Gran Sasso – Ventisei anni fa Giovanni Paolo II tornava sul Gran Sasso, la montagna da lui scoperta nel 1962 quando da vescovo ausiliare di Cracovia arrivò in Italia per prendere parte al Concilio Vaticano II. “Nell’ambito delle attività di promozione sociale, culturale e turistico-religiose che l’associazione culturale San Pietro della Ienca promuove in favore del comprensorio del Gran Sasso e del territorio aquilano, a seguito del rinvenimento di una foto del 1962 che riproduce l’allora Vescovo Ausiliare di Cracovia. Karol Wojtyla in visita privata alla base della Funivia del Gran Sasso in località Fonte Cerreto, in occasione del Concilio Vaticano II che si svolgeva a Roma, è stata promossa d’intesa con il Centro Turistico del Gran Sasso, la realizzazione di una targa che verrà fissata sulla struttura muraria del complesso della Base della Funivia, nello stesso luogo in cui fu scattata la foto nell’ottobre del 1962”.
La storica foto del 1962
Foto rinvenuta dall’appassionata ricerca di Pasquale Corriere, presidente dell’associazione culturale “San Pietro della Jenca” cui si deve la valorizzazione della chiesetta alle falde del Gran Sasso dove papa Wojtyla si recava in raccoglimento, diventata nel 2011 il primo Santuario dedicato a San Giovanni Paolo II. L’iniziativa ha ricevuto, anche, l’adesione, del comune dell’Aquila, dell’Ente Parco, dell’Amministrazione separata dei beni di uso civico di Assergi e degli operatori turistici presenti in località Fonte Cerreto. All’inaugurazione che si svolgerà sabato 17 agosto alle ore 12 di questo significativo avvenimento, sempre nel nome di Giovanni Paolo II, interverrà tra gli altri, monsignor Pawel Ptasznik, responsabile della sezione polacca della Segreteria di Stato Vaticana, anche in rappresentanza dell’autore della foto di nazionalità polacca che è scomparso recentemente, oltre all’assessore al Turismo del Comune dell’Aquila Fabrizia Aquilio ed all’amministratore del Centro Turistico Dino Pignatelli. Nel pomeriggio, alle ore 16 al Santuario di San Giovanni Paolo II in San Pietro della Ienca monsognor Pawel Ptasznik celebrerà una messa.
“Il Papa polacco nutriva un grande amore per queste montagne, dove spesso si recava in segreto, e dove il 20 giugno 1993 tornò per inaugurare la chiesetta della Madonna della Neve, a Campo Imperatore, restaurata dagli alpini- sottolinea Goffredo Palmerini-. Il Gran Sasso d’Italia era la montagna che più amava, forse perché gli ricordava i Monti Tatra, in Polonia, e gli anni della sua giovinezza. Sulle balze delle cime più alte dell’Appennino Papa Wojtyla era stato, più o meno in segreto, oltre un centinaio di volte, a camminare in solitudine o a sciare, guardato discretamente a distanza da qualche collaboratore vaticano, da due o tre dirigenti del Centro Turistico Gran Sasso d’Italia, da alcuni funzionari della Polizia di Stato. Tutti rigorosi osservanti della consegna del silenzio sulle fugaci visite del Santo Padre al Gran Sasso d’Italia”. Ma quella domenica del 20 giugno 1993, diversamente, fu per una visita ufficiale e pastorale, alla quale fece da sfondo il coro delle vette della catena del Gran Sasso, evidenzia Agenziacomunica.net: al centro il Corno Grande (2.912 metri), a sinistra i Pizzi Cefalone, Malecoste, Intermesoli e il Monte Corvo, a destra il Brancastello, il Prena e il Monte Camicia. Il Papa, sul palco allestito a Campo Imperatore tra la stazione d’arrivo della funivia e l’albergo, dopo aver benedetto la chiesetta della Madonna della Neve, riaperta dopo i lavori di restauro realizzati dagli Alpini della Sezione Abruzzi dell’Ana, recitò le preghiere dell’Angelus e rivolse parole che sono rimaste scolpite nel cuore degli aquilani e degli appassionati della montagna. “Un inno allo spirito e alla natura le parole del Papa, nell’austera bellezza e maestosità delle montagne alle sue spalle e, di fronte a lui, la meraviglia delle digradanti discese verso la verdeggiante conca aquilana, racchiusa tra i contrafforti della catena montuosa del Velino Sirente e, in fondo sulla sinistra, la vista imponente della Maiella”, racconta Palmerini.
Uomo di montagna e poeta
Nell’edizione del Quarantennale del Meeting gli organizzatori hanno scelto i versi tratti da una poesia di Karol Wojtyla. “Da dove nasce l’io? Da dove viene il volto di ciascuno di noi? Cosa dà peso e significato irriducibile al nostro nome?”. Alla tradizionale missione attraverso la parola, il “pontificato itinerante” di Giovanni Paolo II aggiunse quella della presenza. I viaggi internazionali consentirono a Karol Wojtyla una solidarietà più immediata, più visibile. “Per incidere sulla geopolitica contemporanea non basta l’anello del pescatore, serve l’aureola”, disse il giorno della beatificazione di Giovanni Paolo II il cardinale Achille Silvestrini, prima ministro degli Esteri e poi prefetto delle Chiese Orientali durante il pontificato di Karol Wojtyla. E in effetti il Papa santo si rese presto conto che i consueti strumenti dell’autorità pontificia non erano più sufficienti per incidere sulla scena internazionale e trasformò le visite apostoliche in uno dei più importanti strumenti di governo della Chiesa. Tra i primi ad intuire l’importanza di un apostolato “globetrotter” fu Piero Gheddo, protagonista per mezzo secolo dell’animazione pastorale del Pime (il Pontificio istituto missioni estere) e tra gli estensori di “Ad Gentes”, il decreto del Concilio Vaticano II sull’attività missionaria della Chiesa. “Solo un Papa giramondo può portare il Vangelo fino agli estremi confini della terra”, intuì padre Gheddo, grazie al quale nel 1973 l’Italia scoprì per la prima volta una religiosa con il sari bianco bordato di azzurro che poi diventò per tutti Madre Teresa di Calcutta. I viaggi di Karol Wojtyla incrociarono le frontiere ferite storico-sociali del suo tempo e la sua passione più grande restava l’annuncio del Vangelo. Nell’insegnamento di Giovanni Paolo II il punto centrale fu sempre Cristo, “Dio fatto uomo per salvare tutti gli uomini”. Nella prima enciclica “Salvator Hominis”, presentò Cristo come “il centro del cosmo e della storia”, fondamento di ogni riflessione sulla Chiesa e sull’uomo.
Cittadino del mondo
Nei suoi 27 anni di pontificato, Karol Wojtyla ha fatto più di 200 viaggi a Roma e in Italia e 105 viaggi internazionali, visitando 136 paesi, in molti dei quali è tornato più volte: 9 volte in Polonia, 8 in Francia, 7 negli Stati Uniti, 5 in Spagna e Messico, 4 in Portogallo, Brasile e Svizzera. E’ andato in tutti i paesi che poteva visitare. Impossibile andare in Cina, Russia, Vietnam e in altri paesi comunisti, in Arabia, Afghanistan, Iran e altri islamici. Perché viaggiava tanto? Rispose nell’enciclica “Redemptoris Missio” del 1990: “Già dall’inizio del mio pontificato ho scelto di viaggiare fino agli estremi confini della terra per manifestare la sollecitudine missionaria, e proprio il contatto diretto con i popoli che ignorano Cristo mi ha ancor più convinto dell’urgenza di tale attività”. Si è calcolato che Giovanni Paolo II ha trascorso nei viaggi circa due anni dei suoi 27 di Pontificato. “Si diceva: viaggia troppo, spende troppo, fa troppi discorsi – osservò padre Gheddo -. Ma lo dice chi non ha visto da vicino cosa suscita una visita del Papa in termini di fede, di entusiasmo popolare, di speranza, di solidarietà fra gli uomini. Ho accompagnato il Papa in alcuni viaggi internazionali. Ricordo che in Messico (gennaio 1979), il governo laicista messicano aveva fatto il possibile per tenere la gente in casa: blocco dei trasporti, scuole e uffici aperti, trasmissioni televisive frequenti, raccomandazioni di non muoversi da casa, si prevedevano disordini. Quando Giovanni Paolo II arriva a Città del Messico, a riceverlo non c’é né il capo dello stato né il primo ministro, solo autorità minori”. Il viaggio del Papa in auto scoperta sulla superstrada da Città del Messico a Puebla (110 chilometri) avviene fra una muraglia umana calcolata dai 9 ai 10 milioni di persone e nei pochi giorni di permanenza nel paese un terzo dei messicani (20 su 56 milioni) sono riusciti a vederlo di persona. “In quei giorni si è manifestata la forza della religiosità popolare, che mandò in crisi l’ideologia laicista dello stato messicano- spiegò Gheddo- Ovunque andava c’era folla di gente che attendeva da ore per vederlo passare”.
Dalla parte degli ultimi
In Messico il Papa ha preso solennemente le difese degli indios. A Oaxaca un indio gli dice: “Santità, noi viviamo peggio delle vacche e dei porci. Abbiamo perso le nostre terre, noi che eravamo liberi, ora siamo schiavi”. Giovanni Paolo II si stringe la testa fra le mani e rispondendo dice: “Il Papa sta con queste masse di indios e di contadini, abbandonate ad un indegno livello di vita, a volte sfruttate duramente. Ancora una volta gridiamo forte: rispettate l’uomo! Egli è l’immagine di Dio! Evangelizzate perché questo diventi realtà, affinché il Signore trasformi i cuori ed umanizzi i sistemi politici ed economici, partendo dall’impegno responsabile dell’uomo”. Il massimo quotidiano messicano, “Excelsior”, esponente del laicismo e della massoneria messicana, che si era opposto alla visita del Papa, commentò: “Dopo cinque secoli di oppressione dei nostri indios e contadini, doveva venire il Papa da Roma a dirci queste cose. Ci ha fatto vergognare di appartenere alle classi dirigenti messicane”. Quando il Papa riparte da Città del Messico, all’aeroporto ci sono tutte le più importanti autorità politiche e militari. “C’è stata una identificazione completa tra il Papa e il popolo, con momenti di intensità tale da commuovere- rievocò Gheddo-. Il Messico massone, socialista, radicale e anticlericale è stato spiazzato dalle ondate corali di partecipazione alle funzioni religiose, dalla marea di piccola gente venuta da ogni parte del paese, che dormiva all’aperto pur di poter vedere il Papa al mattino. Nessuno si aspettava un successo così travolgente, senza precedenti in Messico”.