Politica – Ecco l’Italia del Gattopardo

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Adinolfi – Dividere il campo tra buoni e cattivi in politica non è mai una grande idea, denota ingenuità a voler essere benevoli. Gli attori della gattopardesca tragedia all’italiana (che ha sempre un retrogusto da farsa o da commedia) sono spesso legati ad un canovaccio intriso di interessi che guardano più al proprio “particulare” che al bene comune. Se c’è una persona a cui bisogna rendere onore alla fine di questa grottesca crisi che si protrae da mesi, è il professor Paolo Savona che, richiesto di una esplicita abiura delle sue idee anti-euro, non l’ha concessa. Non si diventa ottuagenari per niente, di solito è a quell’età che si recupera un brandello di vera intellettuale libertà.

L’altro protagonista ottuagenario è Sergio Mattarella, il presidente della Repubblica, che ha detto no al governo di Giuseppe Conte proprie perché conteneva la nomina di Savona a ministro dell’Economia. Dico subito che io non l’avrei fatto: avrei subito il diktat dei due partiti di maggioranza e li avrei mandati a governare. Mattarella ritiene che subire il diktat avrebbe significato violare l’articolo 92 della Costituzione, che assegna al presidente della Repubblica il potere di nomina dei ministri, su proposta del presidente del Consiglio incaricato. In effetti nel passato remoto e recentissimo il Capo dello Stato aveva fatto valere l’articolo 92 per cancellare personalità dalle liste dei ministri: da Clelio Darida rimosso da Pertini al dicastero della Difesa a Nicola Gratteri che perse il posto di ministro della Giustizia a favore di colui che ancora oggi lo detiene, Andrea Orlando, per via dell’intervento di Napolitano, la storia è piena di precedenti.

Lo scontro che si è registrato al Colle in queste settimane è stato uno scontro anche generazionale, se vogliamo di modi. L’irruenza giovanilistica di chi proclamava l’avvento della Terza Repubblica contro un esponente che aveva la radici ben salde nella Prima. In realtà la Repubblica italiana è sempre la stessa, io ho sempre contestato la divisone in Prima, Seconda e, figuriamoci, Terza. Questo tic linguistico è mutuato dalla Repubblica francese, che è arrivata alla sua Quinta versione, ma la scansione transalpina è regolata sulle modifiche sostanziali della Costituzione. Noi abbiamo sempre la stessa Costituzione, le stesse due Camere, lo stesso parlamentarismo, le stesse regole a presiedere la formazione di un governo. Ora siamo tornati anche ad avere una legge elettorale dagli effetti proporzionali. L’Italia del Gattopardo è quella in cui “tutto cambi affinché tutto resti invariato” e siamo sempre lì, la definizione migliore resta quella di Tomasi di Lampedusa, non a caso un siciliano. Ma quale Terza Repubblica…

Ripeto, io non avrei bocciato Savona, li avrei mandati a governare. Ma ci sono ragioni di altri che dicono che il presidente della Repubblica ha fatto bene. Altri ancora gridano all’alto tradimento e sono pronti a mettere in stato di accusa il Capo dello Stato “asservito ai poteri forti stranieri”. Lo hanno detto dai palchi della campagna elettorale per le amministrative Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e sorprendentemente Giorgia Meloni. Matteo Salvini più intelligentemente si è tenuto alla larga da questa inutile benzina lanciata intempestivamente sul fuoco e utilizzerà l’arma del possibile voto favorevole della Lega a una procedura di impeachment per ottenere dal Quirinale una data certa per le elezioni.

Salvini è evidentemente quello che ha giocato meglio di tutti le sue carte al tavolo da poker complicatissimo della politica. Non sfugge il leader leghista al canovaccio della salvaguardia del proprio “particulare”, ma lo fa almeno massimizzando gli effetti positivi per sé mentre gli altri che recitano lo stesso soggetto sembrano finire spesso nel tafazzismo. Chi mi ha incontrato in queste settimane in giro per l’Italia per la campagna elettorale del Popolo della Famiglia sa che io ho sempre espresso meraviglia per la mossa di Salvini di finire a fare la stampella di un governo a trazione pentastellata: “A meno che il gioco non sia quello di far saltare tutto all’ultimo su un qualche pretesto, per andare alle elezioni con l’aura del martire” (ti ricordi, Attilio Negrini?). Salvini ha fatto esattamente questo: poteva mettere Giorgetti al posto di Savona, avrebbe così avuto una condizione straordinaria e impensata per la Lega. Con il 17% dei voti portava a casa vicepresidenza del Consiglio, ministero degli Interni e ministero dell’Economia, più varie altre caselle importanti come ad esempio Centinaio all’Agricoltura e la Bongiorno alla Pubblica Amministrazione. Ma a Salvini non è mai interessato far decollare questo governo e se fosse pure decollato si sarebbe schiantato alla prima curva. L’interesse di Salvini è andare alle elezioni anticipate entro il 2018 perché ha il vento in poppa e il precedente dell’altro Matteo, quel Renzi che esattamente quattro anni fa prendeva il 41% alle europee e a cui Napolitano negò le elezioni anticipate, gli spiega che il ferro va battuto finché è caldo. E ora è davvero caldissimo, bravo Salvini.

Mattarella manda il povero Carlo Cottarelli a fare il governo balneare, ovviamente di minoranza perché in Parlamento è impossibile che trovi sostegno. Poi forse attorno a Cottarelli potrà coalizzarsi una forza moderata che tenderà a contrapporsi a quella sovranista, di gran lunga più in forma elettoralmente, ma siamo dunque arrivati al disegno degli scenari possibili per le elezioni politiche che si terranno ad ottobre e alle quali come Popolo della Famiglia dobbiamo farci trovare pronti.

La domanda fondamentale è una sola: lo schema del “contratto per il governo del cambiamento” è un programma politico che certifica la nascita di una coalizione elettorale? Insomma, Di Maio e Salvini andranno coalizzati alle elezioni in virtù di questi ottantaquattro giorni trascorsi a flirtare? Rispondere a questa domanda darà la cifra della campagna elettorale prossima ventura. In realtà la risposta è complessa e potrei sbagliare. Mi affido ad alcuni elementi evidenti.

Il primo è che il centrodestra non esiste più. Sulla crisi in queste ore ha assunto tre posizioni che più diverse non potevano essere: Berlusconi si è schierato con Mattarella, la Meloni ne ha chiesto l’impeachment per alto tradimento e asservimento alle potenze stranieri, Salvini vuole solo che gli dia la data certa delle elezioni. Ovviamente non pervenuti i Lupi e i Quagliariello, quel che resta di Noi con l’Italia, la “quarta gamba” del centrodestra che infatti non si presenta alle amministrative, è completamente scomparso come soggetto politico (alle municipali di Roma, dove voteranno quattrocentomila persone, non ci sono neanche liste civiche “di area”, totalmente dissolti).

Per abitudine, quando si fa analisi politica, si tende a rimanere travolti dall’emotività delle ore che si vivono. In realtà bisognerebbe rimanere lucidi e guardare piuttosto alla prospettiva futura. Un centrodestra dissolto, come certamente appare in questo momento, potrebbe danneggiare il progetto egemonico di Matteo Salvini? Alcuni elementi di rischio ci sono. Silvio Berlusconi è tornato candidabile. Silvio Berlusconi detiene sempre il potere su tre reti televisive e influenti giornali (penso più a Chi che a Il Giornale), pochi hanno notato la rimozione di Del Debbio e Belpietro dalla guida dei rispettivi talk show, considerati troppo populisti. L’utilizzo massiccio della televisione commerciale generalista a sostegno di un allarmismo che i mercati non esiteranno a produrre potrebbe causare danni ingenti a Salvini se dovesse scegliere la strada dell’alleanza elettorale con Di Maio.

Già, i mercati. Anche loro svolgeranno un ruolo e sarà un ruolo pesante. Al nascere eventuale di una coalizione Salvini-Di Maio più si avvicineranno le elezioni (e dunque la probabile vittoria di quella coalizione) più l’assalto alla condizione di instabilità dell’Italia sarà massiccia. Gli italiani voteranno tranquillamente per i “sovranisti” con uno spread sopra quota 500? Le prove generali sono state fatte nei cinque giorni con il povero Giuseppe Conte presidente del Consiglio incaricato: lo spread è arrivato a 217 e la borsa italiana ha perso il 4.48% del suo valore, pari a 51 miliardi di euro di capitalizzazione. In cinque settimane cosa può accadere? Queste paure incideranno sul voto degli italiani, lo orienteranno?

Altro fattore incognito è la legge elettorale. Il governo Cottarelli proverà a metterci mano, soprattutto se Salvini e Di Maio dovessero essere parte di una stessa coalizione. Con il Rosatellum l’intesa Lega-M5S potrebbe puntare a ottenere il 70% dei seggi, agevolmente se le percentuali fossero quelle dei sondaggi odierni. Torno a sottolineare che in politica le condizioni mutano velocemente, ma con il 55% dei voti che oggi Salvini e Di Maio possono facilmente assommare si ottengono sette seggi su dieci. Hanno peraltro una carta comune da giocare: indicare agli elettori fin da subito Paolo Savona come premier, con esiti da possibile plebiscito.

Ultimo fattore da analizzare: è stato il leader leghista a “salvinizzare” il M5S o è lui stesso ad essersi “grillizzato”? Insomma, chi ha egemonizzato chi in questa lunga crisi politica e chi guiderà di fatto l’eventuale coalizione elettorale gialloverde? Anche da questo dipenderà la convenienza reciproca a imbarcarsi nella costruzione di quella che sarebbe l’enorme e per certi versi sconvolgente novità del quadro politico, rappresentata da un’intesa stabile Di Maio-Salvini da sottoporre al giudizio degli elettori.

E, finalmente, veniamo a noi. Cosa dobbiamo fare come Popolo della Famiglia davanti a questo scenario? Come dobbiamo giudicarlo? Come dobbiamo prepararci alle sfide anche elettorali che inevitabilmente ci riguarderanno? Ho promesso al movimento, dopo il risultato del 4 marzo, una traversata del deserto. Ho detto subito che non sarebbe stata agevole e ho invitato chi fosse attirato dalle sirene delle comodità garantite dal carro dei vincitori a sbrigarsi a salirci, anche perché lo avrebbe trovato ben affollato. Quanto scriverò ora dunque riguarda e interroga solo i disposti a schierarsi a testuggine per tale traversata, che ha da oggi tempi e obiettivi precisi e precisamente scansionati: il 10 giugno dimostreremo di essere un movimento in salute e in crescita, alle elezioni anticipate di ottobre faremo pesare i voti delle centinaia di migliaia di persone che credono in noi, alle elezioni europee del 24 maggio 2019 avremo consegnato all’Italia la rinascita di un soggetto politico autonomo e consistente, di ispirazione cristiana e posto a presidio dei principi essenziali e per questo non negoziabili.

Sono impegnato città per città personalmente per rafforzare con la mia presenza la fatica dei candidati del Popolo della Famiglia nei municipi romani che vanno al voto come a Massa, a Teramo e a Brescia, a Treviso e a Messina, a Imperia e a Terni, a Ancona e a Grottammare, a Imola e a Monopoli, a Villafranca di Verona e a Pontecagnano, a Anzio e a Velletri così come in una infinità di piccoli comuni dove sventola il simbolo del Popolo della Famiglia: Decollatura, Roure, Novalesa, Gravina di Catania, Camogli, Ceresara, Venegono superiore i primi centri che mi vengono in mente. Misureremo il livello del nostro consenso in tutti questi importanti comuni che vanno al voto e ci aspettiamo segnali incoraggianti a partire da Roma, dove quattrocentomila persone vanno al voto costituendo il test forse più rilevante anche perché si vota sul fallimento di governo del M5S nei municipi. Sono qui a chiedere con umiltà a tutti i cattolici e alle persone di buona volontà di dare forza al Popolo della Famiglia a queste elezioni amministrative, soprattutto a coloro che non ci hanno votato il 4 marzo adducendo come motivazione il cosiddetto “voto utile”, che è diventato poi il voto utile a portare Di Maio e i grillini a un passo dal governo del Paese.

Io continuo a considerare l’esperienza del Popolo della Famiglia alternativa esplicitamente all’esperienza del Movimento Cinque Stelle, portatore di una cultura anticristiana e controllato da poteri di origine massonica. Una volta al governo i pentastellati mostrano subito le loro intenzioni con provvedimenti anche simbolici come il taglio delle sovvenzioni alle scuole comunali cattoliche o la rimozione immediata dei manifesti pro-life. Sarei molto dispiaciuto se Matteo Salvini decidesse di stabilizzare l’intesa con Di Maio proponendola anche alle elezioni politiche anticipate. Dispiaciuto ma non sorpreso. Come tutte le deliberazioni delle nostre assemblee hanno dichiarato, il Popolo della Famiglia è alternativo al Pd e al M5S, nessuna intesa sarebbe possibile con l’alleanza gialloverde.

Nel quadro politico in movimento, comunque, il Popolo della Famiglia non resterà fermo. Lo abbiamo dimostrato già a queste amministrative. Continuiamo a coltivare la nostra strada maestra, che è quella dell’autonomia: ci siamo presentati da soli ai municipi Roma 3 e Roma 8 con i nostri candidati presidenti Guido Pianeselli e Francesco Garroni Parisi, ci aspettiamo di veder premiata la coerenza e di passare dallo 0.7% del 4 marzo a un punto pieno, forse a un punto e mezzo percentuale. Un soggetto politico che perde la sindrome dello zerovirgola è un soggetto politico che può dire la sua nello scenario nazionale, perché rappresenta una forza che può essere determinante.

In alcuni contesti abbiamo già sperimentato la dimensione coalizionale, perché il tanto negletto PdF è stato cercato e considerato utile al raggiungimento di obiettivi elettorali. Noi non abbiamo mai barattato principi per poltrone, abbiamo invece reso determinanti e condizionanti i principi: così a Teramo e a Massa, a Brescia e a Ancona, a Messina e a Terni, a Imperia e a Anzio siamo in coalizione; a Treviso e a Imola, a Villafranca di Verona e a Monopoli, a Grottammare e a Novalesa, a Roure e a Roma corriamo da soli. Se riusciamo a condizionare la scelta delle persone e i programmi, non abbiamo difficoltà a costruire alleanze. Altrimenti non abbiamo paura di andare da soli. Di certo non andremo con il Pd o con il M5S. Questi sono i limiti invalicabili determinati dal nostro organismo politico che è l’assemblea nazionale.

Il Popolo della Famiglia farà di più. Spiegherà al Paese che questa Europa non ci piace, che non vogliamo essere un paese a sovranità limitata, ma che il terreno pericoloso non è quello dell’euro, ma dei principi. Un’Europa portatrice di una cultura sempre più mortifera non può essere la nostra prospettiva e noi la combatteremo. Non da soli, però, ma con i nostri fratelli polacchi e sloveni, ungheresi e romeni, croati e bulgari. C’è un’Europa diversa da costruire, delle radici cristiane e della vita, che da questi presupposti diventa un’Europa strappata al dominio dei banchieri e delle burocrazie. Non sarà però il nostro “particulare” a guidarci. Abbiamo visto Di Maio (e anche Salvini) trasformarsi da no euro in europeisti convinti durante la campagna elettorale per poi rivestire la pelle antieuropeista in questi ultimi giorni. Non si fa così, è poco serio, la lingua biforcuta indica sempre attitudini malvagie. Hanno cambiato linea come ci si cambia d’abito, di giorno in giorno, mandando il povero Giuseppe Conte a giurare fedeltà all’Europa pur di fare il governo poi naufragato per una impuntatura di tutti su un ministro antieuropeista. Situazioni comiche, se non fossero grottesche con venature di possibile tragedia.

In questa fucina incandescente quel che emerge è la necessità di un soggetto politico autonomo di ispirazione cristiana. Se ne è accorta anche la Conferenza episcopale italiana che cita in ogni documento don Sturzo e il cattolicesimo politico. La stagione miope in cui la Chiesa italiana ha pensato di far da sé, rappresentando i propri interessi direttamente presso il contesto di governo, davanti a questi fatti e a questi interlocutori forse si sta chiudendo. Con le tempistiche ecclesiali si comincerà a discutere il da farsi. Mentre discuteranno, guidati dall’intelligenza paterna del cardinale Bassetti, noi faremo. Cresceremo il 10 giugno e ci faremo trovare pronti alle elezioni anticipate di ottobre, per dare una casa politica ai cattolici italiani. Per farlo occorrono strutture, militanza sul territorio, capacità di raccogliere in pochi giorni decine di migliaia di firme autenticate. La stagione in cui Lupi e Quagliariello potevano presentarsi senza raccoglierne è finita, non hanno più il gruppo parlamentare, Udc, Ncd, Ap e Noi con l’Italia sono sigle dissolte. Fin dal 10 giugno i cattolici troveranno solo il Popolo della Famiglia da poter votare, perché siamo l’unico movimento strutturato con una propria militanza diffusa su tutto il territorio nazionale e 219.635 fratelli che si sentono rappresentati solo da noi.

Apriamo, spalanchiamo porte e finestre, entrino tutti nel Popolo della Famiglia che è l’unica casa politica con strutture ovunque visibili e con un know how riconosciuto: sappiamo come si fa, non siamo un circolo culturale con molte chiacchiere e cinquanta iscritti reali. Il PdF è un popolo che compie con la sua struttura a testuggine la traversata del deserto: il 10 giugno cresceremo, alle politiche di ottobre peseremo, alle europee del 24 maggio 2019 avremo restituito all’Italia un soggetto politico autonomo di ispirazione cristiana capace di incidere. Chi vuole si unisca subito al nostro cammino iscrivendosi al Popolo della Famiglia tramite questo link www.lacrocequotidiano.it/abbonarsi-ora e segua ogni giorno la nostra elaborazione politica tramite il quotidiano La Croce.

Saremo durissimi contro chi vuole svendere o asservire l’Italia, ma lo faremo perché consideriamo l’Italia terra della resistenza valoriale alle politiche mortifere nordeuropee, che forze come il Movimento Cinque Stelle assecondano alle quali noi ci opponiamo strenuamente, lo abbiamo sempre fatto, continueremo a farlo. Chi non sa neanche rattoppare 11 chilometri d’asfalto dove da un anno si sa che deve passare il Giro d’Italia non saprà mai rattoppare (e, figuriamoci, guidare) un Paese a rischio. Con loro al governo i nostri valori e persino i nostri risparmi sono in pericolo, non faremo mai gestire l’Italia a loro. E chi va con loro sarà nostro avversario.

Quel che ora conta per noi è rafforzare e strutturare ancora di più il Popolo della Famiglia nella sua natura di soggetto politico autonomo dei cattolici, dei cristianamente ispirati, delle persone di buona volontà. Possiamo davvero rappresentare un’alternativa credibile per il Paese, mettendo il nostro per arrivare all’obiettivo che abbiamo sempre indicato attraverso tre fattori: un popolo, i pastori, un soggetto politico uniti per fare dell’Italia una nazione guida nella rinascita valoriale d’Europa.

Mario Adinolfi




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