Giornata intensa quella odierna per il Pontefice che ha iniziato i suoi impegni alle 8.30 con la Santa Messa nel Kyaikkasan Ground.
Alle 16.15 l’atteso incontro con il Consiglio Supremo “Sangha” dei Monaci buddisti nel Kaba Aye Centre ed infine alle 17.15 il confronto i Vescovi del Myanmar nella Cattedrale di St. Mary.
Alla Messa, la prima in Myanmar, nel grande parco Kyaikkasan di Yangon, in un’umida mattinata del Sud est asiatico, Papa Francesco ha salutato i birmani con il loro augurale benvenuto, “Min gla ba”, e subito ha ricordato che in Gesù crocifisso troviamo una sicura bussola, che può guidare la nostra vita con la luce che proviene da Dio. E nelle sue ferite possiamo trovare la fonte di ogni cura.
“So che molti in Myanmar portano le ferite della violenza, sia visibili che invisibili. La tentazione è di rispondere a queste lesioni con una sapienza mondana che, come quella del re nella prima Lettura, è profondamente viziata. Pensiamo che la cura possa venire dalla rabbia e dalla vendetta. Tuttavia la via della vendetta non è la via di Gesù”.
La “via di Gesù”, ha sottolineato il Papa, è radicalmente differente, perché “quando l’odio e il rifiuto lo condussero alla passione e alla morte, Egli rispose con il perdono e la compassione”. Quindi nel dono dell’Eucaristia impariamo come trovare riposo nelle ferite di Cristo, e là essere purificati da tutte le nostre vie distorte che tentiamo in risposta alla violenza subita. Nelle ferite di Cristo, è stato l’augurio di Francesco ai cattolici birmani, possiate assaporare il “balsamo” della misericordia del Padre e trovare la forza di portarlo agli altri, per ungere ogni memoria dolorosa.
“So che la Chiesa in Myanmar sta già facendo molto per portare il balsamo risanante della misericordia di Dio agli altri, specialmente ai più bisognosi. Vi sono chiari segni che, anche con mezzi assai limitati, molte comunità proclamano il Vangelo ad altre minoranze tribali, senza mai forzare o costringere, ma sempre invitando e accogliendo”.
La Chiesa viva che è in Myanmar aiuta poveri e sofferenti di ogni religione ed etnia attraverso il Catholic Karuna Myanmar, la Caritas locale, e Gesù, ha concluso il Papa, “premierà i vostri sforzi di seminare semi di guarigione e riconciliazione nelle vostre famiglie, comunità e in tutta la società di questa nazione”.
“Il suo messaggio di perdono e misericordia si serve di una logica che non tutti vorranno comprendere, e che incontrerà ostacoli. Tuttavia il suo amore, rivelato sulla croce è, in definitiva, inarrestabile. È come un ‘GPS spirituale’ che ci guida infallibilmente verso la vita intima di Dio e il cuore del nostro prossimo”.
“Gesù vuole donare questa sapienza in abbondanza. Certamente Egli premierà i vostri sforzi di seminare semi di guarigione e riconciliazione nelle vostre famiglie, comunità e nella più vasta società di questa nazione. Non ci ha forse detto che la sua sapienza è irresistibile (cfr Lc 21,15) Il suo messaggio di perdono e misericordia si serve di una logica che non tutti vorranno comprendere, e che incontrerà ostacoli. Tuttavia il suo amore, rivelato sulla croce è, in definitiva, inarrestabile. È come un “GPS spirituale” che ci guida infallibilmente verso la vita intima di Dio e il cuore del nostro prossimo.
La Beata Vergine Maria ha seguito suo Figlio anche sull’oscura montagna del Calvario e ci accompagna in ogni passo del nostro cammino terreno. Possa Ella ottenerci sempre la grazia di essere messaggeri della vera sapienza, profondamente misericordiosi verso i bisognosi, con la gioia che deriva dal riposare nelle ferite di Gesù, che ci ha amati sino alla fine.
“Dio benedica tutti voi! Benedica la Chiesa in Myanmar! Benedica questa terra con la sua pace! Dio benedica il Myanmar!”
Il secondo appuntamento della giornata è stato un interessante confronto con il Consiglio Supremo “Sangha” dei Monaci buddisti. Ai quali ha rivolto l’appello di essere coesi nell’offrire parole di speranza. “Il nostro incontro è un’importante occasione per rinnovare e rafforzare i legami di amicizia e rispetto tra buddisti e cattolici. E’ anche un’opportunità per affermare il nostro impegno per la pace, il rispetto della dignità umana e la giustizia per ogni uomo e donna. Non solo in Myanmar, ma in tutto il mondo le persone hanno bisogno di questa comune testimonianza da parte dei leader religiosi. Perché, quando noi parliamo con una sola voce affermando i valori perenni della giustizia, della pace e della dignità fondamentale di ogni essere umano, noi offriamo una parola di speranza. Aiutiamo i buddisti, i cattolici e tutte le persone a lottare per una maggiore armonia nelle loro comunità.
In ogni epoca, l’umanità sperimenta ingiustizie, momenti di conflitto e disuguaglianza tra le persone. Nel nostro tempo queste difficoltà sembrano essere particolarmente gravi. Anche se la società ha compiuto un grande progresso tecnologico e le persone nel mondo sono sempre più consapevoli della loro comune umanità e del loro comune destino, le ferite dei conflitti, della povertà e dell’oppressione persistono, e creano nuove divisioni. Di fronte a queste sfide, non dobbiamo mai rassegnarci. Sulla base delle nostre rispettive tradizioni spirituali, sappiamo infatti che esiste una via per andare avanti, una via che porta alla guarigione, alla mutua comprensione e al rispetto. Una via basata sulla compassione e sull’amore.
Esprimo la mia stima per tutti coloro che in Myanmar vivono secondo le tradizioni religiose del Buddismo. Attraverso gli insegnamenti del Buddha, e la zelante testimonianza di così tanti monaci e monache, la gente di questa terra è stata formata ai valori della pazienza, della tolleranza e del rispetto della vita, come pure a una spiritualità attenta e profondamente rispettosa del nostro ambiente naturale. Come sappiamo, questi valori sono essenziali per uno sviluppo integrale della società, a partire dalla più piccola ma più essenziale unità, la famiglia, per estendersi poi alla rete di relazioni che ci pongono in stretta connessione, relazioni radicate nella cultura, nell’appartenenza etnica e nazionale, ma in ultima analisi radicate nell’appartenenza alla comune umanità. In una vera cultura dell’incontro, questi valori possono rafforzare le nostre comunità e aiutare a portare la luce tanto necessaria all’intera società.
La grande sfida dei nostri giorni è quella di aiutare le persone ad aprirsi al trascendente. Ad essere capaci di guardarsi dentro in profondità e di conoscere sé stesse in modo tale da riconoscere le reciproche relazioni che le legano a tutti gli altri. A rendersi conto che non possiamo rimanere isolati gli uni dagli altri. Se siamo chiamati ad essere uniti, come è nostro proposito, dobbiamo superare tutte le forme di incomprensione, di intolleranza, di pregiudizio e di odio. Come possiamo farlo? Le parole del Buddha offrono a ciascuno di noi una guida: «Sconfiggi la rabbia con la non-rabbia, sconfiggi il malvagio con la bontà, sconfiggi l’avaro con la generosità, sconfiggi il menzognero con la verità» (Dhammapada, XVII, 223). Sentimenti simili esprime la preghiera attribuita a San Francesco d’Assisi: «Signore, fammi strumento della tua pace. Dov’è odio che io porti l’amore, dov’è offesa che io porti il perdono, […] dove ci sono le tenebre che io porti la luce, dov’è tristezza che io porti la gioia».
Possa questa Sapienza continuare a ispirare ogni sforzo per promuovere la pazienza e la comprensione, e per guarire le ferite dei conflitti che nel corso degli anni hanno diviso genti di diverse culture, etnie e convinzioni religiose. Tali sforzi non sono mai solo prerogative di leader religiosi, né sono di esclusiva competenza dello Stato. Piuttosto, è l’intera società, tutti coloro che sono presenti all’interno della comunità, che devono condividere il lavoro di superamento del conflitto e dell’ingiustizia. Tuttavia è responsabilità particolare dei leader civili e religiosi assicurare che ogni voce venga ascoltata, cosicché le sfide e i bisogni di questo momento possano essere chiaramente compresi e messi a confronto in uno spirito di imparzialità e di reciproca solidarietà. Mi congratulo per il lavoro che sta svolgendo la Panglong Peace Conference a questo riguardo, e prego affinché coloro che guidano tale sforzo possano continuare a promuovere una più ampia partecipazione da parte di tutti coloro che vivono in Myanmar. Questo sicuramente contribuirà all’impegno per far avanzare la pace, la sicurezza e una prosperità che sia inclusiva di tutti.
Certamente, se questi sforzi produrranno frutti duraturi, si richiederà una maggiore cooperazione tra leader religiosi. A tale riguardo, desidero che sappiate che la Chiesa Cattolica è un partner disponibile. Le occasioni di incontro e di dialogo tra i leader religiosi dimostrano di essere un fattore importante nella promozione della giustizia e della pace in Myanmar. Ho appreso che nell’aprile scorso la Conferenza dei Vescovi Cattolici ha ospitato un incontro di due giornate sulla pace, al quale hanno partecipato i capi delle diverse comunità religiose, insieme ad ambasciatori e rappresentanti di agenzie non governative. Tali incontri sono indispensabili, se siamo chiamati ad approfondire la nostra reciproca conoscenza e ad affermare le relazioni tra noi e il comune destino. La giustizia autentica e la pace duratura possono essere raggiunte solo quando sono garantite per tutti.
Cari amici, possano i buddisti e i cattolici camminare insieme lungo questo sentiero di guarigione, e lavorare fianco a fianco per il bene di ciascun abitante di questa terra. Nelle Scritture cristiane, l’Apostolo Paolo chiama i suoi ascoltatori a gioire con quelli che sono nella gioia e a piangere con coloro che sono nel pianto (cfr Rm 12,15), portando umilmente i pesi gli uni degli altri (cfr Gal 6,2). A nome dei miei fratelli e sorelle cattolici, esprimo la nostra disponibilità a continuare a camminare con voi e a seminare semi di pace e di guarigione, di compassione e di speranza in questa terra.
Vi ringrazio nuovamente per avermi invitato ad essere oggi qui con voi. Su tutti invoco le benedizioni divine di gioia e di pace”.
Il terzo appuntamento della giornata è stato l’incontro nel complesso della cattedrale di Yangon con i vescovi locali: un momento per riflettere -su “gioie” e “sfide” del loro ministero, di fronte a “greggi” che “portano i segni” del conflitto e “hanno generato valorosi testimoni della fede e delle antiche tradizioni”.
“Mi piacerebbe che il nostro incontro stasera fosse un momento di serena gratitudine per queste benedizioni e di tranquilla riflessione sulle gioie e sulle sfide del vostro ministero di Pastori del gregge di Cristo in questo Paese. Ringrazio Mons. Felix [Lian Khen Thang] per le parole di saluto che mi ha rivolto a nome vostro; tutti vi abbraccio con grande affetto nel Signore.
Vorrei raggruppare i miei pensieri attorno a tre parole: guarigione, accompagnamento e profezia.
La prima, guarigione. Il Vangelo che predichiamo è soprattutto un messaggio di guarigione, riconciliazione e pace. Mediante il sangue di Cristo sulla croce Dio ha riconciliato il mondo a sé, e ci ha inviati ad essere messaggeri di quella grazia risanante, grazia di guarigione. Qui in Myanmar, tale messaggio ha una risonanza particolare, dato che il Paese è impegnato a superare divisioni profondamente radicate e costruire l’unità nazionale. Le vostre greggi portano i segni di questo conflitto e hanno generato valorosi testimoni della fede e delle antiche tradizioni; per voi dunque la predicazione del Vangelo non dev’essere soltanto una fonte di consolazione e di fortezza, ma anche una chiamata a favorire l’unità, la carità e il risanamento nella vita del popolo. L’unità che condividiamo e celebriamo nasce dalla diversità – non dimenticare questo, nasce dalla diversità -; valorizza le differenze tra le persone quale fonte di mutuo arricchimento e di crescita; le invita a ritrovarsi insieme, in una cultura dell’incontro e della solidarietà.
Che nel vostro ministero episcopale possiate fare costantemente esperienza della guida e dell’aiuto del Signore nell’impegno a favorire la guarigione e la comunione ad ogni livello della vita della Chiesa, così che il santo Popolo di Dio, il vostro gregge, mediante il suo esempio di perdono e di amore riconciliante, possa essere sale e luce per i cuori che aspirano a quella pace che il mondo non può dare. La comunità cattolica in Myanmar può essere orgogliosa della sua profetica testimonianza di amore a Dio e al prossimo, che si esprime nell’impegno per i poveri, per coloro che sono privi di diritti e soprattutto, in questi tempi, per i tanti sfollati che, per così dire, giacciono feriti ai bordi della strada. Vi chiedo di trasmettere il mio ringraziamento a tutti coloro che, come il Buon Samaritano, si adoperano con generosità per portare a loro e al prossimo che è nel bisogno, senza tener conto della religione o dell’etnia, il balsamo della guarigione.
Il vostro ministero di guarigione trova una particolare espressione nell’impegno per il dialogo ecumenico e per la collaborazione interreligiosa. Prego affinché i vostri continui sforzi a costruire ponti di dialogo e ad unirvi ai seguaci di altre religioni nel tessere relazioni di pace producano frutti abbondanti per la riconciliazione nella vita del Paese. La conferenza di pace interreligiosa tenutasi a Yangon la scorsa primavera è stata una testimonianza importante, davanti al mondo, della determinazione delle religioni a vivere in pace e a rigettare ogni atto di violenza e di odio perpetrato in nome della religione.
E in questa guarigione ricordatevi che la Chiesa è un “ospedale da campo”. Guarire, guarire ferite, guarire le anime, guarire. Questa è la prima vostra missione, guarire, guarire i feriti.
La mia seconda parola per voi stasera è accompagnamento. Un buon Pastore è costantemente presente nei riguardi del suo gregge, conducendolo mentre cammina al suo fianco. Come mi piace dire, il Pastore dovrebbe avere l’odore delle pecore; ma anche l’odore di Dio, non dimenticatevi!, anche l’odore di Dio. Ai nostri giorni siamo chiamati a essere una “Chiesa in uscita” per portare la luce di Cristo ad ogni periferia (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 20). In quanto Vescovi, le vostre vite e il vostro ministero sono chiamati a conformarsi a questo spirito di coinvolgimento missionario, soprattutto attraverso le visite pastorali regolari alle parrocchie e alle comunità che formano le vostre Chiese locali. È questo un mezzo privilegiato per accompagnare, come padri amorevoli, i vostri sacerdoti nell’ impegno quotidiano a far crescere il gregge in santità, fedeltà e spirito di servizio. Ho parlato di accompagnare i sacerdoti: siate vicini ai sacerdoti, non dimenticate che il prossimo più prossimo che un vescovo ha è il sacerdote. Che ogni sacerdote non solo sappia, ma senta che ha un padre nel vescovo.
Per grazia di Dio, la Chiesa in Myanmar ha ereditato una fede solida e un fervente anelito missionario dall’opera di coloro che portarono il Vangelo in questa terra. Su queste fondamenta stabili, e in comunione con i presbiteri e i religiosi, continuate a permeare il laicato nello spirito di un autentico discepolato missionario e a ricercare una sapiente inculturazione del messaggio evangelico nella vita quotidiana e nelle tradizioni delle vostre comunità locali. Il contributo dei catechisti è al riguardo essenziale; il loro arricchimento formativo deve rimanere per voi una priorità. E non dimenticate che i catechisti sono i pilastri, in ogni parrocchia, dell’evangelizzazione.
Soprattutto, vorrei chiedervi un impegno speciale nell’accompagnare i giovani. Occupatevi della loro formazione ai sani principi morali che li guideranno nell’affrontare le sfide di un mondo minacciato dalle colonizzazioni ideologiche e culturali. Il prossimo Sinodo dei Vescovi non solo riguarderà tali aspetti, ma interpellerà direttamente i giovani, ascoltando le loro storie e coinvolgendoli nel comune discernimento su come meglio proclamare il Vangelo negli anni a venire. Una delle grandi benedizioni della Chiesa in Myanmar è la sua gioventù e, in particolare, il numero di seminaristi e di giovani religiosi. Ringraziamo Dio per questo. Nello spirito del Sinodo, per favore, coinvolgeteli e sosteneteli nel loro percorso di fede, perché sono chiamati, attraverso il loro idealismo ed entusiasmo, a essere evangelizzatori gioiosi e convincenti dei loro coetanei.
La mia terza parola per voi è profezia. La Chiesa in Myanmar testimonia quotidianamente il Vangelo mediante le sue opere educative e caritative, la sua difesa dei diritti umani, il suo sostegno ai principi democratici. Possiate mettere la comunità cattolica nelle condizioni di continuare ad avere un ruolo costruttivo nella vita della società, facendo sentire la vostra voce nelle questioni di interesse nazionale, particolarmente insistendo sul rispetto della dignità e dei diritti di tutti, in modo speciale dei più poveri e vulnerabili. Sono fiducioso che la strategia pastorale quinquennale, che la Chiesa ha sviluppato nel più ampio contesto della costruzione dello Stato, porterà frutto abbondante non solo per il futuro delle comunità locali, ma anche dell’intero Paese. Mi riferisco specialmente alla necessità di proteggere l’ambiente e di assicurare un corretto utilizzo delle ricche risorse naturali del Paese a beneficio delle generazioni future. La custodia del dono divino della creazione non può essere separata da una sana ecologia umana e sociale. Infatti, «la cura autentica delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri» (Enc. Laudato si’, 70).
Cari fratelli Vescovi, ringrazio Dio per questo momento di comunione e prego che questo nostro stare insieme ci rafforzerà nell’impegno ad essere pastori fedeli e servitori del gregge che Cristo ci ha affidato. So che il vostro ministero è impegnativo e che, insieme ai vostri sacerdoti, spesso faticate sotto «il peso della giornata e il caldo» (Mt 20,12). Vi esorto a mantenere l’equilibrio nella salute fisica come in quella spirituale, e a darvi pensiero, in modo paterno, della salute dei vostri preti. E parlando di salute spirituale, ricordate il primo compito del vescovo. Quando i primi cristiani hanno ricevuto le lamentele degli ellenisti perché non erano curati bene le loro vedove e i loro figli, si sono riuniti gli apostoli e hanno “inventato” i diaconi. E Pietro annuncia questa notizia e annuncia anche il compito del vescovo dicendo così: “A noi spettano la preghiera e l’annuncio della Parola” (cfr At 6,1-6). La preghiera è il primo compito del vescovo. Ognuno di noi vescovi dovrà domandarsi, alla sera, nell’esame di coscienza: “Quante ore ho pregato oggi?”.
Cari fratelli, vi esorto a mantenere l’equilibrio nella salute fisica e spirituale. Soprattutto, vi incoraggio a crescere ogni giorno nella preghiera e nell’esperienza dell’amore riconciliante di Dio, perché è la base della vostra identità sacerdotale, la garanzia della solidità della vostra predicazione e la fonte della carità pastorale con la quale conducete il popolo di Dio sui sentieri della santità e della verità. Con grande affetto invoco la grazia del Signore su di voi, sui sacerdoti, i religiosi e su tutti i laici delle vostre Chiese locali. Vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me”.
Fitta l’agenda degli appuntamenti popali anche nella giornata di domani con il congedo da Yangon e l’arrivo a Dhaka.
Papa Francesco celebrerà alle 10.15 la Santa Messa con i giovani nella Cattedrale di St. Mary ed alle 12.45 ecco il congedo ufficiale nell’Aeroporto Internazionale di Yangon
Alle 13.05 partenza in aereo per Dhaka dove è atteso per le 15.00
Alle 16.00 la visita al National Martyr’s Memorial di Savar seguita dall’omaggio del Papa alla Nazione nel Bangabandhu Memorial Museum e firma del Libro d’Onore.
Alle 17.30 la visita di cortesia al Presidente nel Palazzo Presidenziale e per concludere l’impegnativa giornata dalle 18.00 l’incontro con le Autorità, con la Società civile e con il Corpo Diplomatico nel Palazzo Presidenziale.