiali dell’Aeronautica Miliatare Italiana, è stato invece definitivamente concluso in cassazione nel gennaio del 2007, con la conclusione che depistaggi non ci furono. (Ref. “Il processo in Corte di Assise sui presunti depistaggi”).

    L’istruttoria Priore

    Le indagini si concludono il 31 agosto 1999, con l’ordinanza di rinvio a giudizio-sentenza istruttoria di proscioglimento, rispettivamente, nei procedimenti penali nº 527/84 e nº 266/90, un documento di dimensioni notevoli che, dopo anni di indagini, la quasi totale ricostruzione del relitto, notevole impiego di fondi, uomini e mezzi, esclude una bomba a bordo e un cedimento strutturale, circoscrivendo di conseguenza le cause della sciagura ad un evento esterno al DC-9.[ Non si giunge però a determinare un quadro certo ed univoco di tale evento esterno. Mancano inoltre elementi per individuare i responsabili.
    «L’inchiesta», si legge nel documento, «è stata ostacolata da reticenze e false testimonianze, sia nell’ambito dell’aeronautica militare italiana che della NATO, le quali hanno avuto l’effetto di inquinare o nascondere informazioni su quanto accaduto»
    L’ordinanza-sentenza conclude:

    « L’incidente al DC-9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento, il DC-9 è stato  abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti. »

    Il processo in Corte di Assise sui presunti depistaggi [modifica]

    Il 28 settembre 2000, nell’aula-bunker di Rebibbia appositamente attrezzata, inizia il processo sui presunti depistaggi, davanti alla terza sezione della Corte di Assise di Roma.
    Dopo 272 udienze e dopo aver ascoltato migliaia tra testimoni, consulenti e periti, il 30 aprile 2004, la corte assolve dall’imputazione di alto tradimento – per aver gli imputati turbato (e non impedito) le funzioni di governo – i generali Corrado Melillo e Zeno Tascio “per non aver commesso il fatto”. I generali Lamberto Bartolucci e Franco Ferri vengono invece ritenuti colpevoli ma, essendo ormai passati più di 15 anni, il reato è caduto in prescrizione.
    Anche per molte imputazioni relative ad altri militari dell’Aeronautica Militare Italiana (falsa testimonianzafavoreggiamento, ecc.) viene dichiarata la prescrizione. Il reato di abuso d’ufficio, invece, non sussiste più per modifiche successive alla legge.
    La sentenza non soddisfa né gli imputati Bartolucci e Ferri, né la Procura, né le parti civili. Tutti, infatti, presentano ricorso in appello.

    Il processo in Corte di Assise d’Appello, sui depistaggi

    Anche il processo davanti alla Corte di Assise d’Appello di Roma, aperto il 3 novembre 2005, si chiude il successivo 15 dicembre con l’assoluzione dei generali Bartolucci e Ferri dalla imputazione loro ascritta perché il fatto non sussiste.
    La Corte rileva infatti che non vi sono prove a sostegno dell’accusa di alto tradimento.
    Le analisi condotte nella perizia radaristica Dalle Mese, sono state eseguite con «sistemi del tutto nuovi e sconosciuti nel periodo giugno-dicembre 1980» e pertanto non possono essere prese in considerazione per giudicare di quali informazioni disponessero, all’epoca dei fatti, gli imputati. In ogni caso la presenza di altri aerei deducibile dai tracciati radar non raggiunge in alcuna analisi il valore di certezza e quindi di prova. Non vi è poi prova che gli imputati abbiano ricevuto notizia della presenza di aerei sconosciuti o USA collegabili alla caduta del DC-9.

    Il ricorso in Cassazione

    La Procura generale di Roma propose ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello del 15 dicembre 2005, e come effetto dichiarare che «il fatto contestato non è più previsto dalla legge come reato» anziché «perché il fatto non sussiste». La legge inerente l’alto tradimento venne infatti modificata con decreto riguardante i reati d’opinione l’anno successivo
    Il 10 gennaio 2007 la prima sezione penale della Cassazione ha assolto con formula piena i generali Lamberto Bartolucci e Franco Ferri dichiarando inammissibile il ricorso della Procura generale e rigettando anche il ricorso presentato dal governo italiano.

    Le dichiarazioni di Cossiga: apertura di una nuova inchiesta

    A ventotto anni dalla strage, la procura di Roma ha deciso di riaprire una nuova inchiesta a seguito delle dichiarazioni rilasciate nel febbraio 2007 da Francesco Cossiga. L’ex presidente della Repubblica, presidente del Consiglio all’epoca della strage, ha dichiarato che ad abbattere il DC-9 sarebbe stato un missile «a risonanza e non a impatto», lanciato da un velivolo dell’Aéronavale decollato dalla portaerei Clemenceau, e che furono i servizi segreti italiani ad informare lui e l’allora ministro dell’Interno Giuliano Amato dell’accaduto.

    Conclusioni

    A cdi; l’altro, un TF 104 G biposto, ospitava gli istruttori: i comandanti Mario Naldini e Ivo Nutarelli.
    Alle ore 20:24, all’altezza di Firenze-Peretola, il biposto con a bordo Naldini e Nutarelli, mentre era ancora in prossimità dell’aereo civile, emise un segnale di allarme generale alla Difesa Aerea (codice 73, che significa emergenza generale e non emergenza velivolo) e nella registrazione radar di Poggio Ballone «il SOS-SIF è […] settato a 2, ovvero emergenza confermata, ed il blink è settato ad 1, ovvero accensione della spia di Alert sulle consolles degli operatori» – in italiano: «il segnale di allarme-SIF (Selective Identification Feature, caratteristica di identificazione selezionabile) è posizionato su 2, ossia emergenza confermata, ed il lampeggìo è posizionato su 1, ossia accensione della spia di allarme sulla strumentazione degli operatori» – quindi risulta che Naldini e Nutarelli segnalarono un problema di sicurezza aerea e i controllori ottennero conferma della situazione di pericolo.
    I significati di tali codici, smentiti o sminuiti di importanza da esperti dell’aeronautica militare italiana sentiti in qualità di testi, furono invece confermati in sede della Commissione ad hoc della NATO, da esperti dell’NPC (NATO Programming Center). Hanno scritonclusione una sintesi dell’enorme numero di perizie d’ufficio e consulenze di parte, oltre un centinaio al termine del 31 dicembre 97:
    1) perizie tecnico-scientifiche: necroscopiche, medico-legali, chimiche, foniche, acustiche, di trascrizione, grafiche, metallografico-frattografiche, esplosivistiche, che non sono mai state contestate da alcuna parte. Sono state essenzialmente quattro:

    • Stassi, Albano, Magazzù, La Franca, Cantoro, riguardanti le autopsie dei cadaveri ritrovati, durata anni, non s’è mai pienamente conclusa.
    • Blasi, riguardante il missile militare che ha colpito l’aereo civile, durata molti anni, è sfociata in spaccature profondissime e mai risolte.
    • Misiti, riguardante l’ipotesi bomba, durata più anni, è stata rigettata dal magistrato perché affetta da tali e tanti vizi di carattere logico, da molteplici contraddizioni e distorsioni del materiale probatorio da renderlo inutilizzabile ai fini della ricostruzione della verità.
    • Casarosa, Dalle Mese, Held, concernente la caduta del MiG 23.

    2) perizie d’ordine generale ovvero quelle con quesiti sulla ricostruzione dei fatti e sulle loro cause, che sono state sottoposte a critiche contestazioni ed accuse:

    • radaristiche che hanno determinato documenti di parte critici e contrastati, in particolare l’interpretazione dei dati radar ovvero l’assenza o la presenza di altri velivoli all’intorno temporale e spaziale del disastro.
    • esplosivistica, dalle cui sperimentazioni sono state tratte deduzioni di parte a volte non coincidenti.

    Il giudizio del presidente della Repubblica Napolitano

    L’8 maggio 2010, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in occasione della Giornata della Memoria per le Vittime del Terrorismo, ha chiesto la verità sulla strage di Ustica. Poco prima Fortuna Piricò, vedova di una delle vittime della strage, aveva chiesto di «completare la verità giudiziaria che ha parlato di una guerra non dichiarata, di completarla definendo le responsabilità». Una richiesta che Napolitano ha appoggiato: «Comprendo il tenace invocare di ogni sforzo possibile per giungere ad una veritiera ricostruzione di quel che avvenne quella notte». Intorno a quella strage, Napolitano ha visto «anche intrighi internazionali e opacità di comportamenti da parte di corpi dello Stato».
    Poco tempo dopo, il 26 giugno 2010, in occasione del Trentennale del Disastro, il Presidente ha inviato un messaggio di cordoglio ai parenti delle vittime: «Il dolore ancora vivo per le vittime si unisce all’amara constatazione che le indagini svolte e i processi sin qui celebrati non hanno consentito di fare luce sulla dinamica del drammatico evento e di individuarne i responsabili… Occorre il contributo di tutte le istituzioni a un ulteriore sforzo per pervenire a una ricostruzione esauriente e veritiera di quanto  accaduto, che rimuova le ambiguità e dipani le ombre e i dubbi accumulati in questi anni. Nel sempre doloroso ricordo delle 81 vittime, esprimo a lei e ai famigliari dei caduti la partecipe vicinanza mia e della intera Nazione».
    Anche in occasione del trentunesimo anniversario della strage, il 27 giugno 2011, il presidente Napolitano ha lanciato un appello perché si compia ogni sforzo, anche internazionale, per dare risposte risolutive.

    Risarcimento danni

    Risarcimento danni all’Itavia e ai suoi dipendenti

    Aldo Davanzali perse la compagnia aerea Itavia, che fu fatta chiudere da Rino Formica nel 1980, sulla base di una conclusione peritale errata e circa un migliaio di dipendenti dell’Itavia persero il posto di lavoro.
    Aldo Davanzali, presidente dell’Itavia, chiese allo Stato un risarcimento di 1.700 miliardi per i danni morali e patrimoniali subiti dopo la strage di Ustica, nell’aprile 2001. L’Itavia ottenne poi 108 milioni di euro, perché lo Stato non aveva garantito la sicurezza dell’aerovia.

    Risarcimento recupero carcassa del DC-9

    La Corte dei Conti, chiedendo un risarcimento di 27 miliardi a militari e personaggi coinvolti, come compenso per il recupero della carcassa del DC9

    I Ministeri della Difesa e dei Trasporti condannati nella Causa Civile

    Il 10 settembre 2011, dopo tre anni di dibattimento, una sentenza emessa dal Tribunale di Palermo, presieduto dal giudice Paola Proto Pisani, ha condannato i ministeri della Difesa e dei Trasporti al pagamento di oltre 100 milioni di euro in favore di ottanta familiari delle vittime della Strage di Ustica. Alla luce delle informazioni raccolte durante il processo, i due ministeri sono stati condannati per non aver fatto abbastanza per prevenire il disastro (il tribunale ha stabilito che il cielo di Ustica non era controllato a sufficienza dai radar italiani, militari e civili, talché non fu garantita la sicurezza del volo e dei suoi occupanti) e fu ostacolato l’accertamento dei fatti.
    Infatti, secondo le conclusioni del Tribunale di Palermo, nessuna bomba esplose a bordo del DC-9, bensì l’aereo civile fu abbattuto durante una vera e propria azione di guerra che si svolse nei cieli italiani senza che nessuno degli enti controllori preposti intervenisse. Inoltre, secondo la sentenza, vi sono responsabilità e complicità di soggetti dell’Aeronautica Militare Italiana che impedirono l’accertamento dei fatti attraverso una innumerevole serie di atti illegali commessi successivamente al disastro

    Il museo per la memoria di Ustica

    Museo per la Memoria di Ustica

    Il 27 giugno 2007 viene aperto a Bologna il Museo per la Memoria di Ustica.
    Il museo, che si trova in via di Saliceto 5 presso gli ex magazzini dell’ATC, contiene l’aereo così come era stato ricostruito durante le indagini. Christian Boltanski ha prodotto una installazione su misura composta da:

    • 81 lampade flebilmente pulsanti sospese sui resti dell’aereo
    • 81 specchi neri

    Dietro ciascuno specchio vi è un altoparlante che diffonde un semplice pensiero/preoccupazione. Sono presenti alcune casse di legno rivestite di plastica nera contenenti tutti gli oggetti ritrovati nei pressi dell’aereo. Un piccolo libro con le foto degli oggetti viene consegnato ai visitatori. Si distribuisce anche un depliant che riassume i fatti sulla strage di Ustica.




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