Panama Papers: conti nei paradisi fiscali

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Leader politici – tra cui sovrani, presidenti e primi ministri – ricchi imprenditori, campioni dello sport, nomi eccellenti del mondo bancario, finanziario e dello spettacolo. E’ trasversale e planetaria l’inchiesta denominata “Panama Papers”, durata più di un anno, che ha fatto emergere una fitta rete di conti miliardari creati in paradisi fiscali. Oltre 300 giornalisti, grazie ad un informatore segreto dello studio legale Mossack Fonseca con sede a Panama, hanno potuto esaminare un’immensa banca dati.

Undici milioni e mezzo di file segreti, oltre 200 mila società offshore, dati su operazioni dal 1977 alla fine del 2015. E’ la più grande fuga di notizie nella storia della finanza internazionale. L’inchiesta, rivelata in esclusiva in Italia dal settimanale “L’Espresso”,  fa luce su un intricato labirinto di società e di fondazioni che si articola in tutto il mondo. Sono migliaia infatti i clienti, di oltre 200 Paesi, dello studio legale con sede a Panama. Gli italiani, tra cui imprenditori e sportivi, sono più di 800. Anche alcuni dei più importanti istituti di credito internazionali sono coinvolti nella creazione di società difficilmente rintracciabili. Dopo la divulgazione di una simile mole di dati finanziari riservati, gli inquirenti dovranno appurare se i conti sono stati creati per evadere le tasse, riciclare denaro e depositare ingenti somme di capi di Stato e miliardari nei cosiddetti paradisi fiscali. L’inchiesta – sottolinea l’Espresso – offre “un resoconto inedito sulla gestione di grandi flussi di denaro attraverso il sistema finanziario globale, soldi che a volte sono il frutto dell’evasione fiscale, della corruzione o anche del crimine organizzato”.

Dall’inchiesta “Panama Papers” emerge dunque una fitta rete di conti, probabilmente creati per eludere il fisco. A rimetterci sono i cittadini di tutto il mondo. Il conto più salato lo pagano i Paesi più poveri.

Dal presidente di Alitalia Luca Cordero di Montezemolo all’ex pilota di Formula Uno, Jarno Trulli passando per Oscar Rovelli, uno dei figli di Nino Rovelli, patron del gruppo chimico Sir, e Giuseppe Donaldo Nicosia, socio dell’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, ora in carcere per una condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Sono questi i nomi di alcuni italiani finiti al centro del dossier ‘Panama Papers’ e che secondo il settimanale ‘L’Espresso’ sarebbero entrati in contatto con lo studio legale Mossack Fonseca di Panama per “mettere al sicuro il patrimonio di famiglia”. Con loro anche “un migliaio di clienti provenienti dal nostro Paese (…) imprenditori, professionisti e volti noti dello spettacolo”.

Secondo ‘L’Espresso’ la società della quale emerge il nome di Montezemolo si chiama Lenville overseas e ha sede a Panama. “Nei primi mesi del 2007 sono stati siglati una serie di contratti che, tra l’altro, indicano Montezemolo come procuratore di Lenville – rivela il settimanale – Il manager, a quell’epoca al vertice di Ferrari e presidente di Fiat, ha ricevuto la delega per operare su un conto alla Bim Suisse, filiale elvetica dell’italiana Banca Intermobiliare. Contattato da ‘L’Espresso’, il presidente di Alitalia non ha replicato alla richiesta di chiarimenti”.

Nelle carte, assieme al nome di Montezemolo figurano anche i nomi delle banche Unicredit e Ubi. “Mossack Fonseca non risulta essere un consulente fiscale della capogruppo – ha replicato un portavoce di Unicredit” ma per il settimanale “la banca milanese ha avuto relazioni d’affari con lo studio panamense per la gestione di circa 80 società offshore, come la Baracaldo inc. e la Overshoot inc. entrambe di Panama, oppure la Nemo partners Ltd, registrata alle Isole Vergini britanniche. Ma nel 2010 Unicredit prende le distanze”. Ubi banca invece, sarebbe entrato in contatto con Mossack Fonseca per affari del Lussemburgo anche se la banca garantisce: “Non abbiamo società controllate in quelle località”. Secondo il settimanale nei documenti ci sarebbe però traccia di conversazioni avvenute tra i manager di Ubi banca in Lussembrugo e quelli di Mossack Fonseca.

Nelle carte figura anche il nome dell’ex pilota di Formula Uno Jarno Trulli, azionista della Baker street sa, “una società registrata nelle isole Seychelles e creata con l’assistenza dei legali dello studio Mossack Fonseca”. Il campione sarebbe andato offshore “grazie all’intermediazione del Credit Foncier Monaco, uno degli istituti di credito più forti sulla piazza di Montecarlo. Questo è quanto risulta dalle carte ufficiali, ma Trulli, contattato da l’Espresso tramite il suo manager, non ha risposto alle richieste di chiarimenti”.

Nella documentazione si fa anche il nome di Oscer Rovelli, uno dei figli dell’imprenditore a capo del gruppo chimico Sir e titolare, secondo i file di Mossack Fonseca della Countryside Group Ltd delle Seychelles. Questa società però non fa parte “dell’elenco di offshore estere indagate dagli investigatori” per la vicenda giudiziaria conclusa nel 2006 in Cassazione che stabiliva “che la famiglia si era comprata la sentenza del Tribunale di Roma che le assegnava un risarcimento del valore di quasi 400 milioni di euro nei confronti dell’Imi, la banca che aveva suo tempo finanziato la Sir”. Contattato da L’Espresso, Rovelli ha detto tramite il suo avvocato di “non avere alcun ricordo di quella società”.

Nei file di Mossack Fonseca c’è infine Giuseppe Donaldo Nicosia, imprenditore pubblicitario accusato di bancarotta fraudolenta e socio dell’ex senatore forzista Marcello Dell’Utri, in carcere per una condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. I due erano soci della Tomé Advertising SL una società spagnola “servita secondo le accuse della Guardia di Finanza per una truffa da 43 milioni all’Erario”. L’Espresso scrive che “secondo le indagini della Guardia di Finanza, Nicosia avrebbe reinvestito i proventi della presunta frode in acquisti di lusso: Rolls Royce, Harley Davidson, scuderie di cavalli” e “in un doppio appartamento acquistato nel 2006 a New York: il Cityspire Condominium, al 150 West 56th Street”.

In breve tempo Nicosia “costituisce due offshore: il 20 maggio 2011 Darion Trading, alle British Virgin Islands, e, il 13 giugno, Amadocia, nel Delaware americano” per poi vendere “per 3,2 milioni di dollari l’appartamento di Manhattan a se stesso, cioè alla Amadocia, controllata da Darion Trading”. Su quell’immobile, conclude il settimanale, “pendeva una richiesta di sequestro proveniente da Milano, presa in esame negli Usa nel marzo 2015, ma approvata dal giudice Richard Roberts appena lo scorso 1 marzo. In autunno Nicosia lo aveva già ceduto per 3,7 milioni”.




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