SUDAN – Non accenna a diminuire il conflitto tra esercito e paramilitari. Emergenza umanitaria per i civili, intanto le città nelle mani delle bande armate.
Infuriano ancora i combattimenti in Sudan, quattro settimane dopo l’avvio delle ostilità. Ben sette le tregue annunciate, ma nessuna di esse è mai realmente entrata in vigore. L’esercito regolare (SAF) continua infatti a darsi battaglia contro le forze paramilitari del Supporto Rapido (RSF) tra le strade della capitale Karthoum. Non c’è tregua, però, neanche nelle città limitrofe e, addirittura, il conflitto si è allargato, seppur in scala minore, anche al vicino territorio del Darfur.
Nel frattempo bande di uomini armati stanno approfittando degli scontri per depredare luoghi e le famiglie più agiate del Paese. Nella notte tra sabato e domenica scorsa, a Omdurman, i razziatori hanno infatti fatto irruzione nella chiesa di Mar Girgis, San Giorgio, sede della comunità locale copto-ortodossa. Alcuni abitanti della città, particolarmente legati alla chiesa, hanno impugnato le armi per fronteggiare i banditi, dando vita all’ennesimo scontro a fuoco nella regione. Il bilancio al termine dell’agguato ha fatto registrare cinque feriti, tra cui un sacerdote, nonché un ingente furto di denaro e di beni preziosi presenti all’interno dell’edificio. I portavoce del SAF e degli RSF giocano al rimpallo delle responsabilità, ma è ormai chiaro che la situazione è sfuggita di mano con la presenza di brigate armate estranee alla guerra che imperversano sul territorio.
A pagare il prezzo più alto della situazione è ovviamente la popolazione civile. Stime al ribasso parlano infatti di almeno 750 morti dall’inizio del conflitto. Il numero di feriti è di gran lunga più alto e sfiora ad oggi le 8 mila unità. Esponenziale, invece, quello dei profughi: i dati parlano già di quasi un milione di sfollati, di cui circa la metà è costituita da minori. Questa enorme massa di persone al momento si sta rifugiando nei Paesi più prossimi al Sudan, ma è indubbio che una piccola percentuale tenterà di seguire rotte più lunghe, con una buona possibilità di arrivi anche sulle coste europee.
La settimana scorsa è stato trovato un accordo tra le parti che starebbe garantendo la protezione della popolazione civile, attraverso la creazione di corridoi umanitari e il rispetto delle infrastrutture civili. Tra quest’ultime rientrano anche gli ospedali, che in questo modo stanno riuscendo a erogare il servizio sanitario, nonostante le gravi difficoltà. Alle problematiche, causate dall’operare durante il conflitto in corso, si è infatti aggiunta anche la spinosa questione delle rapine che le bande armate locali stanno eseguendo per accaparrarsi farmaci e strumentazione chirurgica. In questo modo, medici sudanesi e i volontari delle associazioni umanitarie in loco risultano spesso sprovvisti del necessario per operare. La speranza, dunque, è che il lavoro di mediazione tra le parti continui senza sosta per garantire il primo cessate il fuoco reale dall’inizio della guerra.