San Martino tra storia e leggenda

1218

San Martino – ”Soldato per forza, vescovo per dovere, monaco per scelta”: questa in sintesi la storia di Martino di Tours così come tramanda Sulpicio Severo, suo discepolo, che narra come Martino, nel 327, sia fuggito a 10 anni da casa a Ticinum, l’attuale Pavia, per opporsi al volere del padre, il quale – ex ufficiale – vuole indirizzarlo alla carriera militare. Nel corso della fuga Martino incontra una famiglia di cristiani che, dopo averlo rifocillato, lo convince a tornare a casa. Martino colpito da questo incontro decide di abbracciare la fede del Vangelo.

Protettore delle arti e della cultura, Martino lotterà per tutta la vita contro ingiustizie e oppressioni, anche quelle esercitate per motivi politici o religiosi. Morto nel 397, mentre è in visita pastorale a Candes, sarà il primo non martire a ricevere gli onori degli altari.

Nato nel 316 in Sibaria, città della Pannonia, l’odierna Ungheria, da genitori nobili ma pagani, ancor bambino si trasferì a Pavia, ove conobbe la religione cristiana. A 10 anni all’insaputa dei genitori si fece catecumeno, e prese a frequentare le assemblee cristiane. Appena dodicenne deliberò di ritirarsi nel deserto; essendo però figlio d’un tribuno, dovette presto seguire il padre nella cavalleria e per tre anni militare sotto gli imperatori Costanzo e Giuliano.

Umile e caritatevole, aveva per attendente uno schiavo, al quale però egli puliva i calzari e che trattava come fratello. Un giorno nel rigore dell’inverno era in marcia per Amiens, incontrò un povero seminudo: sprovvisto di denaro, tagliò colla spada metà del suo mantello e lo copri. La notte seguente, Gesù, in sembianza di povero, gli apparve e mostrandogli il mantello disse: « Martino ancor catecumeno m’ha coperto con questo mantello ». Allora bramoso di militare solo più sotto la bandiera di Cristo, chiese e ottenne dall’imperatore stesso l’esenzione dalle armi.

Si portò a Poitiers presso il vescovo S. Ilario da cui fu istruito, battezzato e in seguito ordinato sacerdote. Visitò ancora una volta i genitori per convertirli; poi, fatto ritorno presso il maestro, in breve divenne la gloria delle Gallie e della Chiesa.

Desideroso di vita austera e raccolta, si ritirò dapprima in una solitudine montana, poi eresse la celebre e tuttora esistente abbazia di Marmontier (la più antica della Francia) ove fu per parecchi anni pddre di oltre 80 monaci. Però i suoi numerosissimi miracoli, le sue eccelse virtù e profezie lo resero così famoso, che, appena vacante la sede di Tours, per unanime consenso del popolo fu eletto vescovo di quella città. La vita di San Martino fu compendiata in questo epigramma: “Soldato per forza, vescovo per dovere, monaco per scelta”.

Il nuovo Pastore non cambiò appunto tenore di vita, ma raccoltosi a meditare i gravi doveri che assumeva, si diede con sollecitudine ad eseguirli. Sedò contese, stabilì la pace tra i popoli, fu il padre dei poveri e più che tutto zelantissimo nel dissipare ogni resto di idolatria dalla sua diocesi e dalle Gallie.

Formidabile lottatore, instancabile missionario, grandissimo vescovo. sempre vicino ai bisognosi, ai poveri. ai perseguitati. Disprezzato dai nobili, irriso dai fatui, malvisto anche da una parte del clero, che trovava scomodo un vescovo troppo esigente, resse la diocesi di Tours per 27 anni. in mezzo a contrasti e persecuzioni.

Tormentato con querele e false accuse da un suo prete di nome Brizio. diceva: “Se Cristo ha sopportato Giuda, perché non dovrei sopportare Brzio?” Stremato di forze, malato, pregava: “Signore, se sono ancora necessario al tuo popolo, non mi rifiuto di soffrire. Altrimenti, venga la morte”.

Morte di San Martino

Nell’anno 397 udì che a Candate (Candes-Saint-Martin) era sorto un grave scisma: benchè ottantenne, si portò colà, convocò clero e popolo e ricompose gli animi nella pace. Ma stando per tornare alla sua sede, fu assalito da febbri mortali. Volle essere adagiato sulla nuda terra e cosparso di cenere, per morire, come sempre aveva vissuto, da penitente.

Il volto del santo rimase nella morte splendente come se fosse avvolto da una luce di gloria e da molti fu udito un coro di angeli cantare intorno alla sua salma. Alle sue esequie si riunirono gli abitanti di Poitou e di Tours e così cominciarono ad altercare. Dicevano gli uni: ” È un monaco della nostra città e noi ne vogliamo il corpo”. E gli altri di rimando: “Dio ve l’ha tolto per darlo a noi”. La notte seguente, mentre gli abitanti di Poitou dormivano, gli abitanti di Tours si impadronirono del corpo di Martino, lo gettarono da una finestra su di un battello e lo portarono seguendo il corso della Loira fino a Tours con gran gioia e venerazione.

Fu così sepolto a Tours, ove gli fu dedicata la cattedrale e dove egli compi innumerevoli miracoli. Gli Ugonotti violarono quelle sacre spoglie, e dopo averle bruciate, ne dispersero le ceneri.

San Martino di Tours è uno dei santi più celebri fin dal Medioevo cui sono connessi tanti detti e proverbi, ancora oggi recitati da Nord a Sud Italia. Nella nostra Penisola sino al secolo scorso, l’11 novembre cominciavano le attività dei tribunali, delle scuole, dei parlamenti; si tenevano elezioni e, in alcune zone, scadevano i contratti agricoli e di affitto. Ancora oggi in molte zone si dice “far San Martino” per traslocare e sgomberare.

Quell’’11 novembre si narra che nel quel preciso momento in cui donò il mantello al povero, spuntò un sole caldo, quasi come quello estivo. Per questo, la ricorrenza prende il nome di ‘estate di San Martino’ e coincide con l’inizio di novembre, quando può succedere che la temperatura diventi più mite. Il miglioramento delle condizioni meteorologiche in questo periodo trova una base scientifica: molti esperti concordano sul fatto che la particolare fase di tempo stabile è da ricondursi, ciclicamente, all’espansione dell’anticiclone dalla Spagna verso tutto il Mediterraneo, con condizioni di alta pressione, alte temperature e bel tempo.

La figura del Santo è sinonimo di abbondanza, tanto che in Abruzzo si dice: “Ce sta lu Sante Martino” se in una casa non mancano le provviste. Il giorno di San Martino è tempo di baldoria, favorita dal vino vecchio che, proprio in questi giorni, va finito per pulire le botti e lasciarle pronte per la nuova annata. In Romagna, infatti, si dice: “Par Sa’ Marten u s’imbariega grend e znèn”, ossia “Per San Martino si ubriaca il grande e il piccino”.

Ed ancora: “Per San Martino si spilla il botticino”; “Per San Martino cadono le foglie e si spilla il vino”; “Per San Martino ogni mosto è vino”.

Non mancano i proverbi meteorologici: “Se il dì di San Martino il sole va in bisacca, vendi il pane e tieniti la vacca. Se il sole va invece giù sereno, vendi la vacca perché è poco il fieno

Si diceva che, chi seminava dopo questa data, avrebbe avuto un raccolto misero: “Per San Martino la sementa del poverino”.

Un noto proverbio recita: “Chi vuol far buon vino, zappi e poti nei giorni di San Martino”.

In Sicilia il giorno del Santo entra in corrispondenza al periodo detto della svinatura. Per San Martino, infatti come dice un noto proverbio, “si spilla la botte e si assaggia il vino”. Spesso il Santo è associato al vino, tanto da esser noto per il ruolo di Santo protettore degli ubriachi.

Un altro proverbio recita che per san Martino, “s’ammazza lu porcu e si sazza lu vinu”. Infatti, in alcune località della Sicilia si attendono questi giorni di Novembre per sopprimere il maiale, e farne prosciutti, salami, zamponi e salsicce da spruzzare di vino novello appena spillato, durante la cottura.

Un’altra curiosa tradizione che ha luogo per San Martino è quella che si svolge a Palazzo Adriano, in provincia di Palermo. Qui, si ripete una antica usanza d’origine balcanica, che vede i parenti di una coppia di sposi, farsi carico della costituzione della casa degli sposi novelli, insieme a tutto il cibo utile al rifornimento per l’anno in corso. Si prevede anche che durante le ore della mattina, alcuni bambini sfilino per le strade del paese, portando ceste piene dei tradizionali ”pani di San Martino”. Ai genitori dello sposo spetta in questa occasione regalare ”u quadaruni”, cioè la grossa pentola di rame e, a quelli della sposa ”a brascera”, cioè il braciere di rame che serve a riscaldare la casa nei mesi invernali. Anche gli amministratori del comune fanno la loro parte e, sfilando per il paese accompagnati dal suono della banda locale, donano anche loro qualcosa alla coppia per buon augurio.
Biscotti decoratiUna curiosità: la tradizione prevede un San Martino dei ricchi, che è quello dell’11 Novembre, e uno dei poveri, che per festeggiare attendevano la prima Domenica successiva al giorno 11, forse per ragioni economiche legate alla scadenza della paga settimanale. Il San Martino dei poveri veniva festeggiato a Palermo, con il rito del bisotto di San Martino “abbagnatu nn’u muscatu”, cioè di un particolare biscotto chiamato sammartinello, inzuppato nel vino moscato. Per l’“abbagnatura” si usa utilizzare un vino liquoroso, il “moscato di Pantelleria”, che grazie alla particolare fermentazione presenta un profumo fruttato ed un gusto dolce ed aromatico. Antico prodotto dell’isola, il moscato venne esportato dal 1883, nel 1936 è stato inserito tra i vini tipici italiani e dal 1971, è Doc. Il tipo di biscotto destinato ad essere inzuppato nel moscato è il tipo detto “tricotto” croccante e friabilissimo, e non il “rasco”, che è più morbido e destinato ad essere riempito di crema di ricotta dolce, oppure di conserva e decorato in modo quasi barocco, con glassa di zucchero a riccioli e ghiigori, sormontato da un cioccolattino e fiorellini di pasta reale.

San Martino si presenta nell’inconografia in due modi: come soldato e come vescovo. Quando viene rappresentato come militare l’attributo principale per riconoscerlo è l’armatura e la presenza di un mendicante. L’episodio che permette unanimamente di riconoscerlo infatti è il taglio del mantello che è l’immagine più consueta e diffusa, di solito raffigurata singolarmente. Quando viene rappresentato come vescovo con altri santi il riconoscimento diventa più difficile poichè la sua raffigurazione non si discosta molto da altri santi vescovi e presenta la mitra, il piviale, l’anello e il pastorale o un libro. In un dipinto che ho ritrovato dell’ungherese Dorffmaister Martino è rappresentato in gloria, quindi attorniato da angeli e sospinto verso il cielo, con accanto a sè un mantello, una spada ed una armatura. In questo caso è molto semplice associare il vescovo raffigurato con San Martino ma non sempre questo è possibile. Specialmente nell’Alta Baviera verso la fine del Quattrocento il suo attributo diventa l’oca, sia come rimando all’episodio della sua vita, quando venne scoperto dagli abitanti di Tours grazie ad uno stormo di oche, sia come allusione alla migrazione di questo uccello che avviene nel periodo coincidente con la sua festa.

Il primo ciclo di episodi della vita del santo si trova nella Basilica di Tours che è anche possibile definire il più antico ciclo agiografico d’Occidente a conferma dell’importanza del culto, andato perduto ma del quale si conoscono i soggetti da Sulpicio Severo. Altro ciclo importante è quello realizzato da Simone Martini nella Basilica Inferiore di San Francesco ad Assisi nella cappella omonima. Ciclo voluto dal cardinale Gentile Partino da Montefiore, presenta dieci episodi della vita del santo, raccontati con eleganza cortese e fine attenzione dei particolari. I più conosciuti sono certamente il taglio del mantello, il sogno di Martino, l’ordinazione a cavaliere, le esequie del santo. Il lato cortese e cavalleresco è espresso alla perfezione dalla grazia di Martini come si può ben vedere nel riquadro con la Donazione del mantello, nella torsione elegante e danzante del destriero, nella presa decisa della spada da parte di Martino. Il mantello teso è elemento di unione, di contatto tra il cavaliere rialzato sul suo cavallo e il povero mezzo nudo, piegato e indifeso nel suo bisogno di carità. Ancora più limpida è la vestizione a cavaliere da parte dell’imperatore Giuliano, in una architettura attentamente studiata ed indagata di stampo giottesco nella quale è come una fotografia dell’ambiente mondano delle corti trecentesche e i simboli essenziali di una cultura e di una tradizione: il falcone, i musicisti che suonano e i cantori aspetto essenziale delle feste e dei riti cortigiani, il conferimento della spada. Tutto questo non interessa a Martino perchè è rapito come se stesse parlando con il cielo, remissivo alla sua volontà e con quale sorpresa lo guarda l’imperatre Giuliano, sbigottito dalle sue mani giunte e dal suo moto di peghiera, lui cinto di una corona d’oro.

Altro dipinto interessante e da prendere in considerazione per la raffigurazione di Martino guerriero è quello conservato alla National Gallery di Washington, una tela di Domenikos Theotokopulos detto El Greco per la cattedrale di Toledo, città in cui il suo stile era molto amato. Veniva apprezzato il suo pennello tormentato e la tavolozza livida, la sua visione quasi onirica e assolutamente surreale che affilava e torceva le figure in un modo quasi spettrale che ben si addiceva al clima controriformaista del secondo cinquecento. In questo momento storico la raffigurazione di San Martino è molto apprezzata poichè simboleggiava nel modo più diretto la carità cristiana. Il santo è ricchamente ornato di una sfarzosa armatura cinquecentesca spagnola che ancora di più enfatizza la nudità del mendicante e la prospettiva delle figure, poste dal basso verso l’alto, accentua ancora di pù l’imponenza della figura a cavallo su di quella supplicante.

Nella pala dipinta nel 1504 da Timoteo Viti per il Duomo di Urbino è possibile vedere chiaramente come la rappresentazione di Martino vescovo di Tours non sia molto differente da quella di altri vescovi, in questo caso Tommaso Beckett posto con lui su di una cattedra marmorea. Viti, urbinate allievo del bolognese Francia ma rientrato poi nella cerchia raffaellesca, pone santi e committenti della pala sotto di una architettura in rovina, aperta su di un dolce paesaggio che si perde all’orizzonte creando una percezione tersa e pulita delle cose e delle persone e una grande solennità.

Per completare questo breve escursus sulla immagine di San Martino di grande interesse sia per la resa pittorica che per il soggetto è la pala d’altare del Transito di San Martino del marchigiano Simone de Magistris nella Collegiata di San Martino a Caldarola in provincia di Macerata. I personaggi rappresentati ruotano tutti attorno all’episodio sullo sfondo che è la glorificazione del santo accolto dal Signore in un tripudio di angeli ma le fonti derivano dalla Legenda Sanctorun Aurea di Jacopo da Varazze il quale racconta ciò che successe il giorno della morte del santo attraverso le testimonianze di due vescovi. Il primo raffiugurato sulla destra chino sull’altare è Sant’Ambrogio, vescovo di Milano. Sembra che stia dormendo ed in effetti è proprio così. Durante la celebrazione della messa quel giorno il vescovo si addormenta sull’altare e assiste al funerale di Martino e alla sua ascesa al cielo. Si nota l’altare con appoggiata la mitra bianca di Ambrogio, le ampolle per l’eucarestia, il calice. Ambrogio indossa i paramenti liturgici e accanto a lui in ginocchio è il diacono in preghiera. Attorno la folla dei fedeli attende perplessa. La disposizione dell’immagine riproduce perfettamente le parole della Legenda Aurea: “il vescovo si addormentò sull’altare, tra la profezia e l’epistola: nessuno osava svegliarlo e il suddiacono non voleva leggere l’epistola, sennza averne ricevuto disposizione. Dopo due o tre ore, svegliarono Ambrogio dicendo: L’ora è passata e il popolo attende. Nostro signore ordini al chierico di leggere l’epistola. Sant’Ambrogio rispose: Non abbiate timore, perchè mio fratello Martino è passato a Dio, ho assistito ai suoi funerali e gli ho reso gli estrmi saluti ma voi mi avete impedito, risvegliandomi, di terminare le ultime parole.” Sulla parte sinistra è invece la visione di San Severino, vescovo di Colonia. Simone lo rappresenta seduto, teso, guizzante. “San Severino era di domenica in chiesa all’ora della morte del santo uomo e intese gli angeli che cantavano in cielo. Chiamò l’arcidiacono, per domandargli se ascoltasse anche lui quella musica. Alla risposta negativa, l’arcivescovo pose maggiore attenzione e allungò il collo, tese le orecchie e si tenne sull’estremità dei piedi, sostenendosi con il bastone.” Anche qui la figura è rappresentata letteralmente tesa, a braccia aperte, sorpresa e in ascolto. Sembra quasi anche a chi guarda di sentire la musica celeste vibrarsi limpida nell’aria.

 

Patronati e curiosità

E’ patrono dei mendicanti e dei soldati, di tutti quelli che vanno a cavallo; Di sarti e pellicciai; dei conciatori di pelli e dei lavoratori del cuoio perchè quando era militare ingrassava da sè la propria uniforme. Una volta cambiò l’acqua in vino ed è per questo patrono degli osti, dei ceramisti che fanno le brocche, dei bevitori e anche degli ubriachi; Dei viticultori e dei vendemmiatori anche per la stagione in cui ricorre la sua festa; protegge I cavalli e le oche. Era il santo protettore della monarchia francese sia in ambito merovingio che poi soprattutto franco che conservava la metà di quello che era considerato il suo mantello. Per questo prestò anche un termine all’architettura: il termine “cappella” deriva da “cappa” termine latino mediievale per indicare il mantello, da qui il termine francese “chape” diminutivo “chapelle”. La Saint Chapelle a Parigi era il luogo dove veniva conservata questa stoffa ora perduta perché usata in battaglia come stendardo di difesa.




Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *