Papa Francesco in udienza generale sul sesto comandamento: il matrimonio indissolubile

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Papa Francesco – Un’udienza generale molto attuale quella di Papa Francesco che ha inviato un forte richiamo ad un mondo in cui l’impegno ed il rispetto sembrano essere sempre meno attuali.
Le parole di Papa Francesco possono riassumersi con queste parole: “non si può amare solo finché conviene”. L’amore si manifesta proprio oltre la soglia del proprio tornaconto, quando si dona tutto senza riserve. Come afferma il Catechismo: “L’amore vuole essere definitivo. Non può essere ‘fino a nuovo ordine’.”
Già perche il pontefice ha riflettuto sul sesto comandamento “Non commettere adulterio” il tema della catechesi dell’udienza generale. Il Papa ha disquisito dell’importanza della fedeltà nelle relazioni umane e, riguardo al matrimonio, insiste sulla necessità di una preparazione adeguata.
“Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Nel nostro itinerario di catechesi sui Comandamenti arriviamo oggi alla Sesta Parola, che riguarda la dimensione affettiva e sessuale, e recita: «Non commettere adulterio».
Il richiamo immediato è alla fedeltà, e in effetti nessun rapporto umano è autentico senza fedeltà e lealtà.
Non si può amare solo finché “conviene”; l’amore si manifesta proprio oltre la soglia del proprio tornaconto, quando si dona tutto senza riserve. Come afferma il Catechismo: «L’amore vuole essere definitivo. Non può essere “fino a nuovo ordine”» (n. 1646). La fedeltà è la caratteristica della relazione umana libera, matura, responsabile. Anche un amico si dimostra autentico perché resta tale in qualunque evenienza, altrimenti non è un amico. Cristo rivela l’amore autentico, Lui che vive dell’amore sconfinato del Padre, e in forza di questo è l’Amico fedele che ci accoglie anche quando sbagliamo e vuole sempre il nostro bene, anche quando non lo meritiamo.
L’essere umano ha bisogno di essere amato senza condizioni, e chi non riceve questa accoglienza porta in sé una certa incompletezza, spesso senza saperlo. Il cuore umano cerca di riempire questo vuoto con dei surrogati, accettando compromessi e mediocrità che dell’amore hanno solo un vago sapore. Il rischio è quello di chiamare “amore” delle relazioni acerbe e immature, con l’illusione di trovare luce di vita in qualcosa che, nel migliore dei casi, ne è solo un riflesso.
Così avviene di sopravvalutare per esempio l’attrazione fisica, che in sé è un dono di Dio ma è finalizzata a preparare la strada a un rapporto autentico e fedele con la persona. Come diceva San Giovanni Paolo II, l’essere umano «è chiamato alla piena e matura spontaneità dei rapporti», che «è il graduale frutto del discernimento degli impulsi del proprio cuore». È qualcosa che si conquista, dal momento che ogni essere umano «deve con perseveranza e coerenza imparare che cosa è il significato del corpo» (cfr Catechesi, 12 novembre 1980).
La chiamata alla vita coniugale richiede, pertanto, un accurato discernimento sulla qualità del rapporto e un tempo di fidanzamento per verificarla. Per accedere al Sacramento del matrimonio, i fidanzati devono maturare la certezza che nel loro legame c’è la mano di Dio, che li precede e li accompagna, e permetterà loro di dire: «Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre». Non possono promettersi fedeltà «nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia», e di amarsi e onorarsi tutti i giorni della loro vita, solo sulla base della buona volontà o della speranza che “la cosa funzioni”. Hanno bisogno di basarsi sul terreno solido dell’Amore fedele di Dio. E per questo, prima di ricevere il Sacramento del Matrimonio, ci vuole un’accurata preparazione, direi un catecumenato, perché si gioca tutta la vita nell’amore, e con l’amore non si scherza. Non si può definire “preparazione al matrimonio” tre o quattro conferenze date in parrocchia; no, questa non è preparazione: questa è finta preparazione. E la responsabilità di chi fa questo cade su di lui: sul parroco, sul vescovo che permette queste cose. La preparazione deve essere matura e ci vuole tempo. Non è un atto formale: è un Sacramento. Ma si deve preparare con un vero catecumenato.
La fedeltà infatti è un modo di essere, uno stile di vita. Si lavora con lealtà, si parla con sincerità, si resta fedeli alla verità nei propri pensieri, nelle proprie azioni. Una vita intessuta di fedeltà si esprime in tutte le dimensioni e porta ad essere uomini e donne fedeli e affidabili in ogni circostanza.
Ma per arrivare ad una vita così bella non basta la nostra natura umana, occorre che la fedeltà di Dio entri nella nostra esistenza, ci contagi. Questa Sesta Parola ci chiama a rivolgere lo sguardo a Cristo, che con la sua fedeltà può togliere da noi un cuore adultero e donarci un cuore fedele. In Lui, e solo in Lui, c’è l’amore senza riserve e ripensamenti, la donazione completa senza parentesi e la tenacia dell’accoglienza fino in fondo.
Dalla sua morte e risurrezione deriva la nostra fedeltà, dal suo amore incondizionato deriva la costanza nei rapporti. Dalla comunione con Lui, con il Padre e con lo Spirito Santo deriva la comunione fra di noi e il saper vivere nella fedeltà i nostri legami”.
Durante i saluti Papa Francesco ha aggiunto: “Carissimi, il messaggio evangelico di Cristo non ci chiede di fare cose straordinarie, ma di lasciare agire Dio nella nostra vita. Lui ci ha detto: «Senza di me voi non potete fare nulla» (Gv 15, 5). La vita cristiana è l’incontro della nostra debolezza con la forza della grazia di Dio, la quale ci permette di vivere quotidianamente un’esistenza piena e gioiosa, dove la carità significa fare tutto con gioia e umiltà, per la gloria di Dio e per il bene degli uomini”.
Interessanti sull’argomento le parole di Giovanni Paolo II ed alcune esternazioni di San padre Pio da Pietralcina.
Giovanni Paolo II, dagli inizi del suo pontificato, si è particolarmente impegnato per ridare dignità alla famiglia e per educare i giovani di oggi al riconoscimento dei valori autentici del matrimonio.
Padre Pio gridava forte contro i peccati del sesto e nono comandamento
I peccati contro il matrimonio sono quelli che Dio perdona più difficilmente. Sai perché? Perché il Signore avrebbe potuto creare continuamente uomini e donne, come aveva fatto con Adamo ed Eva. Si è spogliato di questa prerogativa dando mandato all’uomo e alla donna di crescere e moltiplicarsi.
Ma come aveva fatto Lucifero, così l’uomo e la donna gli gridano il loro non serviam, non vogliamo servirti, e impediscono così il progetto di Dio sulla creazione delle anime.
In concreto, l’istituto della famiglia esprime la forza creativa di Dio: Dio crea e trasmette vita attraverso i coniugi, ma resta sempre lui il protagonista, mediante il sacramento vissuto nell’ottica cristiana.
Sul matrimonio Padre Pio ha sempre applicato l’insegnamento dei Sommi Pontefici: da Pio XI a Pio XII, da Paolo VI a Giovanni Paolo II. Padre Pio è sempre stato sulla linea morale codificata da Paolo VI nell’Humanae vitae e successivamente convalidata da Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio e, recentemente, nel Catechismo della Chiesa Cattolica e nell’enciclica Veritatis splendor ed Evangelium Vitae.
È nota la sua lettera personale (12 settembre 1968) inviata a Paolo VI per compiacersi dell’enciclica Humanae vitae, per sostenerlo, quasi volesse apporvi il suo suggello.
Spesso, in confessionale, citava ai coniugi encicliche e discorsi di Pio XII, al quale si sentiva particolarmente legato.
Allorché questo Pontefice presentò i concetti di paternità responsabile e di continenza periodica, molti ricorderanno quale interesse, non privo di perplessità, tale posizione abbia risvegliato nella pubblica opinione e all’interno stesso della Chiesa. Mentre desideravo un’occasione per conoscere il pensiero del Padre, una sera venne lui stesso in argomento, affrontandolo da un punto di vista particolare.
«Intravvedo – disse – un qualche pericolo nella applicazione pratica, per la donna, che avendo in accordo col marito, stabilito un periodo di astinenza, potrebbe poi non trovarsi disposta, non avvertire il desiderio, nei giorni liberi e capitarle l’inverso nei giorni vietati. E poiché la donna ordinariamente ha più ritegno e pudore dell’uomo, può avere difficoltà a manifestare questa sua condizione, e subire la tentazione della incontinenza».
Padre Pio vedeva il matrimonio come sacramento per la santificazione dei coniugi. La sua formula era questa: «Quando ti sei sposato Dio ha deciso quanti figli ti deve dare». La «sua famiglia» era quella numerosa, quella benedetta nella Bibbia. Rifiutare, a ragion veduta, di collaborare con Dio, non è cristiano.
I coniugi che si sono affidati alla guida del suo confessionale hanno vissuto il sacramento con fede e soddisfazione. Padre Pio ha donato alla Chiesa una lunga serie di famiglie numerose, proprio quando la famiglia andava incontro alla sua peggiore crisi, con la denatalità e poi con le separazioni, il libero amore, la convivenza, i matrimoni civili e il divorzio che egli considerava «la creazione di Dio distrutta». Infatti Dio crea la vita attraverso i coniugi, che, separandosi, distruggono il progetto creativo stabilito per loro. «Il divorzio è la strada dritta per l’inferno».




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