Alimentazione: è la pasta il piatto dell’anno “covid”

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Pasta –  Dunque, nonostante i tanti “attacchi” dall’Unione Europea al cibo italiano ed all’alimentazione mediterranea è la pasta il piatto dell’anno Covid con il record storico delle esportazioni per un valore superiore a 3,1 miliardi nel 2020 grazie ad un balzo del 16%, in netta controtendenza con l’andamento generale del Made in Italy.

È quanto emerge da una analisi della Coldiretti sui dati Istat dalla quale si evidenzia che mai così tanta pasta italiana è stata consumata sulle tavole mondiali.

PASTA NEL MONDO

Con la pandemia gli Stati Uniti sono diventati i maggiori consumatori mondiali di pasta italiana, fuori dai confini nazionali, riferisce la Coldiretti, grazie ad un aumento record del 40% che consente il sorpasso su Francia (+4,3%) e Germania (+16%) ma corre anche la Gran Bretagna (+19%) nonostante la Brexit. Rilevante è la crescita negli altri continenti con un aumento del 39% in Australia, mentre in Asia si registra un balzo aumento in Giappone (+16%)e in Cina (+23%).
La pasta vince anche in patria con gli italiani che, sottolinea ancora la Coldiretti, hanno aumentato gli acquisti in valore del 10% nel 2020 con punte del 29% per quella prodotta solo con grano tricolore.

COLDIRETTI

Un’ opportunità resa possibile dal pressing della stessa Coldiretti a sostegno dell’etichettatura di provenienza delle materie prime sulle etichette degli alimenti, che ha portato nel febbraio 2018 all’obbligo di indicare l’origine del grano impiegato nella pasta che ha spinto le principali industrie alimentari a promuovere delle linee produttive con l’utilizzo di cereale interamente prodotto sul territorio nazionale. Un fenomeno che ha coinvolto quasi tutti i principali marchi del Belpaese.
Senza dimenticare il boom casalingo del fai da te che, secondo l’analisi Coldiretti su dati Ismea, ha fatto volare i consumi di farina (+38%) e uova (+14,5%) con l’impastatrice che è diventato un strumento irrinunciabile in cucina tanto da entrare addirittura ufficialmente nel 2020 nel paniere dell’Istat.
La necessità di passare il tempo fra le mura domestiche a causa del lockdown ha spinto al ritorno della cucina casalinga con la riscoperta di ricette della tradizione, a partire proprio dalla pasta. Una attività tornata ad essere gratificante per uomini e donne, anche come antidoto alle tensioni e allo stress provocate dalla pandemia, magari con il coinvolgimento appassionato dei più piccoli.
L’emergenza sanitaria Covid, precisa la Coldiretti, ha provocato una svolta salutista nei consumatori a livello globale che hanno privilegiato la scelta nel carrello di prodotti alleati del benessere.
Una scelta che, sostiene l’associazione, ha favorito tutti i prodotti base della dieta mediterranea, a partire dalla pasta, che ha contribuito al record storico delle esportazioni agroalimentari Made in Italy che raggiungono nel 2020 i 46,1 miliardi, il massimo di sempre, grazie all’aumento dell’1,8% in netta controtendenza al crollo generale.
L’Italia, conclude la Coldiretti, è il Paese con il più elevato consumo di pasta per un quantitativo di 23,5 chilogrammi a testa contro i 17 chili della Tunisia, seconda in questa speciale classifica seguita da Venezuela (12 kg), Grecia (11 kg), Cile (9,4 kg), Stati Uniti (8,8 kg), Argentina e Turchia a pari merito (8,7 kg).

LA STORIA DFELLA PASTA

La storia della pasta ha le sue origini in età antica, ben prima degli spaghetti cinesi che Marco Polo, ritornato dall’Oriente nel 1295, aveva avuto modo di conoscere. Già etruschi e romani, a quanto risulta da rilevi archeologici, preparavano e mangiavano la lagana, l’antenata della moderna lasagna, composta da sfoglie di pasta imbottita di carne cotte nel forno.
In una tomba etrusca a Cerveteri sono stati rinvenuti spianatoia, matterello, coltello, un sacchetto per spolverare la farina e persino una rotella che presumibilmente serviva a fare i bordi ondulati.
Ma la storia della pasta secca come la conosciamo oggi è legata alla dominazione araba della Sicilia secondo diversi storici. Era il 1154, quando il geografo arabo Edrisi menzionava “un cibo di farina in forma di fili”, la “triyah” preparata a Trabia (l’attuale Palermo). Dalla Sicilia la pasta cosi preparata veniva poi esportata nel continente. Sempre secondo il geografo arabo già a metà del 1100 in Sicilia e in particolare nella zona di Trabia si produceva così “tanta pasta” che se ne esportava “in tutte le parti, in Calabria e in altri Paesi musulmani e cristiani e se ne spediscono moltissimi carichi di navi”.
Nei ricettari arabi del 9° secolo si parla già di pasta, con manifatture proprie della cultura mora per la sua produzione: la pasta secca era adatta a conservarsi a lungo anche attraversando i lunghi viaggi nel deserto.
Andando avanti con gli anni la pasta secca diventerà “prerogativa” produttiva delle regioni dell’Italia del Sud e della Liguria: il clima secco e ventilato di queste terre era l’ideale per l’essiccazione all’aria aperta.
La pasta diventerà cibo di massa solo nel XVII secolo e per necessità: la gravissima carestia scoppiata nel Regno di Napoli, mal amministrato dagli spagnoli, unita al sovraffollamento demografico portarono i partenopei alla fame: non si poteva comprare più la carne ma nemmeno il pane.
Quindi la popolazione comincio a sfamarsi con la pasta che intanto era diventata più economica grazie all’invenzione di nuovi strumenti che ne resero più facile e veloce le produzione, cioè la gramola e il torchio.




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