Papa Francesco – Santa Marta – Adorazione e benedizione eucaristica

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Papa -Con l’adorazione e la benedizione eucaristica Papa Francesco ha concluso la messa del mattino, ed in streeming, celebrata nella cappella di Casa Santa Marta. Dopo la comunione, con l’ostensorio posto sull’altare per l’adorazione, il vescovo di Roma ha impartito la benedizione che, attraverso la diretta streaming, ha raggiunto tutti coloro che stanno vivendo questo tempo di pandemia.

Papa Francesco ha offerto, in modo particolare, la celebrazione per le persone anziane e sole. «Io vorrei — ha detto, a braccio, all’inizio della messa — che oggi pregassimo per gli anziani che soffrono questo momento in modo speciale, con una solitudine interna molto grande e alle volte con tanta paura».

«Preghiamo il Signore — ha aggiunto — perché sia vicino ai nostri nonni, alle nostre nonne, a tutti gli anziani e dia forza. Loro ci hanno dato la saggezza, la vita, la storia. Anche noi siamo vicini a loro con la preghiera».

E per rafforzare la sua intenzione spirituale il Pontefice ha letto l’antifona d’ingresso, tratta dal salmo 17 (6-8). «Io t’invoco, mio Dio: dammi risposta; rivolgi a me l’orecchio e ascolta la mia preghiera. Custodiscimi, o Signore, come la pupilla degli occhi, proteggimi all’ombra delle tue ali».

Per la meditazione dell’omelia,  Papa Francesco ha preso spunto dal passo del Vangelo di Matteo (18, 21-35) proposto dalla liturgia, centrato sul perdono. «Gesù — ha spiegato facendo riferimento al brano evangelico immediatamente precedente (18, 15-20) — viene dal fare una catechesi sull’unità dei fratelli e la finì con una bella parola: vi assicuro che “se due di voi”, due o tre, si metteranno d’accordo e chiedono una grazia, gli sarà concessa».

Dunque, «l’unità, l’amicizia, la pace tra i fratelli attira la benevolenza di Dio» ha detto il Papa. Ed ecco che, racconta Matteo, «Pietro fa la domanda: sì, ma alle persone che ci offendono cosa dobbiamo fare? “Se il mio fratello commette colpe contro di me”, mi offende, “quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?”».

Alla domanda di Pietro, ha fatto notare il Pontefice, «Gesù rispose con quella parola che vuol dire, nel loro idioma, “sempre”: “Settanta volte sette”». In sostanza, dice il Signore, «sempre si deve perdonare e non è facile perdonare, perché il nostro cuore egoista è sempre attaccato all’odio, alle vendette, ai rancori».

Del resto, ha proseguito Francesco, «tutti abbiamo visto famiglie distrutte dagli odi familiari che si rimandano da una all’altra generazione». Ci sono «fratelli che, davanti alla bara di uno dei genitori, non si salutano perché portano avanti rancori vecchi». Davvero, ha insistito, «sembra che sia più forte l’attaccarsi all’odio che all’amore e questo è proprio “il tesoro”, diciamo così, del diavolo».

Il diavolo infatti, ha spiegato il Papa, «si accovaccia sempre tra i nostri rancori, tra i nostri odi e li fa crescere, li mantiene lì per distruggere. Distruggere tutto. E tante volte, per cose piccole, distrugge».

Oltretutto, ha detto Francesco, «anche si distrugge questo Dio che non è venuto per condannare, ma per perdonare. Questo Dio che è capace di fare festa per un peccatore che si avvicina e dimentica tutto. Quando Dio ci perdona, dimentica tutto il male che abbiamo fatto». Tanto che «qualcuno diceva» che il perdono «è la malattia di Dio: non ha memoria, è capace di perdere la memoria, in questi casi. Dio perde la memoria delle storie brutte di tanti peccatori, dei nostri peccati. Ci perdona e va avanti».

Dio, ha spiegato il Papa, a noi «chiede soltanto: “Fa’ lo stesso, impara a perdonare, non portare avanti questa croce non feconda dell’odio, del rancore, del “me la pagherai”». Una «parola», ha rilanciato il Pontefice, che «non è né cristiana né umana».

Ecco, allora, «la generosità di Gesù, che ci insegna che per entrare in cielo dobbiamo perdonare» ha affermato Francesco. Anzi, ha aggiunto, «ci dice: “Tu, vai a messa?” — “Sì” — “Ma se quando vai a messa ti ricordi che il tuo fratello ha qualcosa contro di te, riconciliati, prima; non venire da me con l’amore verso di me in una mano e l’odio con il fratello nell’altra”». Ci vuole la «coerenza di amore: perdonare, perdonare di cuore».

«C’è gente — ha fatto presente il Papa — che vive condannando gente, parlando male della gente, sporcando continuamente i suoi compagni di lavoro, sporcando i vicini, i parenti, perché non perdona una cosa che gli hanno fatto o non perdona una cosa che non le è piaciuta». E così «sembra che la ricchezza propria del diavolo sia questa: seminare l’amore al non perdonare, vivere attaccati al non perdonare».

Ma «il perdono è condizione per entrare in cielo» ha ricordato Francesco. E «la parabola che Gesù ci racconta è molto chiara: perdonare» ha aggiunto. Con l’auspicio «che il Signore ci insegni questa saggezza del perdono, che non è facile».

A questo proposito il Papa ha anche suggerito un consiglio spirituale: «Facciamo una cosa: quando noi andremo a confessarci, a ricevere il sacramento della riconciliazione, prima chiediamoci: io perdono? Se io sento che non perdono, non fare finta di chiedere perdono, perché non sarò perdonato». Non va dimenticato, infatti, che «chiedere perdono significa perdonare: sono insieme ambedue, non possono separarsi».

Riferendosi al passo del Vangelo di Matteo, il Pontefice ha affermato che «coloro che chiedono perdono per sé stessi» — come il servo malvagio della parabola di fronte al padrone che «perdona tutto» — «ma non danno perdono agli altri, finiranno come lui». È Gesù stesso a ricordarlo nel Vangelo del giorno: «Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Il Papa ha concluso la meditazione invitando a pregare perché «il Signore ci aiuti a capire questo e ad abbassare la testa, a non essere superbi, a essere magnanimi nel perdono». Oppure «almeno a perdonare “per interesse”. Come mai? Sì, perdonare perché se io non perdono, non sarò perdonato. Almeno questo. Ma sempre il perdono».

 

Al termine della celebrazione, dopo l’adorazione e la benedizione eucaristica, Francesco ha affidato le sue preghiere alla Madre di Dio sostando davanti all’immagine mariana posta accanto all’altare della cappella di Santa Marta, accompagnato dal canto dell’antifona Ave Regina Caelorum.

Dunque la fraternità è un dono di Dio, è una profezia sull’umanità, è un compito per gli uomini. non ci meravigliamo perciò se siamo sempre in ritardo sul progetto e sulla profezia: ci viene chiesto di camminare in questa direzione, mettendo la nostra piccola parte.

 

Nel Nuovo Testamento “fratellanza” suggerisce un rapporto armonioso ed amorevole fra Dio ed i cristiani e fra i cristiani tra loro. La parola greca tradotta come “fratellanza” è “koinonia”, che significa “comunione, condividere in comune”.

Il Cristianesimo è basato sul rapporto d’amore tra gli uomini, sull’aiuto reciproco e sul trascorrere tempo insieme, lodando Dio. Chi ubbidisce ai comandamenti di Cristo è salvato dal peccato e viene aggiunto alla chiesa come cristiano, godendo della fratellanza se continua a dimorare nella Sua volontà. Siamo tutti figli di Dio e quindi siamo fratelli in Cristo non solo tra cristiani, ma con il resto dell’ umanità.

Marco 10, 29-30  – Gesù gli rispose: “In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà.

In uno dei suoi primi libri, “Il senso della fraternità cristiana”, il Papa emerito Benedetto XVI – allora professor Joseph Ratzinger – ha fatto una distinzione tra due idee di fratellanza, una chiusa (solo per gli iniziati) e una aperta (che comprende il mondo). Come ha sottolineato, il mondo occidentale post-illuminista potrebbe aver creduto nell’idea della fratellanza universale, ma non avrebbe potuto raggiungerla , se mai, forse, il contrario .Uno dei suoi frutti, la Rivoluzione francese, può aver fatto della fraternité uno slogan, ma essa era in realtà uno scontro violento tra differenti classi sociali ed economiche. Il Marxismo, che vide nella lotta di classe la sola autentica realtà, non poteva che concepire una fine di tale lotta, alla fine di tutto. Dobbiamo quindi concludere che per alimentare un qualsiasi senso di fratellanza universale è necessario uno sforzo ben più profondo che il nutrire un semplice sentimento o un qualche tipo di romanticismo .

Per ognuno di noi, all’interno della tradizione giudaico-cristiana, vi è un punto cruciale di partenza entro le Scritture – la Genesi, con la sua potente affermazione che, in quanto persone umane create da Dio, ognuno di noi è fatto a Sua immagine e somiglianza. Sono grato agli amici di tradizione ortodossa presenti nella Chiesa perché rendono questo concetto un punto assolutamente centrale per la mia fede . Troppo facilmente nelle tradizioni occidentali sorvoliamo su questa verità essenziale e fondamentale della nostra essenza e dell’essenza degli altri. Ma a volte è un compito difficile vedere gli altri come immagine di Dio. Come il rabbino Jonathan Sacks ha messo in evidenza così chiaramente, è davvero difficile vedere l’immagine di Dio in coloro che non sono a nostra immagine.

Cercare, mediante la grazia di Dio, di vedere una immagine divina in ogni altra persona è una responsabilità per tutti noi, anche per quelli di altre religioni oltre a quelli di religione ebraica e cristiana. Per quelli che non hanno alcuna fede, per i non credenti, vi è una sfida equivalente nel cercare di vedere qualche parallelo dell’immagine divina in ogni altra persona umana , e molti umanisti laici accettano questa sfida .

 

 




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