Il 14 Novembre del 1851 viene pubblicato Moby Dick capolavoro della letteratura americana

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Moby Dick – Il 14 Novembre del 1851 viene pubblicato Moby Dick o La balena (Moby-Dick; or, The Whale) scritto da Herman Melville. È considerato un capolavoro della letteratura americana della cosiddetta American Renaissance.

La storia è quella della nave condannata ad essere affondata da una balena gigante: il viaggio della baleniera Pequod, comandata dal capitano Achab, a caccia di balene e capodogli, e in particolare dell’enorme balena bianca (in realtà un capodoglio) che dà il titolo al romanzo, verso la quale Achab nutre una smisurata sete di vendetta.

Il romanzo, scritto in un anno e mezzo, fu dedicato all’amico Nathaniel Hawthorne. Il libro non piacque ai contemporanei e fu un fallimento commerciale. Il fiasco di critica e pubblico – ad eccezione di Hawthorne, che plaudì all’opera – determinò la fine della carriera letteraria di Melville: alla sua morte, nel 1891, l’opera era fuori stampa, e ne erano state vendute circa 3200 copie.

Il romanzo fu riscoperto solo negli anni Venti del Novecento collocandolo ai vertici della letteratura mondiale. L’opera di rilancio di Moby Dick si deve a D. H. Lawrence, Carl Van Doren e Lewis Mumford (su The New Republic, 1928).

Tornato a New York nell’autunno del 1844, e determinato ad affermarsi come scrittore, Melville pubblicò due racconti che furono bene accolti: Typee e Omoo, basati sul suo vagabondare sull’Oceano Pacifico che possono considerarsi l’anteprima del romanzo Moby Dick, pubblicato nel 1851, durante il periodo che è stato chiamato il Rinascimento americano, il quale vide la pubblicazione di opere letterarie come La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne (1850), La capanna dello zio Tom di Harriet Beecher Stowe (1852) così come Walden (1854) di Henry David Thoreau e la prima edizione di Foglie d’erba di Walt Whitman (1855).

Due avvenimenti reali costituirono la genesi del racconto di Melville. Il primo è l’affondamento nel 1820 della baleniera Essex di Nantucket, dopo l’urto con un enorme capodoglio a 3200 km dalla costa occidentale del Sud America. Il primo ufficiale Owen Chase, uno degli otto sopravvissuti, riportò l’avvenimento nel suo libro del 1821 Narrazione del naufragio della Baleniera Essex di Nantucket che fu affondata da un grosso capodoglio al largo dell’Oceano Pacifico.

Il secondo evento fu la presunta uccisione, attorno al 1830, del capodoglio albino Mocha Dick nelle acque al largo dell’isola cilena di Mocha. Si raccontava che Mocha Dick avesse venti o più ramponi conficcatigli nel dorso da altri balenieri e che sembrava attaccare le navi con una ferocia premeditata come raccontò l’esploratore Jeremiah N. Reynolds, nel maggio 1839 sul The Knickerbocker.

Moby Dick fu tradotto in italiano per la prima volta nel 1930 dallo scrittore Cesare Pavese che non riuscì a farlo pubblicare. Solo nel 1932 l’editore Carlo Frassinelli lo fece stampare nella sua neonata casa editrice come primo titolo della collana Biblioteca europea diretta da Franco Antonicelli. Nel 2010, Giuseppe Natali ha pubblicato una traduzione per UTET avvalendosi della Longman Critical Edition (a cura di John Bryant e Haskell Springer), che mette a confronto le due edizioni del 1851.
A fine 2015, per Einaudi, è stata pubblicata l’ultima traduzione, opera di Ottavio Fatica. Le versioni italiane hanno cercato di integrare le due differenti edizioni – inglese e americana – che differiscono per centinaia di varianti, più o meno importanti.
Tornato a New York nell’autunno del 1844, e determinato ad affermarsi come scrittore, Melville pubblicò due racconti che furono bene accolti: Typee e Omoo, basati sul suo vagabondare sull’Oceano Pacifico che possono considerarsi l’anteprima del romanzo Moby Dick, pubblicato nel 1851, durante il periodo che è stato chiamato il Rinascimento americano, il quale vide la pubblicazione di opere letterarie come La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne (1850), La capanna dello zio Tom di Harriet Beecher Stowe  (1852) così come Walden (1854) di Henry David Thoreau e la prima edizione di Foglie d’erba di Walt Whitman (1855).

In Moby Dick oltre alle scene di caccia alla balena, si affronta il dilemma dell’ignoto, del senso di speranza, della possibilità di riscattarsi che si può presentare da un momento all’altro. Alla paura e al terrore e alle tenebre, si affiancano lo stupore, la diversità, le emozioni che convivono insieme in questo romanzo di avventure: interiorizzando tutte le questioni, Melville vi profuse riflessioni scientifiche, religiose, filosofiche – il dibattito sui limiti umani, sulla verità e la giustizia – e artistiche del narratore Ismaele, suo alter ego e una delle voci più grandi della letteratura mondiale, che trasforma il viaggio in un’allegoria della condizione della natura umana e al contempo in una parabola avvincente dell’imprudente espansione della giovane repubblica americana.

Moby Dick è un’opera di estrema complessità e da oltre un secolo i critici tentano di illuminare i numerosi angoli oscuri di questo libro così vasto e così articolato.
A testimonianza dei molteplici livelli di lettura dell’opera, basti tenere presente che già la definizione del genere letterario d’appartenenza non è affatto facile ed immediata: se a prima vista il romanzo pare dominato dal tema dell’avventura e dell’esplorazione, nel corso della lettura si stratificano la dimensione mitica e quasi mistico-religiosa dell’inseguimento di Moby Dick (tanto che i paralleli con la Bibbia, espliciti o sottointesi, sono innumerevoli ). Vi è poi un chiaro richiamo, tanto che alcuni passi del romanzo assumono appunto la fisionomia di un testo teatrale, alla tragedia shakespeariana, il cui influsso si evidenzia soprattutto nella creazione in senso drammatico dei personaggi del Pequod. Bisogna poi considerare la vastissima gamma di citazioni, recuperi e rimandi letterari di cui Moby Dick e la sua lingua sono intarsiati, che traspongono la vicenda di Moby Dick da un’avventura per mare ad un grandioso poema dal respiro epico.
Un carattere profondo del romanzo è allora la sua componente allegorica, per mezzo della quale il viaggio del Pequod e la caccia a Moby Dick divengono immagine e simbolo della conoscenza umana  e del suo interrogarsi sulla natura del Male nel mondo.

La “balena bianca”, animale di per sé mitico e ignoto, terribile e inafferrabile, è quindi il simbolo di un’ossessione conoscitiva che Melville mette per iscritto da subito.

Moby Dick si apre infatti con una sezione intitolata Etimologia ed estratti, in cui il narratore Ismale accumula una serie di citazioni – dalla Genesi al Libro di Giobbe, dai Salmi al profeta Isaia, da Rabelais ai resoconti di veri balenieri, da Shakespeare al Paradiso perduto di Milton, dall’amato Hawthorne ai viaggi di Darwin – per tentare di catturare, almeno linguisticamente, l’idea della balena. Questa caccia, reale e letteraria, prosegue poi nelle pagine del libro, in cui abbondano le minuziose descrizioni della fisionomia della balena e del capodoglio, delle tecniche impiegate nella caccia, delle modalità di estrazione del preziosissimo spermaceti, cioè la sostanza grassa e oleosa contenuta nei loro corpi. Questo mythos si collega direttamente (ed acquista così ancor più spessore simbolico) con il problema dell’avvistamento e della visione di Moby Dick, la cui caccia dura ben tre anni: in mare aperto, l’oggetto della ricerca di Achab e Ismaele è per lo più nascosto ed invisibile, accrescendo così il proprio potere di inquietante suggestione. Moby Dick diventa allora simbolo di tutto ciò che è ignoto ed inafferrabile per l’uomo.

Per Melville la lotta epica tra Achab e la balena rappresenta una sfida tra il Bene e il Male. Moby Dick riassume, inoltre, il Male dell’universo e il demoniaco presente nell’animo umano.

Achab ha l’idea fissa di vendicarsi della balena che lo ha mutilato e a ciò si unisce una furia autodistruttiva: «La Balena Bianca gli nuotava davanti come la monomaniaca incarnazione di tutte quelle forze malvagie da cui certi uomini profondi si sentono rodere nell’intimo.

La balena rappresenta anche l’Assoluto che l’uomo insegue e non può conoscere mai. “Ma non abbiamo ancora risolto l’incantesimo di questa bianchezza né trovato perché abbia un così potente influsso sull’anima; più strano e molto più portentoso, dato che, come abbiamo veduto, essa è il simbolo più significativo di cose spirituali, il velo stesso, anzi, della Divinità Cristiana, e pure è insieme la causa intensificante nelle cose che più atterriscono l’uomo!…”.

In una lettera a Hawthorne, Melville definiva il suo romanzo come il “libro malvagio” poiché il protagonista del racconto era il male, della natura e degli uomini, che egli però voleva descrivere senza rimanerne sentimentalmente o moralmente coinvolto.

La storia è narrata da Ismaele un giovane marinaio deciso ad imbarcarsi per spirito d’avventura su una nave baleniera. Dopo aver conosciuto il ramponiere Quiqueg, originario della Polinesia, si reca con lui a Nantucket, al largo del Massachusetts, dove si imbarca sul Pequod, sotto i comandi del misterioso capitano Achab, in convalescenza dopo aver perso una gamba in uno scontro con un grosso capodoglio bianco. Dell’equipaggio, composta da uomini diversissimi per indole e provenienza, ci sono tra gli altri i primi ufficiali Starbuck, Stubb e Flask e i ramponatori Tashtego e Daggoo. Poco prima della partenza, una figura misteriosa di nome Elia preannuncia a Ismaele delle grosse sventure a causa di Achab, che, per i primi giorni del viaggio, non compare sul ponte.
Quando ormai il Pequod si trova in alto mare, Achab comunica alla ciurma di voler uccidere Moby Dick, la balena bianca a causa della quale ha perso la gamba e che egli considera il simbolo del male. Egli fissa allora un doblone d’oro a un albero del Pequod promettendolo al primo che avvisterà la balena e fa stringere a tutta la ciurma un patto di sangue. Nel frattempo, comincia la caccia agli altri capodogli e al loro prezioso olio: in una di queste battute, si scopre che Achab è accompagnato da un gruppo privato di ramponatori di origine esotica, tra cui l’ambiguo Fedallah, che profetizzerà oscuramente la morte di Achab e la sciagura incombente sull’equipaggio. Il Pequod supera l’Africa ed entra nell’Oceano Indiano; alcune balene vengono catturate, ma di Moby Dick non v’è traccia.
Mentre il narratore i sofferma nella descrizione delle diverse specie di balena e della vita quotidiana sul Pequod, sono frequenti i “gam”, ovvero gli incontri con altre imbarcazioni a caccia di balene e i loro equipaggi: uno di questi, il capitano Boomer, che pure ha perso un braccio nella lotta contro la balena bianca ma che, di fronte ad Achab, non capisce la sua ossessione maniacale di vendetta. Dopo che la nave è entrata nell’Oceano Pacifico e ha affrontato una spaventosa tempesta notturna che l’ha danneggiata seriamente, il Pequod incrocia la baleniera Rachel, che, attaccata proprio dalla “balena bianca”, chiede aiuto a Achab. Il capitano, sentendo vicino la possibilità di placare la sua sete di vendetta, rifiuta categoricamente di perdere tempo e procede oltre.
La stessa scena si ripete con la Delight, dove Moby Dick ha ucciso nella sua furia alcuni membri dell’equipaggio. Starbuck, già in dubbio sulla salute psichica di Achab, implora il capitano di non proseguire oltre, per non mettere a repentaglio la vita di tutto l’equipaggio.
Infine, il Pequod avvista Moby Dick; la caccia durerà tre giorni. Inizialmente, Achab si fa calare in mare su una lancia, lasciando Starbuck al comando della baleniera. Moby Dick attacca l’imbarcazione del capitano, gettandolo in mare con l’equipaggio. Il secondo giorno, la scena si ripeta: la balena bianca, benché colpita dai ramponi, distrugge tre lance e uccide Fedallah, strappando ad Achab la gamba d’avorio. Il terzo giorno, mentre Achab è ormai folle per l’ira e la vendetta, Moby Dick, che trasporta ancora il cadavere di Fedallah attaccato al dorso, attacca direttamente il Pequod; mentre la nave affonda, Achab rampona la balena che, immergendosi in acqua, trascina con sé il capitano, con la corda del rampone stretta attorno al collo. La nave, colando a picco, trascina nel suo vortice tutto l’equipaggio. Solo Ismale  si salva , aggrappandosi ad una bara che Quiqueg si era fatto costruire tempo prima.
La Rachel lo recupera dopo un giorno e una notte in mare aperto.

Per ben comprendere la storia del romanzo bisogna ben conoscere la vita del suo autore.

Melville nasce l’1 agosto del 1819 in una famiglia di commercianti. Quella di Herman Melville è una storia al contrario. Dalla ricchezza alla miseria, dalla fama al semianonimato, malgrado le amicizie importanti e una famiglia – quella della moglie – piuttosto benestante.
È il 28 settembre del 1891 quando, Melville, padre della balena più iconica e del capitano più citato della storia della letteratura, muore nella completa indifferenza dei suoi concittadini. La sua infanzia è quella, semplice e studiosa, di un giovane membro della buona borghesia. Ma quando ha appena undici anni qualcosa nella gestione delle finanze famigliari si inceppa, suo padre è costretto a dichiarare bancarotta e trasferirsi con la famiglia vicino ad Albany, sul fiume Hudson. L’angoscia e, soprattutto, un incidente in carrozza, fanno sprofondare l’uomo in una crisi nervosa che diventa presto patologica, fino a ucciderlo.
Melville si trova così senza un padre e improvvisamente povero, in un’età in cui è difficile elaborare un cambiamento così radicale. Come molti ragazzi della sua età in ristrettezze economiche, si mette a lavorare. È un lungo periodo in cui l’allegria è poca e i cambiamenti di prospettiva continui, finché, quando ha raggiunto i vent’anni, viene contattato dal fratello, che è tornato a New York. Questi gli parla delle navi mercantili che affollano il porto e necessitano sempre nuovi marinai, e Melville non se lo fa ripetere due volte: i ricordi d’infanzia tornano a prendere forma e si ritrova in men che non si dica al largo dell’Atlantico, in rotta verso Liverpool.
Per Melville comincia una fase di viaggi nell’Oceano Pacifico a bordo di quelle stesse baleniere su cui, mezzo secolo dopo, si troverà uno scrittore inglese: Sir Arthur Conan Doyle. Questi lunghi viaggi e le vere e proprie avventure che Melville vive sono d’ispirazione per i romanzi che gli daranno, inaspettatamente, la fama, come Typee (1846) e Omoo (1847), ma anche Giacchetta bianca (1850), che fa riferimento al suo arruolamento su una fregata da guerra. Una volta tornato sulla terraferma, per restarci, Herman Melville da marinaio è diventato scrittore, contribuendo con la sua opera alla fortuna di una letteratura “di genere”, quella d’avventura. Sembra che finalmente le tribolazioni per questo, ancora giovane, figlio di mercante siano finite: compra una casa in Massachusetts, si sposa con una donna, Elizabeth, da cui avrà quattro figli.
Ma non è così perchè Moby Dick, opera mastodontica che unisce le caratteristiche del romanzo d’avventura a una profonda analisi filosofica e antropologica e che viene dedicata dall’autore a un altro grande autore statunitense e suo caro amico: Nathaniel Hawthorne, non ha il successo sperato: ignorato tanto dal pubblico quanto dalla critica (e di questo si lamenterà Hawthorne stesso), porta inesorabilmente il suo autore a un progressivo oblio nel bel mondo delle lettere.
Melville diventa un uomo di casa, dedito alla scrittura e alla sua fattoria, mentre il pubblico progressivamente si disaffeziona alle sue storie e ai suoi personaggi.
Quando anche Herman Melville arriva alla fine della sua vita, ha settant’anni e, ormai, a ricordarsi di lui sono solo pochi intimi. Quello che succederà, in occasione del centenario della sua nascita, è ormai storia: le sue opere vengono rilette, ripubblicate, hanno nuovo lustro, e Moby Dick acquista finalmente il posto che merita tra i capolavori della letteratura mondiale.

Melville, però, lo ha scoperto soltanto da Lassù!




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