Ceuta e migranti: I vescovi spagnoli: “non strumentalizzare la disperazione

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Ceuta – L’invito a tutti  dei vescovi spagnoli è “ mantenere la coesistenza pacifica e ad esercitare la migliore politica per servire il bene comune”.

Quello delle migrazioni è un grave problema che sta colpendo l’Italia con sbarchi infiniti e fuori controllo sulle nostre soste ma anche su quelle della Spagna dove un governo di sinistra sta utilizzando ogni mezzo per fermare una vera e propria invasione. Giusta e naturale la reazione della Chiesa e dei vescovi spagnoli che, prendendo spunto dalle aperture totali alle migrazioni di Papa Francesco, è intervenuta richiamando le autorità spagnole alle aperture verso chi emigra.
La Chiesa spagnola esprime preoccupazione: “la disperazione e l’impoverimento di molte famiglie e minori non può essere usata da nessuno Stato per strumentalizzare a fini politici le legittime aspirazioni di queste persone”, hanno dichiarato i vescovi in una nota diffusa nel pomeriggio di ieri, appellandosi al “valore supremo della vita e della dignità umana”. L’episcopato ribadisce la sua solidarietà con le diocesi di Cadice, Ceuta e Melilla e Malaga, delle quali riconoscono la volontà di prestare attenzione e accoglienza verso i migranti, così come le iniziative delle due città autonome per custodire i diritti dei migranti, specialmente dei minori. L’invito a tutti è “a mantenere la coesistenza pacifica e ad esercitare la migliore politica per servire il bene comune”. “L’Unione Europea è solidale con Ceuta e la Spagna. Abbiamo bisogno di soluzioni europee comuni per gestire le migrazioni. Possiamo raggiungere questo obiettivo se si arriva ad un accordo sul nuovo Patto sulla migrazione”, ha scritto ieri in un tweet la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen.

Situazione allarmante a Ceuta, enclave spagnola in Marocco, per l’arrivo in massa di almeno 8.000 persone, tra cui donne e bambini, in due giorni. La Spagna ha schierato l’esercito e ha già respinto indietro, oltre confine, la metà dei migranti. Il premier spagnolo Sanchez ieri sera ha raggiunto Ceuta e anche Melilla, l’altra località dell’enclave, accolto da fischi e applausi, promettendo ai suoi cittadini di “ristabilire l’ordine con la massima celerità”. E si aggrava la crisi diplomatica già in corso tra Madrid e Rabat, per il sospetto che le guardie di frontiera marocchine abbiano lasciato passare i migranti come rappresaglia per l’ospitalità concessa da Madrid a Brahim Ghali, capo dei separatisti del Fronte Polisario, che contendono a Rabat il Sahara occidentale.
L’Europa non “si lascerà intimidire da nessuno”, non si lascerà intimidire da chi strumentalizza la migrazione. A queste parole pronunciate dal vice presidente della Commissione Europea Margaritis Schinas, in riferimento alla situazione di questi giorni a Ceuta, si aggiungono quelle del premier della Spagna Pedro Sánchez secondo cui quella vissuta nell’enclave spagnola è “una grave crisi per la Spagna e per l’Europa”.
La crisi di Ceuta, infatti, non ha precedenti. Mai prima d’ora la Spagna aveva dovuto gestire un così alto numero di migranti, arrivati tutti insieme in un territorio che non supera gli 85mila abitanti. La foto del bambino salvato in mare ha commosso il mondo. Ritrae un agente della Guardia civil che salva un neonato da sicuro annegamento. “La vera emergenza da affrontare, ricorda padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, è quella in cui si trovano i migranti che cercano di arrivare in Europa. È necessario un nuovo approccio. “Serve una radicale cambio di prospettiva: si attivino immediatamente – sottolinea padre Ripamonti – vie legali d’ingresso attraverso il reinsediamento e canali umanitari, una ripartizione equa dei migranti tra tutti i Paesi dell’Unione che avvenga con un meccanismo obbligatorio che impegni ciascuno a fare la propria parte”.
Una crisi spagnola che non è certamente inferiore a quella italiana dove ila situazione è critica nel silenzio dei più.
“Quest’anno sono sbarcati sulle nostre coste 13.358 migranti, provenienti per lo più dalla Libia (8.987) e dalla Tunisia (3.041), con un picco superiore ai 3.500 arrivi nel solo mese di maggio”. Lo rende noto il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese nel corso di una audizione sul fenomeno migratorio davanti al Comitato parlamentare Schengen.
“Ritengo sia urgente un confronto tra tutti gli Stati membri sulle problematiche legate alla rotta balcanica. Confronto che al momento non è stato ancora programmato”. “Serve un meccanismo europeo che faciliti i rimpatri dei migranti su richiesta degli Stati interessati”. Lamorgese ribadisce che “è fondamentale il processo di stabilizzazione della Libia, Paese da cui si registra un innegabile aumento dei flussi migratori. Va rafforzato lo storico rapporto di collaborazione che unisce i due Paesi”.
Per questo dice il ministro dell’Interno: oggi “sarò in Tunisia con la commissaria europea Johansson per sviluppare un sistema di linea dedicato a quel Paese ed affrontare insieme il traffico dei migranti. Serve un sostegno deciso dell’Unione europea, che Johansson ha già dimostrato”. “Il pacchetto di misure proposte nel nuovo Patto europeo per l’Immigrazione e l’Asilo non è soddisfacente per l’Italia”. E infatti fonti diplomatiche europee fanno sapere che alla riunione degli ambasciatori Ue (Coreper), in parte dedicata alla preparazione del summit dei leader ue del 24 e 25 maggio, il rappresentante dell’Italia ha chiesto che al vertice sia affrontata la questione migratoria. “Perchè il Patto venga alla luce, ci vorrà ancora un po’ di tempo – ha spiegato Lamorgese – per limare tutti gli aspetti che vanno limati”.


La commissaria europea Johansson ha cercato di rassicurare Italia e Spagna: “ Queste le sue parole: Sulla questione migranti “è fondamentale che l’Italia riceva la solidarietà europea. Abbiamo imparato che la ridistribuzione volontaria non è abbastanza e dunque l’approvazione della riforma delle politiche migratorie con i ricollocamenti obbligatori è essenziale. Sto contattando i governi dell’Unione per mettere i piedi un sistema di ridistribuzione volontario e provvisorio per aiutare l’Italia ad affrontare l’estate”, ha detto Johansson, aggiungendo che “stiamo parlando con le autorità libiche e con il governo ad interim di Abdel Hamid Dbeibah ci sono riscontri e opportunità positive”.
Interessanti anche le dichiarazioni rilasciate ai media dall’ammiraglio De Felice De Felice, esperto di gestione dei flussi migratori e soprattutto di Legge del mare, per capire cosa si potrebbe fare invece di limitarsi a sperare che i Paesi Ue accettino i ricollocamenti degli immigrati sbarcati in Italia
La soluzione, spiega De Felice, è fare “accordi con Tunisia e Libia per un pattugliamento navale e terrestre misto Paese europeo-Paese costiero nelle acque territoriali africane per lottare contro i trafficanti“.
“Quello a cui stiamo assistendo è un clamoroso flop del ministro dell’Interno Lamorgese. L’Italia ancora una volta infatti è lasciata sola dall’Europa. E dal meeting in Portogallo non è arrivata alcuna risposta concreta per ricollocare i migranti che sbarcano sulle nostre coste. Dal 2018 solo 1.273 migranti sono stati trasferiti dall’Italia ad altri Stati, a fronte degli oltre 80 mila sbarcati”.
“La strategia italiana di puntare sui ricollocamenti è dunque perdente ed apre ad un’estate ‘calda’ valutando che, se non si cambia metodo, è molto probabile l’arrivo sulle coste siciliane, sarde e salentine di circa 70mila clandestini (e non profughi, quindi comunque non ricollocabili). Un business estivo per i criminali mercanti di esseri umani di circa 350 milioni di euro di solo pedaggio dei clandestini per il trasporto verso le coste italiane o sottobordo alle navi Ong. Un affare per il mondo dell’accoglienza in Italia di circa 100 milioni di euro, tutti a carico del contribuente”.
L’ammiraglio dice la sua anche sul blocco navale. La Lamorgese, intervistata da Avvenire, dice che non si può fare, che è “una misura di guerra” e quindi “non si può applicare, poiché contrasta con le disposizioni che vietano il ricorso all’uso della forza nelle relazioni tra Stati”…
“Le cose non stanno così. Per blocco navale non si deve intendere tout court quello previsto dalla Carta dell’Onu, inteso quale atto di difesa degli interessi nazionali nei confronti di un’altra nazione non collaborativa, evidentemente ostile. Ma deve essere inteso ed attuato attraverso un accordo con il governo tunisino che permetta l’attuazione di un sistema di sorveglianza e di un pattugliamento misto europeo-tunisino di forze navali nelle acque territoriali tunisine con mezzi e strumenti messi a disposizione o finanziati dell’Unione europea.
Il blocco deve essere inteso diretto solamente verso i trafficanti di esseri umani in modo tale che sia stroncato ogni tentativo di far partire i barconi o i gommoni dalla terraferma. In sostanza si deve permettere alla Tunisia di dotarsi anche a terra di una rete di quei sistemi di video e radar sorveglianza che, attraverso una centrale operativa appositamente creata e dove sono presenti anche esperti europei, possa controllare sin dall’inizio i movimenti illegali dei clandestini e dei criminali mercanti di esseri umani”.




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