Film rivelazione dell’ultimo Festival di Cannes, Perfect Day è diretto dallo spagnolo Fernando León de Aranoa (I lunedì al sole) e interpretato da uno straordinario cast internazionale: Benicio del Toro, Tim Robbins, Mélanie Thierry, Olga Kurylenko.
Si tratta di un film denso di significati, di una pellicola dai toni forti che vive di drammi, di violenza, ma anche di amicizia ed amore. Una lezione di vita su una guerra che in molti ricordano come il “dramma dei cecchini” che sparavano dalle case a qualsiasi cosa si muovesse.
Proprio quelle bruttissima guerra alle porte dell’Italia: siamo in Bosnia nel 1995. La guerra è appena finita e un gruppo di operatori umanitari deve rimuovere un cadavere da un pozzo, per evitare che contamini l’acqua del villaggio. La squadra, guidata dal carismatico Mambrú (del Toro), comprende Sophie (Thierry), ingenua idealista appena arrivata dalla Francia, la bella e disinibita Katya (Kurylenko) e l’incontenibile B (Robbins), volontario di lungo corso e allergico alle regole. Dopo una rocambolesca serie di avventure, i quattro capiranno che si tratta di una missione più complicata del previsto, in un paese in cui anche trovare una corda può diventare un’impresa impossibile.
Una commedia unica nel suo genere, capace di raccontare il dramma della guerra con le armi dell’ironia e della speranza, affidandosi a un formidabile gruppo di antieroi.
Una storia di normale anormalità, di complicazioni irrazionali, mine reali, ideali umanitari e umane debolezze.
Il cinema di Fernando Leon de Aranoa, dai pomeriggi al sole con Bardem, passando per i documentari di impegno sociale e per la lettura del romanzo del romanzo di Paula Farias “Dejarse Llover”, salta in avanti con questo capitolo, pur restando fedele ad una poetica delle piccole cose e dei piccoli momenti. Merito di una sceneggiatura più che buona, dove tutto torna senza che ne avvertiamo la meccanica, o almeno senza che si avverta la forzatura in tale meccanica, perché perfettamente giustificata dal tema del film, che ha a che fare con i ricorsi della Storia così come con la capacità degli uomini di aggrovigliare tragicamente la matassa già di per sé imperscrutabile del destino. Perfect Day tratta di relazioni, e trova davvero un valore aggiunto nel cast internazionale e nel lavoro di Benicio Del Toro in primis, che tiene la nota di base, grave e mai patetica, su cui possono improvvisare quella più comica di Tim Robbins, quella maliziosa (solo in apparenza) della Kurylenko, quella più ingenua (e un poco al limite) di Mélanie Thierry.
Questo film parla di persone che affrontano il difficile compito di mettere ordine al caos. E racconta i loro tentativi quotidiani di fare una guerra nella guerra: quella contro l’irrazionalità, contro lo scoraggiamento, contro il loro stesso enorme desiderio di tornare a casa. Sono operatori umanitari. Come loro, il film usa l’umorismo per creare una distanza: i commenti più arguti, i passaggi da commedia più crudi e feroci, nonché i più disperati, spesso emergono nel bel mezzo della tragedia. Perché non c’è posto sulla Terra dove ciò sia più necessario. In Perfect Day possiamo assistere alla routine di coloro che lavorano in un posto dove niente è routine, possiamo vedere i loro punti di forza e le loro debolezze, le decisioni giuste e le avversità di ogni tipo. Senza perdere mai di vista che salvare delle vite non è qualcosa di eroico in sé. L’eroismo viene dal fatto stesso di provarci.
Perfect Day si svolge in un’area montuosa, una specie di microcosmo in cui ritroviamo tutti i protagonisti di una guerra: soldati, civili, caschi blu, giornalisti… e naturalmente gli operatori umanitari, impegnati in questo caso a rimuovere un cadavere da un pozzo, forma primitiva ma efficace di guerra batteriologica. È un problema in apparenza semplice da risolvere, ma la prima vittima di un conflitto armato è il buon senso: è per questo che vediamo le loro macchine sfrecciare avanti e indietro lungo le strade di montagna, come in un labirinto, cercando una via d’uscita che forse neanche esiste. Un labirinto aperto e luminoso, sotto il cielo dei Balcani: la sua vastità lo rende ancora più claustrofobico. L’immagine dall’alto dei due SUV che vagano tra le montagne come cavie l’ho avuta in testa fin da quando ho iniziato a scrivere il copione.
I miei film – ha dichiarato il regista Fernando Leon De Aranoa – mi hanno dato spesso l’opportunità di lavorare a fianco degli operatori umanitari nelle zone di guerra. La prima volta è stato nel febbraio del 1995, proprio durante il conflitto in Bosnia: riprendevamo per un documentario il loro lavoro, con due telecamere Betacam. Tornammo a casa con dozzine di nastri e un pugno di parole che usavamo di frequente per descrivere la guerra: Confusione, Irrazionalità, Babele, Labirinto, Impotenza. Qualche anno fa ho girato un documentario in Uganda con i volontari di Medici Senza Frontiere. In quello che potrebbe definirsi un bar, che trovammo a 15 chilometri dal confine con il Sudan e dove stavamo bevendo una birra calda, ho sentito per la prima volta il capo della sicurezza della nostra missione menzionare Dejarse llover, il romanzo di Paula Farias. Paula è un dottore, è emergency coordinator per MSF, ed è anche una scrittrice. In un certo senso cerca di aiutare le persone in due modi.
Ero catturato dalla semplicità della vicenda raccontata da Paula e dalla sua profondità, perché parla della crudeltà della guerra, ma lo fa con senso dell’umorismo e dell’assurdo. Nelle sue pagine e nei miei ricordi personali dell’impenetrabile labirinto dei Balcani, ho trovato l’idea per questo film, un film il cui unico genere a cui si può ricondurre è la vita stessa. Come in una matrioska: c’è un dramma dentro la commedia, dentro un road movie, dentro un film di guerra.
Al confine tra Etiopia e Somalia, un esperto di logistica australiano ci ha spiegato una volta che gli operatori umanitari si dividono in tre categorie: i Missionari, i Mercenari e i Disadattati. Ci sono le persone che arrivano e vogliono salvare il mondo; persone che stanno sul campo da anni, gli operatori professionisti; persone che hanno rimbalzato da una guerra all’altra per così tanto tempo che ormai non potrebbero fare nient’altro. In Perfect Day ritroviamo tutti e tre i tipi.
Ho proposto il ruolo di Mambrú a Benicio del Toro e quando ha letto il copione è rimasto affascinato dal personaggio, dalla storia e credo anche dal tono del racconto. Mambrú è la colonna portante del gruppo, quello che ne mantiene l’equilibrio (o almeno ci prova). Lavorare con Benicio vuol dire lavorare con un partner creativo. Le ore di lavoro erano niente per lui, il suo impegno per il film e il suo coinvolgimento sono stati assoluti. Tim Robbins ha interpretato alla perfezione il senso del suo personaggio, B, e quello che porta al gruppo: esperienza, sicurezza, ma anche tenerezza e humour, oltre ovviamente a quella componente selvaggia necessaria alla sopravvivenza durante la guerra. B riesce a gestire la follia della guerra perché la comprende bene. Per Sophie, l’esperta di purificazione delle acque, volevo un personaggio puro, trasparente, come l’acqua stessa: un personaggio che non fosse ancora corrotto. Mélanie Thierry si è rivelata l’ideale, grazie al suo sguardo così diretto e alla naturalezza e alla forza della sua interpretazione. Per Katya, una donna forte e intelligente ma con una fragilità nascosta, Olga Kurylenko ha creato un personaggio ricco di sfumature, la cui presenza aggiunge nuovi conflitti alla vicenda.
I personaggi lanciano messaggi diversi ma tutti importanti che inchiodano lo spettatore allo schermo: Mambrú (BENICIO DEL TORO): “Per Mambrú è l’ultima settimana sul campo, mentre l’idea di tornare a casa si fa sempre più vicina. Non so se smetterà di fare il suo lavoro o se andrà in pensione, ma credo che non lo sappia neanche lui. Sembra che sia nella fase del disadattato, il che vuol dire che a volte tende a piegare le regole a suo piacimento, altre le infrange del tutto”.
TIM ROBBINS è ‘B’: “B, come la maggior parte degli operatori umanitari, ambisce all’adrenalina che si ricava dal risolvere problemi nel bel mezzo del caos. Questi uomini sono in parte pompieri e in parte pirati, con un po’ di umorismo nero qui e là per permettere allo spirito di sopravvivere”.
OLGA KUYLENKO è Katya: “Katya è ucraina ed è analista di guerra. È un lavoro importante e lei lo prende molto sul serio. È una donna forte e brillante e ha un senso della giustizia che la spinge a seguire le regole, ma non in modo cieco…”
MÉLANIE THIERRY è Sophie: “I protagonisti del film sono sempre in azione. Sono alla ricerca di una corda: sembrerebbe una cosa molto semplice, ma vuol dire tutto e la missione va portata a termine in 24 ore. Per questo si tratta di un film dinamico e diretto, di un film di grande forza. Che non perde tempo”
Raffaele Dicembrino