Cinema – Film – Dall’Iran ecco “Tre volti”

508

“Tre volti “ è il nuovo film drammatico di Jafar Panahi con Behnaz Jafari, Jafar Panahi, Marziyeh Rezaei, Maedeh Erteghaei, Narges Delaram, una pellicola molto attuale che narra una storia tutta da seguire.

Una celebre attrice iraniana riceve l’inquietante video di una ragazzina che la implora di aiutarla a scappare dalla sua famiglia conservatrice. A quel punto la donna si rivolge all’amico cineasta Jafar Panahi, chiedendogli di darle una mano a capire se si tratta di una manipolazione. Insieme, intraprendono il viaggio verso il villaggio dove abita la giovane, tra le remote montagne della regione del nord-ovest dove le tradizioni ancestrali continuano ancora oggi a dettare le norme della vita dei luoghi.
Il regista ci regala il suo punto di vista sul film. La pellicola nasce da una situazione che, malgrado non sia nuova, è letteralmente esplosa negli ultimi tempi con l’avvento dei social network, che sono estremamente utilizzati in Iran e rappresentano una ricerca esasperata di contatto, in particolare con le personalità del mondo del cinema. Jafar Panahi, malgrado la sua condizione ufficiale di regista bandito nel suo Paese, è uno dei destinatari maggiormente preso di mira da simili richieste, in particolare da parte di giovani che vogliono fare un film. E come la maggior parte delle persone che ricevono molti messaggi dai loro fan sui social network, risponde soltanto di rado ad essi, ma gli è già capitato di percepire una sincerità, un’intensità che lo hanno spinto a porsi delle domande sulla vita di coloro che inviano questi appelli. Un giorno, ha ricevuto su Instagram un messaggio che gli è sembrato più serio e nello stesso momento i giornali parlavano di una ragazza che si era tolta la vita perché le avevano proibito di fare cinema. E così ha immaginato di ricevere su Instagram un video di quel suicidio e si è chiesto come avrebbe reagito in una circostanza simile.
Questa idea ha incrociato in Jafar Panahi il desiderio di ripercorrere la storia del cinema iraniano e gli ostacoli incontrati in forme diverse e in periodi diversi dagli artisti che l’hanno scritta. Da questa fusione è nato il progetto di evocare tre generazioni, quella del passato, quella del presente e quella del futuro, attraverso i tre personaggi delle attrici. Componendo i tre racconti è emersa l’immagine della strada stretta e sinuosa, che è una rappresentazione concreta di tutte le limitazioni che impediscono alle persone di vivere e di evolvere che gli era stata mandata da sua figlia che risiede in Francia, ha potuto lavorare in esterni persino di notte senza dover ricorrere a un’attrezzatura pesante. I tre villaggi si trovano nel nordovest del paese, nella regione azera dell’Iran, dove la gente di campagna è particolarmente legata alle tradizioni e la vita presenta aspetti ancora molto arcaici. I comportamenti degli abitanti nel film sono conformi a quanto avviene ancora oggi in quest’area. La strada tortuosa che vediamo sullo schermo esiste tuttora, malgrado oggi la gente preferisca percorrere un’altra strada, più larga e asfaltata.
Inizialmente, Jafar Panahi aveva ipotizzato che la coppia che arriva al villaggio fosse interpretata da un’altra attrice e da suo marito, che è un produttore. Tuttavia questa attrice non ha potuto fare il film e dunque lui ha proposto il ruolo principale a Behnaz Jafari, un’attrice famosa in Iran, che ha recitato in numerosi film, tra cui Lavagne di Samira Makhmalbaf (2000), e serie televisive molto popolari. Peraltro nel film l’episodio che si vede sul televisore di un bar era realmente in onda quando la scena è stata girata. Con lei Panahi ha deciso di partire con il film, approfittando della sua buona conoscenza della lingua turcoazera che facilita l’interazione con gli abitanti dei villaggi e con la ragazza che aveva mandato il messaggio, rapporti che costituiscono un fulcro del film. Conosciuta anche per la sua forte personalità, Behnaz Jafari ha voluto mettersi completamente a servizio del progetto e ha rifiutato di essere pagata.
Se il secondo personaggio principale femminile del film, la ragazzina, è interpretato da una giovane che il regista ha incontrato per caso per strada, subito convinto che la piccola Marziyeh Rezaei fosse nata per quel ruolo, la terza grande figura femminile è una storica star del cinema iraniano, Shahrzad (il cui vero nome è Kobra Saeedi). Il film insiste sul modo in cui, sia prima che dopo la rivoluzione islamica, in Iran le attrici siano sempre state considerate con disprezzo e percepite come donne che conducono una vita dissoluta. Uno degli intenti di Panahi è sottolineare come invece siano state e siano tuttora delle vere e proprie artiste. È esemplare il caso di Shahrzad, stella del cinema popolare dell’epoca pre-rivoluzionaria, attrice di grande talento, malgrado sia stata spesso sottovalutata e scelta soprattutto per i suoi attributi fisici in numeri di canti e danze. In realtà è anche una poetessa ed è autrice di opere importanti. Come è accaduto a tutte le star di quel periodo, dalla rivoluzione Shahrzad ha il divieto di girare film. In Tre Volti non appare: il suo personaggio è sia ombra cinese, sia visto di spalle per enfatizzare al massimo la sua assenza e non per rispettare il veto, ma per il desiderio di farla esistere proprio come “non presenza”. Peraltro, è questo che indica la poesia citata alla fine del film. In Iran, tutti la conoscono, comprese le giovani generazioni. Tra le sue apparizioni più celebri, sono numerosissimi coloro che si ricordano di lei nel film QEYSAR-Gheysar, grande noir di Massoud Kimiai (1969) in cui dà vita a un numero di una sensualità paragonabile a quella di Rita Hayworth in Gilda.
Una volta concluse le riprese, Panahi si è recato a Isfahān, dove vive Shahrzad, e le ha chiesto l’autorizzazione per utilizzare il suo nome. E lei non solo gliel’ha accordata, ma ha anche registrato la sua poesia ed è dunque sua la voce che sentiamo nel film. Allo stesso modo, Behruz Vossoughi, l’attore che vediamo sul manifesto del film Tangsir di Amir Naderi in cui recitò nel ruolo eponimo, era immensamente popolare ed è rimasto tale malgrado dopo la rivoluzione abbia scelto l’esilio negli Stati Uniti. E Taqngsir, in uno stile da western contemporaneo, è una storia di rivolta contro i corrotti, compresi quelli religiosi, il cui eroe continua a incarnare uno spirito al quale gli iraniani si riferiscono volentieri.
Vossoughi ha rappresentato una delle incarnazioni più celebrate di una forma eroicizzata del potere maschile in alcuni film dichiaratamente maschilisti, tipici del cinema popolare prerivoluzionario – dopo la rivoluzione, le forme di dominio maschile sono cambiate, malgrado non siano scomparse, nemmeno sullo schermo. Tre volti tratta in modo critico questa eredità, ponendo al centro del racconto dei personaggi femminili, ma anche per esempio trattando della questione, molto presente nelle fasce più tradizionaliste della società, della feticizzazione del prepuzio. La sacralizzazione di questo piccolo pezzo di pelle, come pure tutte le istanze legate alla potenza riproduttiva di un toro, concorrono a questa importante tematica del film.
Contrariamente a quanto era avvenuto per Taxi Teheran, film in cui il nome dei collaboratori non appariva nei titoli di coda, questa volta c’è il cast tecnico al completo, dimostrazione di un cambio di stato d’animo in Iran. In occasione del precedente film, alcuni tecnici avevano avuto timore delle conseguenze della pubblicazione dei loro nomi, invece questa volta hanno tutti insistito per essere citati nei titoli. Come abbiamo visto durante le manifestazioni alla fine del 2017, in Iran ormai si verificano gesti di protesta molto più azzardati rispetto al passato. E questo si è anche tradotto nella mobilitazione dell’intera comunità dei professionisti del cinema a favore di Jafar Panahi: tutte le associazioni delle categorie professionali cinematografiche (registi, produttori, distributori, tecnici, etc.) hanno scritto al Presidente della Repubblica iraniana per chiedergli di autorizzare la sua partecipazione al Festival di Cannes. Tuttavia, malgrado abbia accolto con grande favore il gesto dei suoi colleghi, Panahi insiste soprattutto sull’avere finalmente l’autorizzazione per girare come vuole lui nel suo paese e per mostrare i suoi film. Il cineasta ha altresì fatto sapere di esigere che gli altri registi oggetto di vessazioni siano lasciati in pace e abbiano la possibilità di viaggiare e di filmare – a cominciare da Mohammad Rassoulof, che è stato arrestato nel suo stesso momento nel 2009, ed è nuovamente sottoposto a pressioni amministrative, dal momento che le autorità gli hanno ritirato il passaporto dopo che ha presentato all’estero il suo ultimo film.




Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *