PAPA – 2 NOVEMBRE – I POVERI VANNO SEMPRE SERVITI

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Papa – Come ogni 2 novembre, giorno in cui la Chiesa ricorda e prega per tutti i defunti, Francesco ha celebrato nella Basilica vaticana la Messa a suffragio dei cardinali e dei vescovi scomparsi nel corso dell’ultimo anno. Attesa sorpresa, sono le due parole che Papa Francesco sottolinea nell’omelia commentando le letture della liturgia odierna: la pagina tratta dal libro di Isaia che descrive la realizzazione da parte di Dio delle nostre attese più grandi; quella tratta dalla Lettera ai Romani dell’apostolo Paolo che ci ricorda che noi siamo figli e quindi eredi di Dio e coeredi di Cristo; e infine il brano evangelico del Giudizio finale di Marco. “Viviamo nell’attesa dell’incontro” con Dio, afferma il Papa, sperando quel giorno di sentirci scaldare il cuore dalle parole di Gesù: ‘Venite, benedetti dal Padre mio’.

Le Letture che abbiamo ascoltato suscitano in noi, in me, due parole: attesa e sorpresa.

Attesa esprime il senso della vita, perché viviamo nell’attesa dell’incontro: l’incontro con Dio, che è il motivo della nostra preghiera di intercessione oggi, specialmente per i Cardinali e i Vescovi defunti nel corso dell’ultimo anno, per i quali offriamo in suffragio questo Sacrificio eucaristico.

Tutti viviamo nell’attesa, nella speranza di sentirci rivolte un giorno quelle parole di Gesù: «Venite, benedetti dal Padre mio» (Mt 25,34). Siamo nella sala d’attesa del mondo per entrare in paradiso, per prendere parte a quel “banchetto per tutti i popoli” di cui ci ha parlato il profeta Isaia (cfr 25,6). Egli dice qualcosa che ci scalda il cuore perché porterà a compimento proprio le nostre attese più grandi: il Signore «eliminerà la morte per sempre» e «asciugherà le lacrime su ogni volto» (v. 8). È bello quando il Signore viene ad asciugare le lacrime! Ma è tanto brutto quando speriamo che sia qualcun altro, e non il Signore, ad asciugarle. E più brutto ancora, non avere lacrime. Allora noi potremo dire: «Questi è il Signore in cui abbiamo sperato – quello che asciuga le lacrime –; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza» (v. 9). Sì, viviamo nell’attesa di ricevere beni così grandi e belli che nemmeno riusciamo a immaginarli, perché, come ci ha ricordato l’Apostolo Paolo, «siamo eredi di Dio, coeredi di Cristo» (Rm 8,17) e “aspettiamo di vivere per sempre, aspettiamo la redenzione del nostro corpo” (cfr v. 23).

Fratelli e sorelle, alimentiamo l’attesa del Cielo, esercitiamoci nel desiderio del paradiso. Ci fa bene oggi chiederci se i nostri desideri hanno a che fare con il Cielo. Perché rischiamo di aspirare continuamente a cose che passano, di confondere i desideri con i bisogni, di anteporre le aspettative del mondo all’attesa di Dio. Ma perdere di vista ciò che conta per inseguire il vento sarebbe lo sbaglio più grande della vita. Guardiamo in alto, perché siamo in cammino verso l’Alto, mentre le cose di quaggiù non andranno lassù: le migliori carriere, i più grandi successi, i titoli e i riconoscimenti più prestigiosi, le ricchezze accumulate e i guadagni terreni, tutto svanirà in un attimo, tutto. E rimarrà delusa per sempre ogni attesa riposta in esse. Eppure, quanto tempo, quante fatiche ed energie spendiamo preoccupandoci e rattristandoci per queste cose, lasciando che si affievolisca la tensione verso casa, perdendo di vista il senso del cammino, la meta del viaggio, l’infinito a cui tendiamo, la gioia per cui respiriamo! Chiediamoci: vivo quello che dico nel Credo, «aspetto – cioè – la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà»? E come va la mia attesa? Sono capace di andare all’essenziale o mi distraggo in tante cose superflue? Coltivo la speranza o vado avanti lamentoso, perché do troppo valore a tante cose che non contano e che poi passeranno?

Nell’attesa di domani, ci aiuta il Vangelo di oggi. E qui emerge la seconda parola che vorrei condividere con voi: sorpresa. Perché è grande la sorpresa ogni volta che ascoltiamo il capitolo 25 di Matteo. È simile a quella dei protagonisti, che dicono: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?» (vv. 37-39). Quando mai? Così si esprime la sorpresa di tutti, lo stupore dei giusti e lo sgomento degli ingiusti.

Quando mai? Lo potremmo dire anche noi: ci aspetteremmo che il giudizio sulla vita e sul mondo avvenga all’insegna della giustizia, davanti a un tribunale risolutore che, vagliando ogni elemento, faccia chiarezza per sempre sulle situazioni e sulle intenzioni. Invece, nel tribunale divino, l’unico capo di merito e di accusa è la misericordia verso i poveri e gli scartati: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me», sentenzia Gesù (v. 40). L’Altissimo sembra che stia nei più piccoli. Chi abita i cieli dimora tra i più insignificanti per il mondo. Che sorpresa! Ma il giudizio avverrà così perché a emetterlo sarà Gesù, il Dio dell’amore umile, Colui che, nato e morto povero, ha vissuto da servo. La sua misura è un amore che va oltre le nostre misure e il suo metro di giudizio è la gratuità. Allora, per prepararci sappiamo che cosa fare: amare gratuitamente e a fondo perduto, senza attendere contraccambio, chi rientra nella sua lista di preferenze, chi non può restituirci nulla, chi non ci attira, chi serve i più piccoli.

Questa mattina ho ricevuto una lettera da un cappellano di una casa di bambini, un cappellano protestante, luterano, in una casa di bambini in Ucraina. Bambini orfani di guerra, bambini soli, abbandonati. E lui diceva: “Questo è il mio servizio: accompagnare questi scartati, perché hanno perso i genitori, la guerra crudele li ha fatti rimanere soli”. Quest’uomo fa quello che Gesù gli chiede: curare i più piccoli della tragedia. E quando ho letto quella lettera, scritta con tanto dolore, mi sono commosso, perché ho detto: “Signore, si vede che tu continui a ispirare i veri valori del Regno”.

Quando mai?, dirà questo pastore quando incontrerà il Signore. Quel “quando” meravigliato, che ritorna ben quattro volte nelle domande che l’umanità rivolge al Signore (cfr vv. 37.38.39.44), arriva tardi, solo «quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria» (v. 31). Fratelli, sorelle, non lasciamoci sorprendere anche noi. Stiamo ben attenti a non addolcire il sapore del Vangelo. Perché spesso, per convenienza o per comodità, tendiamo ad attenuare il messaggio di Gesù, ad annacquare le sue parole. Ammettiamolo, siamo diventati piuttosto bravi a fare compromessi con il Vangelo. Sempre fino a qui, fino a là… compromessi. Dare da mangiare agli affamati sì, ma la questione della fame è complessa, e non posso certo risolverla io! Aiutare i poveri sì, però poi le ingiustizie vanno affrontate in un certo modo e allora è meglio attendere, anche perché a impegnarsi poi si rischia di venire disturbati sempre e magari ci si accorge che si poteva fare meglio, meglio aspettare un po’. Stare vicini ai malati e ai carcerati sì, ma sulle prime pagine dei giornali e sui social ci sono altri problemi più urgenti e dunque perché proprio io devo interessarmi a loro? Accogliere i migranti sì, certo, però è una questione generale complicata, riguarda la politica… Io non mi mischio in queste cose… Sempre i compromessi: “sì, sì…”, ma “no, no”. Questi sono i compromessi che noi facciamo con il Vangelo. Tutto “sì” ma, alla fine, tutto “no”. E così, a forza di “ma” e di “però” –tante volte noi siamo uomini e donne di “ma” e di “però” – facciamo della vita un compromesso con il Vangelo. Da semplici discepoli del Maestro diventiamo maestri di complessità, che argomentano molto e fanno poco, che cercano risposte più davanti al computer che davanti al Crocifisso, in internet anziché negli occhi dei fratelli e delle sorelle; cristiani che commentano, dibattono ed espongono teorie, ma non conoscono per nome neanche un povero, non visitano un malato da mesi, non hanno mai sfamato o vestito qualcuno, non hanno mai stretto amicizia con un bisognoso, scordando che «il programma del cristiano è un cuore che vede» (Benedetto XVI, Deus caritas est, 31).

 

Quando mai? – la grande sorpresa: sorpresa dalla parte giusta e dalla parte ingiusta – Quando mai? Si chiedono sorpresi sia i giusti che gli ingiusti. La risposta è una sola: il quando è adesso, oggi, all’uscita di questa Eucaristia. Adesso, oggi. Sta nelle nostre mani, nelle nostre opere di misericordia: non nelle puntualizzazioni e nelle analisi raffinate, non nelle giustificazioni individuali o sociali. Nelle nostre mani, e noi siamo responsabili. Oggi il Signore ci ricorda che la morte giunge a fare verità sulla vita e rimuove ogni attenuante alla misericordia. Fratelli, sorelle, non possiamo dire di non sapere. Non possiamo confondere la realtà della bellezza con il trucco fatto artificialmente. Il Vangelo spiega come vivere l’attesa: si va incontro a Dio amando perché Egli è amore. E, nel giorno del nostro congedo, la sorpresa sarà lieta se adesso ci lasciamo sorprendere dalla presenza di Dio, che ci aspetta tra i poveri e i feriti del mondo. Non abbiamo paura di questa sorpresa: andiamo avanti nelle cose che il Vangelo ci dice, per essere giudicati giusti alla fine. Dio attende di essere accarezzato non a parole, ma con i fatti.