Papa Francesco: la preghiera è un lavoro

380

Papa Francesco – E’ il brano del Vangelo di oggi al centro dell’omelia di Papa Francesco alla Messa di questa mattina a Casa Santa Marta. E il tema che affronta è quello della preghiera, di come noi dobbiamo pregare. Gesù racconta infatti ai suoi discepoli di un uomo che, a mezzanotte, bussa alla casa di un suo amico per chiedergli qualcosa da mangiare. E l’amico risponde che non è il momento opportuno, che è già a letto, ma poi si alza e gli dà quello che chiede.
Pregare con coraggio, con costanza, persino con invadenza, senza stancarsi mai; perché la preghiera non è una bacchetta magica, ma una ricerca, un lavoro, una lotta, che richiede volontà, costanza e determinazione. Lo ha sottolineato il Papa durante la messa celebrata a Santa Marta nella mattina di giovedì 11 ottobre, indicando anche due modalità concrete di preghiera: quella di santa Monica per implorare la conversione di Agostino e quella di un padre di Buenos Aires — da lui conosciuto — rimasto aggrappato per una notte intera al cancello del santuario di Luján per invocare la guarigione della sua bambina moribonda.

Come di consueto il Pontefice ha preso spunto per l’omelia dal passo liturgico del Vangelo di Luca (11, 5-13), in cui «ci sono tre realtà: un uomo nel bisogno, un amico, e un po’ di pane». Il primo dei tre, ovvero quello bisognoso, ha spiegato, non si «aspettava che arrivasse a quell’ora un altro amico a casa sua, e non avevano niente da offrirgli, perché avevano già cenato». Allora pensò tra sé: «Andrò dal mio amico. Il mio amico mi darà qualcosa, poi domani io arrangerò con lui». E andò «dall’amico perché ha fiducia è il suo amico»; ma questi gli dice: «fermati un po’. Guarda l’ora che è… io sono a letto, i miei bambini pure. Non posso alzarmi» per andare a «cercare le cose» nella dispensa. Tuttavia, nonostante ciò — ha osservato Francesco — il protagonista del racconto «insiste, insiste, per avere il pane».

Ecco allora gli elementi individuati dal Pontefice per attualizzare la riflessione: «il bisogno; l’amico; e un amico che ha del pane. Così il Signore ci vuole insegnare come pregare. Dice il Signore: “Vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono”. Tutto. “Ma sì, vieni, prenditi il pane, le salsicce, prenditi tutto e portalo a casa”». Insomma, in una parola: «invadenza. E con questo il Signore ci vuole insegnare come si prega».

Da qui le modalità concrete di preghiera suggerite dal Papa. «Si prega con coraggio — ha esordito — perché quando preghiamo abbiamo un bisogno». E siccome Dio è un amico, anzi «è un amico ricco che ha del pane, ha quello di cui abbiamo bisogno». È, ha aggiunto Francesco, «come se Gesù dicesse: “nella preghiera siate invadenti. Non stancatevi”. Ma non stancatevi di che? Di chiedere. “Chiedete e vi sarà dato”». Dunque una preghiera che si fa ricerca. Ha raccomandato in proposito il Pontefice: «Cercate. E chiusa questa porta vado dall’altra. Cercare, e troverete. Bussate, e vi sarà aperto. Siate invadenti nella preghiera. Perché chiunque chiede riceve. Chi cerca trova. Chi bussa, gli sarà aperto». Ed «è bello questo» ha commentato, per poi chiarire che «la preghiera non è come una bacchetta magica: che noi facciamo la preghiera, e… pum! E si fa la grazia».

Al contrario secondo Francesco «la preghiera è un lavoro: un lavoro che ci chiede volontà, ci chiede costanza, ci chiede di essere determinati, senza vergogna. Perché? Perché io sto bussando alla porta del mio amico. Dio è amico, e con un amico io posso fare questo. Una preghiera costante, invadente». Come quella di santa Monica, per esempio: «quanti anni ha pregato così, anche con le lacrime, per la conversione del suo figlio» Agostino. «Il Signore — ha ricordato il Pontefice — alla fine ha aperto la porta. Ma se uno chiede, poi dice due “Padre nostro”, e poi se ne va», allora vuol dire che «tu non desideri veramente ciò che chiedi». Invece occorre, ha ribadito, «chiedere con invadenza».

E per illustrare il proprio pensiero, ancora una volta Papa Bergoglio ha attinto alle esperienze personali vissute in Argentina, rievocando un avvenimento molto toccante. «Credo che una volta vi ho raccontato: — ma non sono sicuro… — ero a Buenos Aires, in un ospedale c’era una ragazzina di nove anni con una malattia — queste malattie infettive contagiose — e in una settimana se ne sarebbe andata». Quando «i medici chiamarono i suoi genitori, dissero loro: “Abbiamo fatto tutto il possibile, ma non c’è niente da fare. In due o tre ore se ne andrà”». Allora «il papà, che era un operaio — un uomo semplice, lavoratore — e conosceva la realtà della vita come Gesù, se ne è andato dalla clinica, ha lasciato la moglie, ha preso il bus», percorrendo 70 chilometri fino al santuario della Madonna di Luján. È uscito intorno alle 18 ed è arrivato verso le 20, le 21, quando il santuario era ormai chiuso. Ma «quell’uomo rimase tutta la notte lì, davanti al santuario. E si aggrappava al cancello del santuario, quello che custodiva il santuario, e tutta la notte implorando la Madonna: “Io voglio mia figlia. Io voglio mia figlia. Tu puoi darmela”. Poi, verso le 5 o 6 del mattino, riprese il bus e tornò». Arrivò «verso le 9.30, e trovò la moglie un po’ disorientata, sola. La bambina non c’era. Pensò il peggio. E la mamma, la moglie, gli ha detto: “Sai, i medici l’hanno portata per fare un altro esame, non si spiegano perché si è svegliata e ha chiesto da mangiare, e non c’è nulla, sta bene, fuori pericolo”. Questo è successo. Lo so per certo». E l’insegnamento tratto dalla vicenda è che «quell’uomo forse non andava a messa tutte le domeniche, ma sapeva come si pregava, sapeva che quando» si è «nel bisogno, c’è un amico che ha la possibilità, ha del pane, ha la possibilità di risolverti un problema». Perciò «bussò tutta la notte».

Si tratta, certo, di «un esempio». Ma «ce ne sono tanti» ha affermato il Papa, per evidenziare che la maggior parte di «noi non sappiamo pregare. Pregare un po’: “E io voglio questo…”. Pensate ai bambini capricciosi quando vogliono qualcosa, gridano, si dimenano, “Io voglio! Io voglio!” Piangono. E alla fine la mamma e il papà: “Ma almeno così non disturbi. Ma sì, prendi, e vai”». Allo stesso modo, ha fatto notare Francesco, «è con Dio. “Ma padre, Dio non si arrabbierà se io faccio questo?”. E Gesù prevede questa domanda, e ci dice: “Ma quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi, che siete cattivi — che siete padri cattivi, tutti lo siamo — sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!». Del resto, Dio «è un amico: dà sempre il bene. Dà di più: io ti chiedo di risolvere questo problema, e lui lo risolve e anche ti dà lo Spirito Santo. Di più».

Ne scaturisce una considerazione conclusiva, un invito da parte di Francesco: «Pensiamo un po’: come prego? Come un pappagallo? Prego proprio con il bisogno nel cuore? Lotto con Dio nella preghiera perché mi dia quello di cui ho bisogno se è giusto? Impariamo da questo passo del Vangelo come pregare».




Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *