Haiti – In Libia i migranti vengono maltrattati! Ai migranti va trovato un lavoro ed offerto vitto ed alloggio! I migranti hanno storie di sofferenza indescivibili! Ma i non migranti? Coloro che lottano tutti i giorni contro le violenze e la fame nei propri paesi? Coloro che non hanno acqua per vivere? Coloro che si ammalano per carenze di cure? Il silenzio! Il silenzio di chi accusa “i cattivi” sentendosi “buono” continua a parlare ed aiutare ad orologeria.
Il caso ‘terrificante’ (per chi lo vive e non per chi ci si riempie di belle parole e nulla più) viene dalla bellissima isola di Haiti, famosa in Italia per aver pareggiato ai mondiali di calcio (tanti anni fa) con l’Italia e per il terribile terremoto che l’ha colpita e per il quale gli abitanti ancora soffrono e stentano a vivere.
Haiti ha però un altro problema ed un ‘grosso’ problema che spero riusciremo arilanciare con il nostro interesse.
Da oltre cinque settimane sono in corso violente proteste che hanno già causato 20 morti e oltre 200 feriti. I manifestanti chiedono le dimissioni del presidente Jovenel Moïse, che non sembra intenzionato a lasciare il potere. L’insicurezza è altissima, manca il carburante e i generi alimentari lontano dalla capitale cominciano a scarseggiare.
La situazione di continue proteste, insicurezza e crisi ad Haiti rischia di precipitare in una guerra civile.
Nella repubblica caraibica, che è anche tra i Paesi più poveri del mondo, da quasi 6 settimane, è in corso una forte rivolta anti-governativa contro il presidente Jovenel Moïse, al potere dal 2017, il quale, come accade quasi sempre in queste ‘delicate’ situazionio non ha alcuna intenzione di dimettersi. Il Potere e le poltrone sono obunque difficilmente abbandonabili dall’ego umano.
Le manifestazioni sono state organizzate dall’opposizione ma innescate dalla penuria di carburante, dall’aumento dei prezzi a causa dell’inflazione al 20%, dalla corruzione e dalla povertà generalizzata. Le proteste sono diventate subito molto violente, con barricate lungo le strade, pneumatici incendiati, camion rovesciati, auto date alle fiamme e la violenza continua ad essere protagonista in buona parte del Paese.
A fine settembre la Conferenza episcopale di Haiti, con i suoi dieci vescovi, ha denunciato la situazione, tacciando i dirigenti di irresponsabilità. La Caritas di Haiti è andata ancora oltre, chiedendo le dimissioni del governo per l’incapacità di gestire la crisi.
Intanto, durante le manifestazioni periodicamente organizzate si rimane chiusi in casa. Non possono pianificare le attività, i progetti sociali subiscono un rallentamento. Non si possono spostare per il Paese, sia per le tante gang in azione che taglieggiano gli automobilisti, sia per la scarsità di benzina. Una situazione che appare totalmente fuori controllo.
Nella capitale Port-au-Prince gli alimenti e i beni di prima necessità ancora arrivano, ma nelle province più remote cominciano a scarseggiare. “È una situazione simile alla guerra civile del 2004 – racconta all’agenzia Sir dalla capitale Port-au-Prince Alessandro Cadorin, coordinatore dei progetti di Caritas italiana ad Haiti –. Al momento c’è uno stallo, ma si prevede un peggioramento da qui a dicembre. Girano armi, si sentono spari. Le merci dei camion vengono rovesciate in mezzo alla strada per bloccare la circolazione sulle principali arterie di accesso alla città. L’insicurezza è elevatissima”.
L’Unione europea ha già evacuato il proprio personale, i cooperanti attendono indicazioni per sapere cosa fare. “Finora non siamo un target – precisa – ma certo c’è più delinquenza e in questa anarchia i rischi aumentano”.
Saccheggi e distruzione anche negli uffici Caritas. Il caos facilita la nascita di nuove gang che terrorizzano interi quartieri di Port-au-Prince e aree del Paese, ad esempio Port Sond nell’Artibonide. La stessa Caritas diocesana di Les Cayes è stata completamente saccheggiata, i generatori distrutti. “Un vero disastro”, ammette Cadorin. Anche altre Organizzazioni non governative sono state vittima di attacchi. Una équipe del Catholic relief service (la Caritas degli Stati Uniti) è stata presa di mira da sette uomini armati: hanno rubato materiali dai loro magazzini. “Le barricate cominciano a diventare un business preoccupante – prosegue –. La situazione è fuori controllo ed è difficile capire come muoversi”.
“Si vive alla giornata ma è veramente complicato. È un Paese sull’orlo del conflitto, a livello sociale è ancora peggio del dopo terremoto”.
Un Paese difficile. La decisione del presidente Moïse di rimanere al potere – si vocifera che alla scadenza del mandato del Parlamento, a dicembre, intenda continuare a governare per decreto – è probabilmente spalleggiata dagli Stati Uniti. Anche se Moïse ha perso il consenso di buona parte della popolazione e dei principali settori, compresi gli insegnanti, rimane una piccola élite borghese che lo sostiene. Del resto è salito al potere con i voti del 20% della popolazione e accuse di brogli. “Haiti è uno Stato in bancarotta, non ha nemmeno i soldi per pagare le navi per l’import di carburanti. Il 15% dei traffici illegali di droga verso gli Stati Uniti passano da qui”, spiega l’operatore di Caritas italiana. Da sempre a livello internazionale serpeggia l’idea di un Paese perduto, ingestibile. Un po’ per incapacità interna, un po’ perché potrebbe far comodo ad altri mantenere un territorio nel caos, per portare avanti attività illecite.
“Come cooperanti non abbiamo preso una posizione, ma denunciamo la gravità della situazione che rischia di degenerare in una catastrofe umanitaria”.
La presenza straniera. Nel caso di una evacuazione degli operatori delle Ong straniere presenti nel Paese, osserva Cadorin, “la situazione sarebbe ancora più grave perché verrebbero a mancare gli stipendi per molte famiglie locali”. Inoltre, non sarebbe nemmeno accettato un intervento umanitario dall’esterno perché le forze di pace delle Nazioni Unite (Minustah) inviate nel Paese nel 2004 se ne sono andate in questi giorni lasciando dietro di sé una immagina negativa: accusate di aver diffuso il colera, di violenze e abusi.
“Sarebbe vista come l’ennesima ingerenza straniera”, conclude Cadorin. Caritas italiana è presente ad Haiti dal 2010, l’anno del terremoto che uccise oltre 200.000 persone, con conseguenze devastanti a livello sociale.
Haiti è suddivisa amministrativamente in 10 dipartimenti ed ha un tasso di urbanizzazione del 52%; la popolazione vive soprattutto lungo la fascia costiera, in particolare nell’area della capitale Port-au-Prince (987.000 ab., 2.900.000 aggl. urbano) dove sorgono dalla seconda alla sesta città più popolose del Paese, rispettivamente Carrefour (502.000 ab.), Delmas (395.000 ab.), Pétion-Ville (328.000 ab.) e Cité Soleil (265.000 ab.), fa eccezione Gonaïves (279.000 ab.), situata nel nord-ovest di Hispaniola.
La quasi totalità degli abitanti è di etnia nera (95%) e discende dagli schiavi africani trasferiti qui di forza durante il periodo coloniale, con bianchi e mulatti che costituiscono il restante 5%; la religione cattolica (80%) è la fede più professata, assieme a quella protestante (16%), molte persone praticano inoltre riti vudù, legati alle tradizioni africane.
Un tempo colonia francese, fu uno dei primi paesi a chiedere ed ottenere l’indipendenza. Il suo presente è tumultuoso come il suo passato: oggi è uno dei paesi più poveri delle americhe ed è in continua emergenza sanitaria in seguito all’uragano Jeanne ed al terribile terremoto del 2010. Nonostante sia un Paese difficile, Haiti, è uno dei paesi più affascinanti dei Caraibi. Una piccola curiosità: Haiti è la prima repubblica del mondo moderno ad avere un governo di neri.
Per cercare di sdrammatizzare la sitiazione del Paese eccovi una leggenda su questo bellissimo Paese.
Nell’isola di Haiti, viveva un re il cui nome era Vagoniona. Egli era il padre di tutti gli uomini. Il Sole era loro nemico, perché poteva trasformarli in alberi Mirabolani. Per proteggerli dal Sole, li aveva rinchiusi tutti, uomini, donne e bambini in due caverne, la più grande di queste si chiamava Cazibaxagua, mentre la minore si chiamava Anayauna. A guardia di queste grotte e degli uomini che vi erano rinchiusi aveva messo Machokael, che vegliava ininterrottamente durante tutto il giorno e anche durante la notte. Una volta Vagoniona, al calare del Sole, mandò sulle sponde del mare il suo più caro amico Huacani. Questi sopraffatto dalla curiosità si mise ad osservare i dintorni trattenendosi in quel luogo più del dovuto. Le prime luci dell’alba lo sorpresero e Huacani fu trasformato in un usignolo. Vagoniona rattristato per la sparizione dell’amico e ignorando che lo struggente canto dell’usignolo che sentiva presso le grotte, altro non era che il lamento del suo amico colpito da quella infelice sorte, decise di andarlo a cercare. Liberò le donne e i bambini lattanti, lasciando gli uomini da soli. Sistemò le madri e le figlie nell’isola di Matinino che dopo fu chiamata Matalino ( Martinica ). Portò con sé i bambini; questi oppressi dalla fame e dalla sete, arrivati nei pressi di una riviera cominciarono a chiamare disperati: Toa! Toa! che nel loro linguaggio infantile significava mamma! mamma! E si trasformarono tutti in ranocchi.
Vagoniona, figlio prediletto del Cielo, era il solo uomo che vagava alla luce del Sole. Cercando il suo amico Huacani, scoprì nel fondo degli abissi del mare una donna bellissima; immediatamente si lanciò nelle profondità marine per vederla; essa l’accolse tra le sue braccia e si abbandonò con lui ai diletti dell’amore. Nel congedarlo, volle dargli come regalo alcune palline di corallo nere che vennero chiamate cibe, e alcune lucidissime conchiglie dette guanini. Questi ornamenti, furono da quella volta in poi i simboli della regalità, solo il re poteva ornarsi di quegli oggetti sacri che erano appartenuti a Vagoniona, progenitore della loro razza e loro primo monarca. Gli uomini rimasti nelle grotte, erano sprofondati nello sconforto più totale, in una sola volta erano rimasti privi del loro signore, delle loro donne e dei loro figli. Nel tentativo di alleviare le loro sofferenze, col calare delle tenebre si avventuravano nella laguna; una volta, complice il chiaro di luna, videro in lontananza delle figure di strani animali dalla sagoma simile a quella delle donne. Questi esseri si arrampicavano e discendevano dagli alberi Mirabolani, come una processione di formiche; tentarono di prenderne alcuni, ma il loro corpo agile e sinuoso sguizzava via dalle loro mani come se fossero stati dei pesci. Cercarono allora tra di loro quelli con le mani nodose, ruvide e piene di calli, perché solo coloro che avevano mani così potevano sperare di avere successo nella caccia e catturare qualche esemplare di questi strani animali.
Questi uomini, detti cacicoli partirono per la caccia e riuscirono a catturare quattro esemplari che vollero sposare proprio come si fa con le donne, ma li trovarono sforniti di sesso. Convocato il consiglio degli anziani, decretarono che si cercasse l’uccello pico, un picchio reale pregiato, dal piumaggio rosso, giallo e nero: questi toccò con il suo acuto becco gli animali, che all’istante si trasformarono in bellissime donne, e dalla loro unione discesero gli uomini e le donne che fondarono il popolo Haitiano.