Papa – Papa Francesco torna ad essere protagonista della prefazione di un libro nel quale si narra la storia di una ragazza nigeriana che approda in Italia con l’illusione di trovare un lavoro finendo invece sulla strada. La giovane si salva grazie alla fede in Dio e all’incontro con una comunità di accoglienza a Caserta. Il volume sarà nelle librerie dal 27 gennaio.
LA STORIA DI JOY
Joy ha 23 anni quando a Benin City, in Nigeria, viene convinta da un’amica a partire per l’Italia con la promessa di un lavoro. «Così potraì mandare denaro alla tua famiglia e proseguire gli studi», le viene assicurato. Poche ore di viaggio per rendersi conto che è stata ingannata: la drammatica traversata del deserto,la Libia in attesa di un barcone e poi il viaggio in mare ricco di insidie.
Aal suo arrivo in Italia scopre che il lavoro promesso in realtà è «la strada», dove la madam la obbliga a prostituirsi con il ricatto del woodoo. A Castel Volturno, in Campania, diventa una schiava di aguzzini senza pietà.
Joy non si arrende e grazie a coraggio ed aiuti riesce ad uscire da questo dramma ed ora racconta la sua storia nel libro «Io sono Joy. Un grido di libertà dalla schiavitù della tratta», (Edizioni San Paolo).
PREFAZIONE DI PAPA FRANCESCO
Nella prefazione al libro di Mariapia Bonanate “Io sono Joy” Papa Francesco scrive…
Ho accolto volentieri l’invito a scrivere questa breve prefazione, con il preciso intento di consegnare ai lettori la testimonianza di Joy come “patrimonio dell’umanità”.
Joy è una giovane che, in Italia, ha vissuto una seconda nascita. La sua terra natia è la Nigeria, angolo del nostro pianeta in cui ha visto per la prima volta la luce del sole e da dove la sua vita si è messa in viaggio.
Con questo libro, Joy fa dono della sua storia personale a ogni donna e a ogni uomo che coltivi un’autentica passione per la salvaguardia della vita. Ci restituisce la sua drammatica esperienza di viaggio, con la semplicità dei testimoni che, raccontandosi, danno voce a Dio: in ogni dettaglio della sua storia, infatti, Dio le è accanto, come un protagonista nascosto, silenzioso, ma non per questo inerte nelle vicende narrate.
La traversata del deserto, i mesi trascorsi nei campi di detenzione libici, il tragitto in mare, nel corso del quale si è salvata dal naufragio, sono altrettanti capitoli di una narrazione allo stesso tempo autobiografica e corale. Mentre prendiamo parte alla sua storia, compaiono innanzi ai nostri occhi anche Loweth, Glory, Esoghe, Sophia, Mary, amiche che hanno una storia simile alla sua e a quella di migliaia di ragazze nigeriane.
Quella di Joy è una storia che accomuna tante altre persone, come lei rapite in una catena infernale e colpite dalla tragedia dell’invisibilità della tratta. Una storia tanto sconosciuta quanto sinistramente onnipresente nelle nostre società globalizzate.
A ben guardare, la sua via crucis si dispiega come un mosaico di realtà vissute dai tanti fratelli e sorelle più vulnerabili, resi “trasparenti” agli occhi degli altri.
Solamente dopo il suo approdo in Italia, Joy ha scoperto di essere stata ingannata e di essere caduta nelle mani dei trafficanti di esseri umani. Questi percorsi di disumanizzazione sembrano presentare una costante nella loro “genesi”, nel modo in cui hanno inizio: l’essere costretti a lasciare il proprio Paese d’origine, per andare a infoltire le periferie delle grandi metropoli. Dispersi nell’anonimato, questi “invisibili” smarriscono progressivamente quei punti di riferimento identitario che li ancorano alla propria cultura.
È quanto succede, ancora oggi, a tante famiglie. I trafficanti, individui senza scrupoli che prosperano sulle disgrazie altrui, approfittano della disperazione della gente per soggiogarla al loro potere. si arriva, persino, a progettare il tradimento “metodico”: si privano le vittime di informazioni chiare fino al momento in cui il sopruso e la violenza della strada prendono il sopravvento e finiscono per uccidere i sogni. È ciò che è accaduto a Joy e alle sue amiche.
A questo punto non posso fare a meno di rivolgere un interrogativo al lettore: dal momento che sono innumerevoli le giovani donne, vittime della tratta, che finiscono sulle strade delle nostre città, quanto questa riprovevole realtà deriva dal fatto che molti uomini, qui, richiedono questi “servizi” e si mostrano disposti a comprare un’altra persona, annientandola nella sua inalienabile dignità?
Nella lettura di questo memoriale siamo portati a scoprire, pagina dopo pagina, quanto la testimonianza di Joy ci inchiodi dinanzi ai pregiudizi e alle responsabilità che ci rendono attori conniventi di questi avvenimenti. Ci farà bene metterci al fianco di Joy e fermarci con lei sui suoi “luoghi” del dolore inerme e innocente. Dopo aver sostato lì, sarà impossibile rimanere indifferenti quando sentiremo parlare dei battelli alla deriva, ignorati e anche respinti dalle nostre coste. Joy si trovava su uno di essi.
Nel suo cammino verso la libertà, Joy ci indica due realtà fondamentali: anzitutto, la fede in Dio che salva dalla disperazione. Una fede salda, messa alla prova nei momenti più duri. In secondo luogo, la comunità. Joy ha dato inizio alla sua rinascita nel momento in cui è stata accolta dalla comunità “Casa Rut” di Caserta.
Una casa di accoglienza può fregiarsi del bel nome di “comunità” solo quando è capace di accogliere, proteggere, integrare e promuovere nel suo seno ogni vita.
Questo libro è un racconto di fede, un canto di speranza e di ringraziamento per chi offre la propria vita ponendo in atto questi quattro verbi dal sapore evangelico.
Joy aiuta tutti noi ad aprire gli occhi, «a conoscere per meglio capire». spesso sono proprio loro, le vittime degli abusi più efferati, ad essere fonte inesauribile di supporto e di sostegno per le nuove vittime. I loro ricordi si rivelano come risorse informative di fondamentale importanza al fine di salvare altri giovani che versano nelle medesime condizioni.
Vorrei ringraziare tutte le persone e le organizzazioni che, anche a costo della loro incolumità, soccorrono le vittime dell’odierna schiavitù. Con la loro instancabile dedizione, restituiscono il valore di sé a chi è stato privato della dignità personale; riportano la fiducia e la speranza nella vita di quanti sono stati ingannati e hanno vissuto l’imposizione del terrore da parte di chi, dopo essersi presentato come salvatore, si è rivelato carnefice.
Ricondurre alla luce del sole quelle persone che sono state costrette a vivere nel buio fuligginoso dell’indifferenza sociale è un’opera di misericordia da cui non possiamo esimerci.
Infine, vorrei rivolgermi a te, Joy.
“Ti chiami Joy”, sei stata la gioia di tua madre fin dal grembo materno, e così hai ricevuto da lei questo bel nome che è anche uno dei nomi propri di Dio. Tu sei Joy, simile a tante donne di cui oggi raccontiamo la storia ma, soprattutto, tu “sei Joy”: unica, desiderata, e tanto amata.
Ti ringrazio per averci dato la possibilità di unirci a questa tua esperienza di assoluto coraggio che ci permette di capire meglio chi soffre la tratta.
Carissima Joy, come scrivi tu in queste pagine: «soltanto l’amore, che alimenta la pace, il dialogo, l’accoglienza e il rispetto reciproco, può garantire la sopravvivenza del nostro pianeta». Allora, mi raccomando: «Coraggio, studia e non avere paura». «Brava, vai avanti così!».
Il libro è la testimonianza di una delle tante storie drammatiche che riguardano tante disavventure di giovani africane e di cui le forze dell’ordine si sono occupate più volte.
TRATTA NIGERIANE
Secondo le ricostruzioni emerse da varie indagini: è stato possibile delineare l’esistenza di gruppi criminali dediti alla tratta di giovani ragazze nigeriane, anche minorenni, attraverso il “canale migratorio” che dalla Libia porta in Europa attraverso il mar Mediterraneo, percorso a bordo di “barconi” che dalle coste libiche si muovono verso il territorio italiano. Una volta giunte a destinazione, le giovani venivano poi costrette a prostituirsi, fino al concretizzarsi dell’effettiva riduzione in schiavitù.
Tale attività aveva inizio in Nigeria, dove alcuni individui, generalmente legati da rapporti di parentela o di appartenenza al medesimo clan, contattavano delle giovani donne, di solito in gravi difficoltà socio-economiche, invogliandole ad intraprendere il viaggio verso l’Europa con la falsa promessa di facili guadagni.
Una volta raggiunto l’accordo per la partenza, le ragazze venivano sottoposte da parte di stregoni locali, pagati dagli stessi reclutatori, a riti di iniziazione Voodoo, che in lingua autoctona vengono definiti “JuJu” e che hanno nella comunità un potentissimo valore, finalizzati all’assoggettamento delle ragazze all’organizzazione, ed in modo particolare alla madame che anticipava il denaro per il viaggio, garantendo nel contempo anche il futuro pagamento delle somme che, benché pattuite, cambiavano in corso d’opera.
E’ infatti credenza comune che violare il patto stipulato dallo stregone, provocherà la collera delle divinità alle quali viene fatta la promessa, andando incontro a malattie gravi, alla pazzia o alla morte propria o dei propri congiunti.
Normalmente, appena effettuato il rito, le ragazze venivano separate dalla loro famiglia o gruppo e gestite dall’organizzazione fino a che non aveva inizio il viaggio, che dalla Nigeria veniva effettuato su camion o pullman, che percorrevano le piste che attraversando il Niger e la Libia avevano come destinazione provvisoria le località a ridosso delle coste libiche.
Qui le ragazze venivano trattenute, generalmente in condizioni tremende, in delle abitazioni provvisorie definite “connection house”, dove venivano spesso violentate e costrette a prostituirsi per pagarsi il mantenimento.
Giunti a questo punto, le madame effettuavano i pagamenti ai loro referenti in Libia, i quali, dopo aver effettivamente ricevuto il denaro, imbarcavano le ragazze sui primi barconi in partenza per l’Europa. Una volta giunte in Italia, le ragazze si allontanavano dai centri d’accoglienza o dalle case-famiglie, dove venivano collocate successivamente allo sbarco, per raggiungere le proprie “madame”, ponendosi sotto il loro controllo ed iniziando l’attività di meretricio.“
Togliatti: nigeriane portate a Roma su bus e barconi costrette a prostituirsi
Prescindendo dalla coscienza o meno di raggiungere l’Italia al fine di prostituirsi, le vittime si trovavano spesso in una condizione di assoggettamento e di schiavitù “reale”, già prima della partenza dalla Nigeria; tanto che anche tutte le violenze subite durante il viaggio, servivano a determinare in loro la cognizione di non poter “esistere” se non in virtù della promessa fatta.