Niger – Un anno fa il sequestro di padre Maccalli

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Niger – Un anno fa il sequestro di padre Maccalli missionario della provincia di Cremona

Ci sono vite che si lasciano abbracciare completamente dall’amore di Cristo. Matite nelle mani di Dio, per ricordare Santa Madre Teresa di Calcutta che così si definiva quando le chiedevano come una piccola donna potesse seminare tanto bene nel mondo. Nella strada percorsa da padre Gian Luigi Maccalli, missionario della Società delle Missioni Africane (SMA), c’è “l’amore per il Vangelo – come amava ricordare – insieme all’amore per la gente semplice”. Riferendosi al popolo gurmancé di Bamoanga, in Niger, a circa 125 chilometri dalla capitale Niamey, la casa della sua missione, diceva che loro lo aiutavano ad essere cristiano. Di padre Gigi non si sa più nulla, da quando il 17 settembre 2018 alcuni uomini armati, forse jihadisti di etnia peul (fulani), lo hanno portato via dalla sua casa, lasciando un grande vuoto. Grazie al missionario, instancabile nella sua opera, nella zona sono nate scuole, un ambulatorio, una farmacia, un centro nutrizionale e sono stati avviati corsi di formazione per maestri e catechisti.

In tutto il mondo iniziative di preghiera per non spegnere i riflettori su padre Gigi, 58 anni di Madignano, in provincia di Cremona da oltre 20 anni missionario in Africa, prima in Costa D’Avorio e poi in Niger. Pregheranno le comunità SMA in Europa, America, Asia e Africa, il centro missionario e la diocesi di Crema che organizzerà una marcia di solidarietà e preghiera. Si pregherà anche nelle parrocchie di Niamey e Maradi, le uniche due diocesi cattoliche del Niger, come ha riferito ad Aiuto alla Chiesa che soffre l’arcivescovo di Niamey, monsignor Laurent Lompo.

Testimone indiretto del rapimento di padre Gigi è stato padre Vito Girotto, parroco di Makalondi, la parrocchia più vicina alla missione di Bamoanga. “Io ho vissuto il sequestro al telefono – racconta – perché padre Das, che era ammalato e si trovava in una casetta vicino quella di padre Gigi, mi chiamò sul cellulare e con un filo di voce mi raccontò che il mio confratello era in pericolo. Aveva sentito degli spari e mi disse che lo stavano portando via. Un quarto d’ora dopo, un gruppo di cristiani mi venne a raccontare quello che era accaduto, dicendomi che dovevo andar via perché il luogo non era più sicuro”. “E’ stato un rapimento – racconta padre Vito – per fare paura, colpendo chi allora poteva essere considerato un leader che poi, in quel momento, aveva soldi perché era appena tornato dall’Italia. Infatti dalla missione hanno portato via solo il denaro e padre Gigi”.

“La situazione dopo il sequestro è ormai cambiata. Sono successi altri episodi – spiega il missionario – che hanno spinto il vescovo a chiudere le missioni e questo significa che i sacerdoti non possono più andare a dire messa in quelle zone”. “Noi siamo lì presenza e testimonianza e padre Gigi è stato ed è una persona serena che ha fatto sempre del bene. Lui ha dato la sua vita per questa gente, aveva imparato bene la lingua, si era dato da fare per i più piccoli, aveva portato in Italia e in Francia dei bambini per farli operare”.




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