Papa Francesco rende omaggio a Santa Teresa d’Avila scrivendo al vescovo di Ávila, monsignor Gil Tamayo, in occasione dei 50 anni dal conferimento del Dottorato a Santa Teresa d’Ávila da parte di San Paolo VI, era il 27 settembre del 1970. Un anniversario che l’Università cattolica di Ávila, dedicata alla mistica spagnola, celebra con un congresso internazionale dal titolo “Donna eccezionale”, come la definì lo stesso Papa Montini, in corso fino al 15 aprile prossimo.
A distanza di cinque secoli, “la fiamma che Gesù ha acceso in Teresa continua a brillare in questo mondo sempre bisognoso di testimoni coraggiosi, capaci di abbattere qualsiasi muro, sia esso fisico, esistenziale o culturale”, scrive il Papa, che cita anche l’intelligenza e la tenacia di questa donna, a cui si univano “una sensibilità per la bellezza e una maternità spirituale verso tutti coloro che si avvicinavano al suo lavoro”, e che fu esempio del “ruolo straordinario che le donne hanno svolto nel corso della storia nella Chiesa e nella società”.
La Santa d’Ávila parla ancora oggi grazie ai suoi scritti, il suo messaggio e il suo esempio sono per tutti, continua il Papa, “per chi sente la chiamata alla vita religiosa”, ma anche “per tutti coloro che desiderano progredire sulla via della purificazione da ogni mondanità, che porta all’unione con Dio, alle alte dimore del castello interiore”. “Averla come amica – è l’indicazione – compagna e guida nel nostro pellegrinaggio terreno conferisce sicurezza e tranquillità”. Il Papa conclude ricordando la grande devozione di Teresa per San Giuseppe e con un incoraggiamento a continuare ad approfondirne il messaggio e l’insegnamento.
Teresa nacque ad Avila il 28 marzo 1515, da Alonso Sánchez de Cepeda e da Donna Beatrice de Ahumada.
La sua fanciullezza fu segnata da un precoce amore per il Signore, insegnatole soprattutto dalla madre. È famoso il suo tentativo di fuggire alla terra dei mori, col fratellino Rodrigo, per trovarvi il martirio, o il suo costruire insieme a lui, nel giardino paterno, romitaggi e monasteri, per vivere nella solitudine l’incontro con il Signore. Teresa è una bambina che amava ripetere: Sempre, sempre! pensando di morire e così di vivere sempre con Dio.
Verso i 14 anni rimase orfana di madre; l’adolescente a contatto con una cugina piuttosto frivola e subendo l’influsso dei romanzi di cavalleria, una passione della madre che li leggeva di nascosto dal marito, s’inclinò alla vanità. Provò un affetto intenso per un cugino, proprio nel periodo in cui la sorella maggiore Maria si stava sposando e quindi sarebbe venuta a mancare una presenza femminile nella sua casa.
Il padre decise allora di seguire l’uso delle famiglie benestanti della città, affidandola per la sua educazione alle Agostiniane di Avila. Qui Teresa ebbe la fortuna di incontrare una santa religiosa; il frequente contatto con lei riuscì ad allontanarla dalle vuote compagnie e a porre nel suo cuore il germe di una vera vocazione.
A 21 anni infatti, dopo l’opposizione paterna alla sua chiamata, fuggì il 2 novembre 1536 dalla sua casa per entrare nel monastero carmelitano dell’Incarnazione di Avila, consacrandosi per sempre al servizio di Dio.
Si distinse, giovane professa, per la sua singolare virtù; ma purtroppo una strana e misteriosa malattia la colpì nel fiore della sua età, portandola quasi alla morte. Anzi, sembrò a chi le era vicino già morta, tanto che le scavarono la fossa nel cimitero monastico.
Dopo quattro giorni di catalessi, riprese a vivere: era però in uno stato pietoso. Rattrappita per fortissimi dolori di nervi, si ravvolgeva in se stessa come un gomitolo. Quello che i medici non riuscirono a fare, lo fece la preghiera e il ricorso ai santi del cielo: S. Giuseppe, il santo che fu da lei tanto prediletto, la riportò alla salute, con un vero miracolo.
Convalescente, tornò al monastero dell’Incarnazione, dal quale era uscita per le cure. Riprese la sua vita ascetica e la sua fervente preghiera, stimolata nella direzione dell’orazione dalle letture indicatele dallo zio Pietro di cui era stata ospite. Il demonio però, prevedendo che proprio quella giovane religiosa avrebbe potuto strappargli col tempo molte persone, con la sua attraente personalità e col suo amore per Dio, fece quanto poteva per spegnere nel cuore la fiamma di questo comunicativo amore. Attraverso le grate del monastero, Teresa incominciò a dialogare con molte persone del secolo, portando la conversazione anche su questioni frivole e piuttosto mondane, fino – dice lei stessa: – “a vergognarmi di continuare con Dio quella particolare amicizia che deriva dall’orazione”. Teresa però legge questo periodo della sua vita quando è giunta al culmine della sua personale maturazione e interpreta queste sue mancanze con colori più oscuri della verità stessa. Dio stesso però, che vegliava su di lei, con segni interni ed esterni di disapprovazione, le fece capire la meschinità del suo comportamento. Teresa si dette per vinta: troncò ogni relazione con le persone che la frequentavano e tornò con molta generosità alla pratica dell’orazione, prima assai trascurata.
Da allora in poi l’orazione divenne il suo bene più grande, disponendola ad un rapporto sempre più profondo con Dio. Raggiunse così in un tempo relativamente breve le vette più alte e l’amore pieno e totale verso Dio e verso le sorelle. Ormai muove passi da gigante. Trasportata sulle ali dell’orazione, può irradiare intorno a sé tanta luce da illuminare chi le sta attorno.
Illuminata dal Signore, dopo aver parlato insieme ad alcune sorelle dell’Incarnazione, pensò ad una Riforma del Carmelo, ritornando alle sorgenti della primitiva Regola carmelitana.
Il 24 agosto 1562 ebbe così inizio la fondazione di San Giuseppe: il suo primo monastero riformato, che poté attuare in mezzo a moltissime difficoltà di ogni genere, sia da parte della città stessa, sia da parte di alcune persone forse istigate dal demonio.
Le nuove monache, strette in severa clausura, consumano la loro vita nella preghiera, nella mortificazione, nella comunione fraterna e nel lavoro. Alla liturgia delle ore del coro seguono due ore di orazione mentale; nel cibo si astengono completamente dalle carni e aggiungono altre penitenze.
Consumano quindi la loro vita in olocausto di gradito odore, per la gloria di Dio, per la salvezza dei fratelli vicini e lontani e si spendono in un apostolato indispensabile ed efficace per la Chiesa tutta.
Alla prima fondazione ne seguiranno altre sedici. I mezzi di trasporto da un monastero all’altro sono carri rozzi e malmessi: ella saprà cambiarli in una sorta di monasteri ambulanti, dove con un campanello si davano i segni della preghiera, della ricreazione e del silenzio, pagando i carrettieri e i viaggiatori, perché rispettino il raccoglimento delle monache. Se l’insediamento di una comunità e la sistemazione del monastero dovrà farsi a volte di notte, per opporre il fatto compiuto a degli illegittimi oppugnatori, Madre Teresa avrà la tattica di avvisare al mattino, al suono di una campanella, che un nuovo monastero è sorto in città. Quando si tratta della gloria di Dio nessuno ferma Teresa: né la febbre che molto spesso la tormenta con i suoi malanni, né le opposizioni degli uomini, non la povertà, non gli assalti che deve subire da parte dell’inferno stesso.
È donna tutta d’un pezzo: è anche però Madre molto tenera, e la bontà naturale del suo cuore di donna sa bene temperarlo alla fiamma dell’amore divino, di cui arde come un braciere. Sa rispondere a tutte le necessità delle figlie e se ne interessa, preoccupandosi per la loro salute materiale e spirituale, interpellando per loro, secondo le necessità, teologi e medici.
Le sue stesse effusioni con Madre Maria di S. Giuseppe, con Madre Anna, con la nipote Teresita e col P. Girolamo Gracián e molte altre persone, lasciano sorpresi per la sua calda tenerezza, per la spontaneità, la semplicità, il candore con cui apriva loro il suo cuore. Teresa era un’anima di fede; non conobbe mai la tentazione del dubbio.
Quanto più grandi erano i doni con cui Dio l’arricchiva, tanto più profondo era il sentimento della sua umiltà. Sapeva proprio soffrire quando un rapimento la sorprendeva in pubblico, come sapeva godere quando qualcuno la copriva di ingiurie.
Madre di anime e fondatrice di monasteri, si riteneva l’ultima di tutte e non voleva che le sue figlie le strappassero di mano la scopa e non volessero permetterle di lavare i piatti. Non usciva mai dalla sua bocca alcuna parola contro la carità e non si meravigliava mai delle debolezze altrui. Eccelleva nello spirito di ubbidienza, di povertà, di generosità, di prudenza. Ma ella era grande soprattutto nell’amore, tanto che sapeva ripetere: “Signore, che altri vi serva meglio di me e che voi gli conserviate in cielo una maggiore felicità, ciò sia alla buon’ora: ne sono contenta; ma che vi sia uno che vi ami più di me, no, non lo so proprio sopportare”. Trasaliva di gioia a ogni batter d’orologio per il pensiero di essersi avvicinata di un’ora al momento d’incontrarsi col suo Dio…
Ebbe davvero nella vita a soffrire moltissimo. Le sue continue infermità corporali non le lasciavano un momento di tregua; il martirio ineffabilmente doloroso a causa delle vie molto straordinarie per cui Dio la conduceva, l’incomprensione di confessori e di persone che la pensavano quasi indemoniata, la lotta stessa col demonio, che a volte pareva atterrirla, le ignominiose calunnie di alcuni nemici e dello stesso Nunzio Apostolico che la giudicò femmina inquieta e vagabonda le furono molte volte causa di gravi afflizioni. Con l’Amore che le bruciava il cuore, tuttavia, è lieta, anche in quelle occasioni, di poter donare qualcosa al suo Dio.